• Non ci sono risultati.

DI FORMAZIONE UMANA

2. L’arte del sogno

2.1 Alla ricerca di nuove forme

Prima di diventare uno degli artisti più importanti e originali di tutto il Novecento, Marc Chagall ha dovuto affrontare non poche prove e difficoltà. Eppure, nonostante tutto, la sua risoluta volon- tà di vivere della propria creatività gli ha permesso di superare ogni vento contrario. Costretto a condividere angusti appartamen- ti con gente di ogni risma, privo di appoggi e di denaro, osteggia- to perché ebreo e persino imprigionato per questo, non demorde- rà mai, sempre più convinto del destino da pittore che lo attende. In questi ostici momenti lo accompagneranno i suoi sogni, gli uni- ci che vengono raccontati all’interno della sua autobiografia. Uno di questi sarà fonte di ispirazione per L’apparizione del 1917-18. Così lo racconta Chagall:

“Una stanza quadrata, vuota. In un angolo un solo letto, e io sopra. Cala il buio. Improvvisamente il soffitto s’apre e una creatura alata scende tra bagliori e tuoni, riempie la stanza di un turbine di nuvole. Un palpito di ali che batto- no. Io penso: è un angelo! Ma non riesco ad aprire gli oc- chi, c’è troppo chiarore, troppa luce. Dopo aver frugato dappertutto, si alza di nuovo in volo, ed esce dall’apertura nel soffitto, portandosi dietro tutta la luce e l’aria azzurra. Cala di nuovo il buio. Mi sveglio”52.

51 F. Nietzsche, La gaia scienza, cit., p. 107. 52 M. Chagall, La mia vita, SE, Milano 1998, p. 89.

Confrontato anche con L’apparizione, ciò che colpisce, più del- la scena sensazionale, è la tonalità del sogno: il bagliore accecante della luce, il biancore fumoso delle nuvole e l’aria azzurra domina- no. L’artista, raffigurato nel dipinto, vive una condizione simile a quella del sognatore: in cerca dell’ispirazione e sprofondato nel buio, subisce la comparsa improvvisa di un angelo di luce che riempie il suo vuoto. Qui l’artista, al pari del sognatore, non chia- ma a sé le immagini, ma è come se le ricevesse. Anche Vassily Kan- dinskij, altro artista rivoluzionario, non esita ad ammettere che:

“Tutte le forme che ho creato mi venivano “da sole”: si sta- gliavano davanti ai miei occhi perfettamente pronte, mi re- stava solo da copiarle […]. Queste maturazioni interiori non possono essere tenute sotto controllo: sono misterio- se, dipendono da cause occulte. […]”53.

Solo allora, in quel preciso momento in cui forme originali prendono inaspettatamente corpo nella nostra mente, frutto di un processo sotterraneo di cui ne constatiamo soltanto gli effetti, ci rendiamo conto di poter essere non solo spettatori, ma anche au- tori del nostro sentiero esistenziale. Perché, essendo capaci di spri- gionare immagini, ed essendo tale capacità potenzialmente illimi- tata, vista la sua imponderabilità, nulla è mai determinato in mo- do conclusivo. Osserviamo e viviamo, in noi stessi, riconoscendo- lo, lo spettacolo di una creazione continua.

Se ne accorge anche il giovane Emil Sinclair, protagonista del Demian di Herman Hesse, nel lungo attimo in cui, contemplando le innumerevoli immagini che gli balzano alla mente davanti ad un fuoco accesso, non può far altro che scoprire “di quanta creatività siamo dotati e quanto la nostra anima partecipi sempre alla costante creazione del mondo”54. La nostra posizione davanti alle immagini

oniriche non è per nulla differente da quella del minuscolo omino de Lo specchio (1915) che, sovrastato da un gigantesco vetro viola- ceo contenente un candelabro, non può far a meno di chinare la

53 V. Kandinskij, Testo d’autore e altri scritti, Abscondita, Milano 2013, p.58. 54 H. Hesse, Demian, Marsilio, Venezia 2000, p. 129.

testa davanti al mistero e lasciarsene avvolgere. Il surrealismo, che proprio del sogno e dei suoi meccanismi si è nutrito fino alle mi- dolla, ci insegna moltissimo su questa possibilità peculiarmente umana di partorire forme talmente inedite da divenire dirompen- ti. È questo il caso, ad esempio, de L’invention collective (1934) di René Magritte. Dovendo rappresentare il mare, Magritte opta per una sirena che, già essendo una figura di fantasia, viene nuova- mente rimodellata: al posto della coda ci sono delle gambe e al po- sto del busto c’è il corpo di un pesce. L’atmosfera e il contenuto stranianti del dipinto hanno l’effetto immediato di inquietare e scompaginare l’osservatore, come se fossero un’immagine oniri- ca55.

