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Il social dreaming: narrarsi con i sogn

INTERIORE IN CARCERE: PROPOSTE DI RIEDUCAZIONE

3. Il social dreaming: narrarsi con i sogn

Anche il sogno è narrazione. Il social dreaming nasce intorno agli anni Ottanta in Inghilterra, e precisamente a Londra, per opera dello psicoanalista W. Gordon Lawrence il quale, spinto da esi- genze innovative e riformiste invitò i suoi colleghi del Tavistock Institute of Human Relations di Londra a sperimentare nuove possibilità attraverso l’uso sociale dei sogni nelle organizzazioni e nei contesti sociali dei più diversificati.

La novità era rappresentata da un approccio non terapeutico ai sogni, finalizzato all’analisi dei sogni all’interno di nuclei di lavoro costituiti da persone che condividono spazi, come ad esempio il luogo di lavoro, l’ospedale o il carcere, al fine di generare possibi- li forme di riflessione e di trasformazione individuale e collettiva per mezzo della narrazione dei propri sogni. L’aspetto non tera- peutico del metodo del social dreaming è essenziale nella compren- sione del suo utilizzo in chiave educativa. L’approccio dell’educa- zione interiore attraverso il racconto e la comprensione dei propri sogni non ha, infatti, nulla a che vedere con tutte quelle scuole di psicoterapia o di psicoanalisi che utilizzano il sogno a scopi tera- peutici, investigando il materiale inconscio al fine di generare un processo di cura e di terapia, come nel caso delle scuole freudiane e junghiane. Lungi dal volersi accostare ad approcci che sono da ritenersi come tipicamente terapeutici, che richiedono una lunga formazione e l’acquisizione di competenze psicologiche specifi- che, l’utilizzo educativo del sogno spazia in quell’abitudine rassi-

curante e nota del voler raccontare i propri sogni alla prima perso- na che incontriamo la mattina al risveglio, o alla prima occasione utile durante la giornata, giacché, nell’atto stesso del raccontare, il sogno già è capace di svelarci qualche significato nascosto e recon- dito, e questo tutti abbiamo avuto modo di comprenderlo nell’ar- co delle nostre vite. Ma invece di consegnare l’atto del narrare il sogno al caso o all’occasione, il percorso sociale del sogno crea e costruisce in un progetto formale il luogo e il tempo per il raccon- to condiviso dei propri sogni, consapevoli del fatto che sul sogno nessuno possa avere delle rivendicazioni, se non il sognatore stes- so, unico proprietario assoluto dei propri sogni, e in ragione di ciò libero di condividerli o no con chiunque, con qualcuno o con nes- suno.

Il concetto chiave introdotto dal social dreaming è il concetto di «matrice»: “La matrice non è un gruppo ma una raccolta di per- sone che sognano, condividono i loro sogni e, gradualmente, cer- cano di interpretarli e di trovare nessi tra le diverse linee interpre- tative”29. Se in passato si era soliti ritenere che i sogni dovessero

restare nella sfera del privato e del personale, come espressioni in- time della parte più profonda di sé, si è compreso in seguito, gra- zie anche all’opera di Lawrence, che il sogno capace di contenere, al suo interno, insiemi di significati e contenuti che rimandano al- la costituzione sociale dei soggetti stessi.

Il social dreaming, dunque, propone una diversa e più suggesti- va maniera di esplorare pensieri, difficoltà, paure ed emozioni at- traverso la discussione e il dialogo aperto fra i partecipanti, coa- diuvati e diretti dall’importante ruolo svolto dal conduttore o dai conduttori. La riflessione sui sogni è inevitabilmente una forma di riflessione che si basa sulla capacità di fornire associazioni agli ele- menti del sogno; come noto, infatti, il sogno si presenta alla co- scienza del sognatore sotto forma di immagini che stanno a rap- presentare emozioni, vissuti, pensieri, desideri, paure e rimossi del

29 L. Ambrosiano, “Introduzione all’edizione italiana”, di W. Gordon Lawrence (a cura di), Social dreaming. La funzione sociale del sogno, Borla, Roma 2001, p. 5. Titolo originale, Social dreaming @ work, Karnac Books Ltd, London 1988.

soggetto sognatore, fu Freud stesso a distinguere un contenuto ma- nifesto del sogno, ovvero quello che appare del sogno sotto forma di immagini e trame, da un contenuto latente, quello che il sogno vuole dire e significare, il messaggio in esso contenuto. Il sogno, dunque, comunica con il linguaggio che gli è proprio e porta con sé sempre un messaggio per il sognatore, messaggio che, una vol- ta codificato e compreso, spesso risulta estremamente importante per la vita del sognatore e per la sua evoluzione personale.

In che cosa consiste, dunque, una libera associazione sul so- gno? “La libera associazione emerge quando si comincia a perde- re la propria linea di pensiero perché la nascita di altri pensieri rompe la continuità delle idee consapevoli, allora la coerenza del discorso si rompe per rivelare linee di pensiero nuove e divergen- ti, che descrivono qualcosa inconsciamente saputo ma non pensa- to. Il sogno narrato nella matrice di social dreaming viene risogna- to dai partecipanti e, attraverso la libera associazione, nuovi signi- ficati possibili vengono intravisti, dando l’impressione che il sogno si espanda nel tempo e nello spazio”30. Le libere associazioni che

la narrazione dei propri sogni avviano e stimolano rappresentano, proprio in ragione della loro non linearità, una forma di pensiero alternativo e rivelatore di significati e contenuti inattesi e inaspet- tati che possono modificare anche radicalmente la propria imma- gine della realtà.

L’aspetto sociale del racconto implica, altresì, la possibilità di favorire cambiamenti e trasformazioni positive sia nei singoli sia nelle dinamiche fra i partecipanti, in cui il sogno costituisce un ponte di congiunzione fra il sé e l’altro, nella condivisione, più spesso di quanto ci si possa attendere, delle medesime paure, del- le medesime difficoltà, dei medesi desideri, nelle medesime spe- ranze.

La matrice è, inoltre, un modulo di lavoro, della durata in ge- nere di un’ora e mezza, in cui i partecipanti sono invitati a raccon- tare e a riflettere e dialogare insieme sui propri sogni, come sui so- gni degli altri.

Esso appare come uno spazio di riflessione comune che con-

sente ai partecipanti di fare esperienza di un pensiero che trasfor- ma e genera evoluzione e processi di consapevolizzazione colletti- va e individuale.

Nel primo capitolo di Social dreaming, Lawrence saluta il so- gno già a partire dal titolo che decide di assegnargli, Won from the void and formless infinite: esperienze di sogno sociale (“conquista- to dal vuoto e dall’infinito senza forma”) e parte con una citazio- ne di C. G. Jung:

“Il sogno è una piccola porta nascosta nei più intimi e più segreti recessi dell’anima che apre su quella notte cosmica che era la psiche molto prima che ci fosse qualsiasi consa- pevolezza dell’io e che resterà psiche indipendentemente da quanto la nostra consapevolezza dell’io possa estender- si. […]. Così esso è come un fiore nel suo candore e nella sua veridicità, che ci fa arrossire della nostra vita piena di inganni”31.

La psiche a cui qui si fa riferimento contempla nella sua essen- za due diversi modi d’essere, una psiche personale e una psiche collettiva, quell’inconscio collettivo che presenta gli stessi mitolo- gemi e gli stessi contenuti arcaici, gli archetipi. A livello sociale il sogno di un singolo contiene al suo interno anche elementi collet- tivi che lo legano sia al suo inconscio arcaico, sia all’esperienza di vita sociale e collettiva comune. Dialogare intorno al sogno ci ri- porta a una forma di esperienza condivisa che allarga e tende i li- miti dei propri pensieri personali e che dispone al pensiero con gli altri e con se stessi. Scriveva Lawrence:

“Credo che ciò che mi piace di più della matrice di sogno sociale e degli eventi che l’accompagnano, in particolare i dialoghi, è che si pensano pensieri nuovi, e a volte sono stupito di sentire colleghi parlare apertamente di pensieri che per anni erano rimasti riservati o che non erano mai stati pensati prima. […]”32.

31 G. Lawrence, Op. cit., p. 31. Citazione tratta da C. G. Jung, Psycological Re-

flections, Bollinger Series XXXI, Panther, New York 1953, p.46.

I sogni sono ancora l’espressione di contenuti capaci di dare un senso alla propria vita e al proprio percorso esistenziale; essi in- ducono a un lavoro continuo e incessante dell’anima che ricerca, che si domanda e che cerca un senso profondo alla vita e al pro- prio essere. Riportando il pensiero dell’antropologo e psicologo Kilton Stewart, Lawrence cerca di dimostrare l’importanza dei so- gni nella vita quotidiana. Dare senso e importanza ai sogni diven- ta l’espressione di una maturità cognitiva che si perfeziona nell’im- materialità dei sogni.

“Sognare può diventare e diventa il tipo più profondo di pensiero creativo. […]. In Occidente, i pensieri che faccia- mo mentre dormiamo restano ad un livello confuso, infan- tile o psicotico perché non consideriamo i sogni social- mente importanti e non li includiamo nel processo educa- tivo. Questa trascuratezza sociale del lato del pensiero ri- flessivo dell’uomo, quando il processo creativo è più libe- ro, si trasforma in una misera educazione”33.