I surrealisti fanno dei modi del sogno, arbitrari e incontenibili, un vero e proprio metodo creativo, nel momento in cui la loro ar- te è:

“Automatismo psichico puro mediante il quale ci si propo- ne di esprimere sia verbalmente, sia per iscritto o in altre maniere, il funzionamento reale del pensiero; è il dettato del pensiero con l’assenza di ogni controllo esercitato dal- la ragione, al di là di ogni preoccupazione estetica e mora- le”56.

I surrealisti abbandonano le banchine del ponderabile e si get- tano totalmente, senza limiti, in quella indomabile corrente sem- previva generatrice di nuove forme. Ne è una prova significativa l’esperimento semiludico dei cosiddetti “cadaveri squisiti”, di cui ne rimane un esemplare prodotto da Yves Tanguy, Man Ray, Max Morise e Joan Mirò nel 1926. Esso si gioca in gruppo e a turno, senza vedere ciò che l’altro ha prodotto, spontaneamente ognuno disegna qualcosa e alla fine ne esce fuori una figura che, pur essen- do l’insieme di tante cose esistenti, non ha corrispettivi in natura57.

La forma che ne deriva è il risultato di tante alterità messe insie-

55 G. Cortenova, “Magritte”, in Art dossier, n. 59, Giunti, Milano 1998, p. 35. 56 M. De Micheli, Le avanguardie artistiche del Novecento, Feltrinelli, Milano

2005, p. 180.

me. I surrealisti sanno che solo dimenticando i limiti dalla neces- sità del mondo dell’oggettività, proprio come fa il sognatore, è possibile dar forma a qualcosa di nuovo. Infatti:

“Lo spirito dell’uomo che sogna si soddisfa completamen- te di ciò che gli accade. L’angosciante questione della pos- sibilità non ha più luogo. Uccidi, vola più veloce, ama fin- chè ti piacerà. E se muori, dubiti di svegliarti tra i morti? Lasciati condurre, gli avvenimenti non tollerano che tu li differisca. Non hai nome. La facilità di ogni cosa è di un valore infinito”58.

L’uomo immerso nel sogno non classifica gli eventi, non li con- trolla, ma se li vede passare davanti ed è totalmente attraversato da questo flusso. Egli, affrancato dall’impulso di categorizzare l’espe- rienza, non sà mai come andrà a finire, non ha il potere di antici- pare nulla e soprattutto sembra non avere una storia dietro di sé. Questa condizione di sottrazione e di sospensione è evocata da Il sogno o Il letto (1940) di Frida Khalo, dove la pittrice addormen- tata nel suo baldacchino è sospesa nel vuoto di un cielo nuvoloso. Il letto non tocca terra. Sospeso e assente a sé stesso, il sognatore sperimenta così una condizione primordiale. Qui, per lui, esistono solo i suoi occhi che vedono e le immagini che gli emergono da- vanti senza seguire delle regole e neppure una logica consolidata. Le immagini irrompono e, a posteriori, si ha la percezione più o meno vaga e prolungata che emergano da profondità sconosciute: uno dei tanti cassetti nascosti dello Stipo antropomorfico di Salva- dor Dalì si apre ed emana delle immagini. Ma cosa contengono quei cassetti? Chi li apre? Perché vengono fuori proprio quelle im- magini e non altre tra le infinite possibili? Quest’ultima domanda sorge spontanea osservando il celebre Sogno causato dal volo di un’ape intorno a una melagrana un attimo prima del risveglio (1944) di Salvador Dalì: perché la sensazione provocata dalla pun- tura di un’ape assume proprio le sembianze di due tigri fameliche che emergono dalla bocca di un pesce rosso? Perché non si ripro- duce semplicemente la scena che coincide con quella della realtà

cosiddetta oggettiva? Sopraggiunge uno spazio parallelo, nel qua- le la visione interna e il mondo esterno vengono a coincidere: per il sognatore, infatti, esistono solo le tigri, che soltanto lui stesso può vedere ed esperire, mentre l’ape e il pungiglione vengono so- praffatti e superati. Nello spazio immaginario del sogno, allora, il regno della necessità che appartiene al mondo “oggettivo” si sfal- da e il sognatore, gettato nell’indeterminatezza, vive una forma particolare di libertà che Nietzsche esprime in questi termini:

“Queste poetiche immaginazioni, che danno libero campo e sfogo ai nostri impulsi di dolcezza o di scherzo o di fan- tasticheria, o al nostro desiderio di musica e di montagne – e ognuno avrà i suoi esempi più calzanti – sono interpre- tazioni assai libere, assai arbitrarie, dei movimenti del san- gue e dei visceri, dell’oppressione del braccio e delle co- perte, dei suoni dei campanili, delle banderuole, dei not- tambuli e di altre cose del genere. [...] La vita allo stato di veglia non ha questa libertà di interpretazione come quel- la del sogno, è meno poetica e sfrenata”59.

Al di sotto della libertà sfrenata di quelle poetiche immagina- zioni, però, come una voce silenziosa ma dominatrice, continua a parlare il tessuto magmatico, contraddittorio e inconoscibile degli innumerevoli istinti che muovono l’uomo, i quali suggeriscono al- la ragione poetante del sogno le immagini di volta in volta diver- se60. Quella libertà, creduta sfrenata e irragionevolmente arbitra-

ria, in realtà rimanda a ciò che trascende e dunque determina l’es- sere umano. Lo sapeva anche Ludwig Binswanger nel momento in cui sostiene che:

“Proprio l’approfondimento del contenuto manifesto del sogno, al quale, a partire dal fondamentale postulato freu- diano della ricostruzione dei pensieri onirici latenti, si è ri- volta in epoca recente un’attenzione sempre minore, ci in- segna a valutare correttamente la stretta connessione origi-

59 F. Nietzsche, Aurora, cit., p. 91. 60 Ibidem.

naria di sentimento e immagine, di disposizione e di realiz- zazione figurativa”61.

Nelle immagini dei nostri sogni, più precisamente nel tema che l’esistenza si dà nel sogno, aleggia quella tonalità emotiva o stato d’animo fondamentale che, precedendo ogni atteggiamento verso il mondo,

“non fluttua al di sopra del presunto sussistere dell’uomo, bensì dà il tono a questo essere, cioè dispone e determina il “modo” del suo essere”62.

Questo legame originario è confermato dal fatto che, per veni- re a galla, ma senza poter essere mai pienamente compreso nelle maglie della consapevolezza, lo stato d’animo cerca la metafora e la trova sempre in un’immagine. Non è certo fuori dalla realtà quel tipo di esperienza in cui, davanti ad un’opera d’arte o alla scena di un film, l’uomo, all’improvviso, sente che quelle immagini rappre- sentano in modo immediato i suoi sentimenti, i quali avrebbero bi- sogno almeno di infinite parole per essere espressi. Il linguaggio universale delle immagini, che da sempre accompagna l’uomo, ha la forza in sé di dar vita, così, senza mediazione, alle zone più pro- fonde di noi stessi. E nel sonno, l’essere umano non ha altre paro- le che le immagini. In tal modo, il sogno, attraverso le forme che costantemente crea e ricrea, offrendocele, ci pone davanti alla no- stra irriducile abissalità e, nel momento in cui sentiamo il richiamo di ciò che ci determina, qualcosa di vago, vario e mai completa- mente afferrabile, si apre davanti a noi un’altra libertà possibile: perché siamo costretti ad essere continuamente in cammino e ve- niamo così chiamati costantemente alla ricerca, alla trasformazio- ne e persino alla creazione. La medesima condizione è avvertita dagli artisti, il cui processo creativo assomiglia sempre di più a quello del sogno, se è vero quanto dice Paul Klee:

61 L. Binswanger, Op. cit., pp. 99-100.

62 M. Heidegger, Concetti fondamentali della metafisica. Mondo-finitezza-solitu-

“L’oggetto in sé è di certo inesistente. È la sensazione del- l’oggetto che passa in prima linea. [...] La forma esteriore diventa così particolarmente variabile e si muove su tutta la scala dei temperamenti; con la mobilità di una lancetta indicatrice, si potrebbe dire in questo caso. In corrispon- denza variano i mezzi rappresentativi tecnici. La scuola dei vecchi maestri è certamente superata”63.

In questo modo, la realtà dell’oggetto non è mai afferrata com- pletamente e neppure la fonte di quella sensazione che sta alla ba- se della sua particolare rappresentazione. Il percorso creativo e co- noscitivo dell’artista appare come un costante e mutevole tentativo di rendere visibile la vera realtà invisibile che, in quanto tale, non si lascia mai racchiudere pienamente e definitivamente. L’astrazio- ne dalla realtà fattuale, seguita dal rifugio nei territori incerti e sconfinati dell’immaginazione, apre nuovi sentieri per la conoscen- za e per la formazione di noi stessi. Le opere di Klee, proprio per- ché non hanno nessun corrispettivo in quella realtà fattuale, non sottostanno mai a un’interpretazione definitiva da parte dell’osser- vatore. Chi mai potrà racchiudere in un giudizio critico-storico i molteplici sentimenti che sono evocati nell’autoritratto Cancellato dalla lista (1933), le imprendibili ragioni di un’opera apparente- mente banale come il Pesce rosso (1925) o le vertiginose danze di forme e di colori del Giardino di rose (1920)? Anche se avessimo l’opportunità di essere Paul Klee e di vivere gli attimi esatti in cui quelle opere furono concepite e realizzate, non riusciremmo mai ad arrivare ad un traguardo risolutivo. Dietro quelle immagini non ci sono parole, non c’è un significato coerente che aspetta di essere svelato una volta per tutte e neppure una fonte certa e chiara, ma è l’immagine stessa che, dotata di una propria grammatica, continua- mente parla quando l’occhio la interroga. Questo significa anche che dobbiamo trovare in noi la capacità di rapportarci esteticamen- te ai nostri sogni. Se essi sono prima di tutto immagine, allora, è an- che nel tono, nelle forme e nelle relazioni “pittoriche” che li costi- tuiscono nella loro irripetibile particolarità che possiamo estendere noi stessi. Questo, però, non va fatto con gli occhi dell’esperto, ma

con lo stesso sguardo ingenuo, infantile e primitivo, che proprio Klee indossa nel Teatro di marionette (1923) e in molte altre sue opere. Il sogno stesso suggerisce uno sguardo di questo tipo, se es- so è per costituzione, come sottolineano Nietzsche64e Freud65, il ri-

torno a dimensioni cognitive pre-razionali e primitive. I sogni ci spingono a tornare bambini, ad assaporare il gusto ricco di una spontaneità estrema che, non lasciandosi imbrigliare da nulla, dise- gna e scopre dei mondi inaspettati. Quando siamo bambini, dice Leopardi, i nostri sogni e fantasticherie ci colpiscono in modo fon- damentalmente diverso dall’età adulta: in questa manca quel senso del vago e dell’indefinito che suscitano in noi, da piccoli, le scene oniriche66. Se riusciamo a riappropriarci di quella capacità, davan-

ti ai nostri sogni e a noi stessi, scrollandoci di dosso il peso del pas- sato e l’ansia del futuro, come in un gioco, possiamo nuovamente meravigliarci e dischiudere nuove traiettorie.

2.2 La voce degli artisti

Il sole cala e la notte è già alta. Non facciamo in tempo a chiude- re gli occhi sul mondo che subito li riapriamo. Sentiamo uno stra- no rumore, come se i nostri piedi navigassero in una specie di fan- ghiglia. Ci rendiamo presto conto che sono i ferri del mestiere del- l’artista: i colori. E noi siamo in una tavolozza. Attorno, sopra e sotto, i colori fluttuano silenziosamente e mescolandosi senza so- sta l’uno con l’altro generano innumerevoli tonalità mai uguali.

Tra un colore e l’altro scorgiamo Raffaella Martucci, in arte Marta67. Lei è un’artista. Ci parla:

“Nella mia vita i sogni sono molto importanti perché ana- lizzano il mio stato psichico e mi permettono di compren-

64 F. Nietzsche, Umano, troppo umano – Volume primo, Adelphi, Milano 2011, pp. 21-22.

65 S. Freud, Introduzione alla psicoanalisi, Newton & Compton, Roma 2011, p. 680.

66 G. Leopardi, Zibaldone, cit., p. 434-435-436. 67 www.artmarta.it

dere il presente che sto vivendo, insomma, una finestra in- trospettiva”.

Le sue sono le parole di chi vive con intensità i propri vissuti onirici. E continua:

“I sogni sono un termometro del nostro benessere e pos- sono ispirare la nostra creatività in qualsiasi forma. I sogni sono la manifestazione del nostro inconscio quindi delle nostre aspirazioni, aspettative e anche delle nostre soffe- renze o gioie”.

Scivoliamo dentro i colori che ci sovrastano e andiamo sempre più a fondo:

“È la nostra anima a parlare attraverso i sogni. Certo se noi veniamo da Dio, attraverso la nostra anima Dio manifesta il suo essere. Noi siamo esseri capaci di manifestare la no- stra essenza divina, non sudditi di pensiero ma creatori dell’amore e dei sentimenti divini. Per me l’anima è tutto, è il mistero più profondo della nostra essenza. È una vali- gia segreta che non invecchia mai, immortale”.

Sentiamo una specie di vortice che si apre e in fondo ad esso cominciamo a scorgere delle strane forme. Non le abbiamo mai vi- ste. Di colpo, siamo dentro Il sogno dell’anima (2012) che parla proprio dell’attimo della creazione, dell’attimo dell’ispirazione, quando prende forma l’immagine nella nostra mente. L’opera divie- ne realtà. I colori seguitano a mescersi. Ne viene fuori, pronto per essere gustato dai nostri occhi mai stanchi, Introspezione invisibile (2013):

“Questo dipinto nasce proprio da una immagine sognata. Nel sogno vedevo un lenzuolo sbattuto dal vento su un cielo azzurro. Il vento non ha parole, è trasparente ma esi- ste e ha una forza tanto potente da riuscire a far muovere gli oggetti inanimati. Ed ecco che è nata la mia opera”.

Le opere di Marta si succedono vorticosamente davanti ai no- stri occhi. Ad ogni battito di palpebre segue uno stupore inconte-

nibile ed è come se nascessimo ogni volta. Allora l’artista, intuen- do la scossa interiore che ci confonde, si affretta a dirci:

“Senza sogni l’arte sarebbe un oggetto senza anima. Se l’arte non facesse sognare o immaginare sarebbe come guardare una finestra murata”.

Assaporiamo il gusto agrodolce di un’immaginazione senza fre- ni e senza soste. Tutto si fa più rapido. Ci sentiamo cadere. Abbia- mo le vertigini. La voce di Marta si fa lontana e, quasi in forma di congedo, sentiamo le sue ultime parole che ci trafiggono come frecce:

“È più facile vivere non pensando e lasciando agli altri la responsabilità del nostro vivere. Mi disse una mia cara ami- ca che un uomo dentro una prigione può continuare a sen- tirsi libero perché nessuno mai può impedirgli di pensare”. Un attimo dopo siamo su di una mongolfiera rossa. Voliamo al di sopra della tavolozza e dolcemente atterriamo in un deserto oceanico. Un vento morbido accarezza la sabbia e sembra che on- deggino pure le montagne in lontananza, mosse però da un fiato contrario. Siamo dentro a ...e così arrivai in un nuovo mondo (2009) di Bruno Cerasi, giovane artista contemporaneo68. Vicino

allo scuro albero in fiore che domina la parte destra del quadro scorgiamo lui, l’artista. Inizia a parlare:

“Riguardo alla mia attività artistica, in passato i sogni era- no per me fondamentali. Spesso e volentieri non facevo che tradurre in termini pittorici idee suggeritemi da essi, è successo molte volte. Il mio ciclo di lavori Aerodinamica del 2009 contiene molti lavori realizzati in questo modo. Nel corso del tempo, però, questo percorso è mutato”.

Non possiamo fare a meno di chiedergli perché sta parlando al passato.

“In questo momento la mia ricerca verte attorno alla co- municazione ed all’incomunicabilità, le visioni oniriche hanno un ruolo meno diretto e vengono filtrate attraverso studio e riflessione. Possono essere delle ispirazioni, ma non possono bastare per realizzare un’opera”,

ci risponde. Seguono attimi di silenzio.

Lo rompiamo provando a fare un gioco: il gioco delle associa- zioni.

“Se cerco di associare il sogno a un artista, penso immedia- tamente a Fussli, ma ovviamente anche alla corrente surrea- lista della prima metà del ventesimo secolo e penso in par- ticolar modo a Yves Tanguy e Renè Magritte. “L’incubo” di