E Lawrence conclude:

“In questo secolo è stata la disciplina specializzata della psicoanalisi a dare forma al nostro approccio alla com- prensione dei sogni, e in questo processo abbiamo perso la saggezza accumulata negli anni dai cosiddetti popoli pri- mitivi di usare i sogni come parte della vita quotidiana”34. Dare senso e importanza ai sogni diventa una vera e propria occasione di formazione interiore, dove possono essere rivelati schemi inconsueti, pensieri innovativi, nuove configurazioni men- tali ed esistenziali e nuove visioni del mondo e di sé. Il sognare ge- nera trasformazioni e forme di evoluzione collettiva e personale, esso sconfina nell’ignoto, nello sconosciuto dell’anima e ci consen- te di rivitalizzare la parte più profonda di noi, dove risiede il no-

33 Ivi, p. 61. Citazione di K. Stewart, “Dream Theory in Malaya”, in C. Tait, Al-

tered States of Consciousness, Wiley, Chilchester 1969, pp. 166-167.

stro Sé autentico, insieme alle nostre potenzialità e possibilità re- condite, latenti e inattese.

La riflessione intorno al sogno consente dunque di abituarsi al pensiero e alla riflessione cosciente su temi e ispirazioni inconsue- te, come quelle proposte nei contenuti dei nostri sogni. Esso gene- ra quel cambiamento e quella trasformazione così indispensabili nell’ottica della funzione rieducativa della pena in ambito carcera- rio. Ma cambiamento e trasformazione oppongono sempre una re- sistenza pari e contraria; “c’è sempre un lato oscuro nel cambiamen- to: l’inerzia, la tendenza cioè di tutti i sistemi viventi a cercare di re- stare immutati, a conservare ciò che c’è”35, ammonisce Lawrence.

Nella trasformazione è implicito un rischio, un pericolo, quello del nuovo e dello sconosciuto. Lasciarsi trasformare significa, dun- que, venire anche a patti con se stessi, accettare il cambiamento e la sofferenza che qualsiasi trasformazione produce nelle nostre vi- te, e le esperienze che maggiormente provocano e spingono pro- cessi di trasformazione sono proprio le esperienze emotive, quelle cioè, che lasciano presagire qualcosa di nuovo e di ignoto che, ini- zialmente inducono a resistenza o fuga, aspetto che i detenuti han- no compreso molto bene, molto meglio di chi vive in assenza di privazioni alla propria libertà personale. Un detenuto un giorno mi disse: “Sai, io sto cercando di cambiare, a volte mi sembra di es- serci riuscito con uno sforzo interiore notevole, ma ho paura di tor- nare indietro”, indietro in quel punto del passato che mantiene an- cora la sua forza attrattiva e che continua a opporsi al cambiamen- to e alla trasformazione di sé e della propria vita.

Questo significa che attivare processi di cambiamento e di tra- sformazione significa attivare tutte quelle risorse interiori capaci di apporre la medesima forza opposta e contraria alla resistenza e al- l’opposizione al cambiamento. In primo luogo significa far com- prendere come la propria evoluzione non avrà mai un punto esat- to che si potrà dire di aver raggiunto; si cammina, si procede e tal- volta si torna indietro, si indietreggia per poi fare balzi in avanti per poi tornare indietro in un processo dialettico interiore che avrà fine solo con la morte, alla quale consegneremo il punto di

noi stessi che avremo raggiunto, spinti sempre un tantino più avanti dell’ultimo punto estremo toccato, indipendentemente dai richiami indietro, come il risucchio dell’onda che torna indietro per poi superare nuovamente il confine del già tracciato.

1 Laureato in Scienze dell’Educazione e della Formazione nell’a.a. 2012/2013 con una Tesi di Laurea dal titolo, Seguire i sentieri del sogno: una proposta di

formazione umana, relatrice, prof.ssa Luana Di Profio, di cui si propone un

estratto con ulteriori approfondimenti.

2 F. Nietzsche, La gaia scienza, Bur, Milano 2010, p. 97. Premessa

Quanti di noi, sedendosi davanti al mare o alle pendici di una montagna, si sentono toccati fin nell’intimità più profonda? Gli spazi ampi, che paiono infiniti, hanno sempre pizzicato le corde della materia umana, fatta di sensazioni, sentimenti, sogni e pen- sieri. Quei panorami, disarcionanti nella loro vastità, sono per noi degli specchi; in essi scorgiamo noi stessi e cioè l’essenza più inti- ma dell’essere umano. Perché

“abbiamo tutti in noi giardini e piantagioni nascosti e [...] siamo tutti vulcani in sviluppo, che avranno la loro ora di eruzione”2,

come disse saggiamente Friedrich Nietzsche. Non solo, ma ogni essere umano è un mondo a sé, unico e irripetibile, dalle variopin- te e mutevoli sfumature, che nessuna tipizzazione psicologica riu- scirebbe mai a definire. Persino le necessarie influenze della socie- tà e dei suoi apparati vengono sintetizzate in maniera particolare e originale: tutto si somiglia, ma nulla è uguale. Ciascuno, allora, è esploratore di se stesso.

SEGUENDO I SENTIERI NEBULOSI DEL SOGNO: