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LE FUNZIONI DELLA PENA

2. La funzione retributiva

La funzione retributiva, dalla parola latina retribuo che significa «rendere», «dare il dovuto», sta a indicare il risarcimento di un “delitto” (reato) commesso per mezzo della pena; quest’ultima de- ve essere inflitta con il giusto carico di sofferenza, adeguata ciò al male arrecato. Scontare la pena significa ristabilire quell’equilibrio sociale spezzato con il delitto e maggiore è la gravità del reato commesso, maggiore dovrà essere l’equivalente della pena. “Il cri- terio della retribuzione – in un recente passato da molti sottaciu- to, svalutato o addirittura negato – è irrinunciabile in ogni sistema normativo, poiché non può misconoscersi il fondamentale princi- pio di giustizia (ma che è proprio anche di ogni sistema pedagogi- co) della premiazione per il bene e della punizione per il male compiuto: principio questo che è sopravvissuto in ogni sistema so- ciale e in ogni epoca, e che presuppone che ciascuno sia ritenuto responsabile dei propri atti e che debba essere chiamato a rende- re conto di quanto ha commesso. Ovviamente il principio della re- tribuzione presuppone una visione dell’uomo come libero e per- ciò responsabile della propria condotta: visione che può essere o non essere condivisa secondo diverse prospettive filosofiche, reli- giose, ideologiche o psicologiche, ma su cui comunque ogni siste- ma sociale si deve necessariamente fondare, come si è sempre fon- dato, per esercitare la funzione punitiva e il controllo sociale”5.

L’imprescindibilità del principio retributivo nelle funzioni del- la pena mette in rilievo quelli che dovrebbero essere i fondamenti teorici e il senso della pena retributiva. In primo luogo, dunque, la pena deve contenere un equo grado di afflizione, con la privazio- ne di un qualche bene e in particolare della libertà personale, sen- za che questa sfoci nell’umiliazione e nella sofferenza gratuita del-

6 I. Kant, Die Metaphisik der Sitten, 1798, tr. it., La metafisica dei costumi, La- terza, Roma-Bari 1998, p. 164.

l’altro per istanze di tipo vendicativo. La pena retributiva implica, altresì, la piena responsabilità penale personale, la proporzionalità della pena al reato commesso e l’inderogabilità della pena, ovvero che la pena venga necessariamente scontata.

Per molti teorici il principio retributivo puro è il solo a garan- tire la certezza della pena e il controllo sociale, spesso per alcuni accantonato e surclassato dalle più moderne istanze rieducative e risocializzanti che espropriano la pena di quel carattere di severi- tà e di autorevolezza, insieme garanzia e deterrente, indispensabi- li nella lotta alla criminalità e nella generale azione di prevenzione dei delitti.

Riferimento obbligato nell’ambito del concetto di retribuzio- ne della pena è Immanuel Kant, (1724-1804), filosofo tedesco ed esponente illustre dell’Illuminismo tedesco, che interpreta la pena nella maniera arcaica dello ius talionis, la “legge del taglione”, espressa nell’antico detto “occhio per occhio, dente per dente”, se- condo la quale la pena deve essere esattamente identica e propor- zionale alla pena assegnata, sebbene limitando l’esercizio della vendetta personale attraverso l’esercizio di un tribunale preposto a cui è affidata l’esecuzione della pena. Inoltre, la pena ha il suo unico fine nell’esecuzione stessa della pena dovuta per il reato commesso, dunque nessun altra funzione della pena poteva essere contemplata, se non quella della retribuzione del male commesso. “La punizione giuridica […] non può mai venir decretata sempli- cemente come mezzo per raggiungere un bene, sia a profitto del criminale stesso, sia a profitto della società civile, ma deve sempre venirgli inflitta soltanto perché egli ha commesso un crimine”6.

Ammettendo anche la pena di morte quale unica pena possibile per il delitto di omicidio.

Sulla scia della necessità della pena quale imperativo categori- co di Kant, Hegel, (1770-1831) rappresentante dell’Idealismo te- desco, pur non accogliendo il principio dello ius talionis e diver- gendo dal principio di retribuzione morale di Kant, interpreta la pena come una retribuzione giuridica che riafferma il diritto dello

Stato messo in scacco dal reato, mentre entrambi concordano sul piano della giustificazione della pena. In definitiva, come spiega Massaro: “La tesi di fondo condivisa dagli esponenti delle teorie assolute della pena è che sola la dimensione retributiva può confe- rire alla pena un fondamento etico assoluto, scevro da scopi utili- taristici rinsavibili in finalità preventive”7. Come è ormai evidente,

il principio puro della retribuzione è stato affiancato da altre fun- zioni della pena in epoca moderna, funzioni che, come quella rie- ducativa, hanno dato un nuovo slancio alla ridefinizione delle fi- nalità stesse della pena. Tuttavia, la crisi del modello rieducativo e riabilitativo ha visto rinascere negli ultimi anni una nuova conce- zione di retribuzione nota come neo-retributivismo o nuova puni- tività.

Il “fallimento”, più o meno sentito a livello mondiale del mo- dello penale assistenziale e riabilitativo, ha indotto dagli anni Ot- tanta in poi, in particolare negli Stati Uniti e in Inghilterra, ad un rinnovamento della teoria della retribuzione della pena, proprio mentre in Italia si affermavano gli ideali di rieducazione penale con la riforma del ’75. Mentre la funzione rieducativa della pena poneva le basi a un cambiamento sostanziale del sistema penale italiano, negli Stati Uniti tornava alla ribalta un paradigma penale fondato su sicurezza e difesa sociale. Da un lato alcuni auspicava- no al ritorno alla “pena certa”, a prescindere dalle condizioni psi- co-sociali degli autori di crimini, dall’altro il fallimento del model- lo riabilitativo veniva imputato al mancato impegno da parte del sistema penale, attaccato in particolar modo dagli esponenti dei diversi movimenti per i diritti civili, i quali trovavano nell’ambito penitenziario un settore che richiedeva grandi interventi in mate- ria di riconoscimento dei diritti umani di base.

7 P. Massaro, Dalla punizione alla riparazione. La promessa della restorative ju-

8 C. Beccaria, Dei delitti e delle pene, Feltrinelli, Milano 2003, p. 54. 3. Funzione intimidativa o deterrente

La minaccia della sanzione è il punto focale della funzione intimi- dativa o deterrente della pena, tipica nelle teorie utilitaristiche; ta- le funzione rimanda ad approcci educativi fondati sulla punizione e sul ricatto, come sovente accade nell’educazione dei piccoli, edu- cati alla legge karmica del rapporto fra causa-effetto, «se fai que- sto, ti succederà questo». Ciò significa che l’imperativo morale presente in ciascuno, spesso non è sufficiente a impedire azioni contrarie alla morale comune, alle norme sociali e alle leggi pre- scritte.

Posto ciò, appare piuttosto evidente, specie laddove esiste an- cora la pena capitale, che la minaccia della sanzione non sempre ottiene i risultati sperati; la deterrenza, infatti, non è sempre suffi- ciente ad assicurare la conformità dei comportamenti degli indivi- dui, inoltre la deterrenza non può avere valore in tutti i reati d’im- peto o in quelli in cui dominante è la particolare situazione emoti- va e psicologica del soggetto che commette un reato, comprese quelle situazioni che scaturiscono dall’assunzione di alcol e dro- ghe.

Tale funzione deterrente è, dunque, una componente accesso- ria e non sufficiente della pena che andrebbe affiancata anche dal- la finalità etica ed educativa della pena, ovvero dal rafforzamento e dalla promozione dei valori sociali condivisi.

Confutando l’approccio retributivo della pena Cesare Becca- ria, rappresentante delle dottrine utilitaristiche, spiega anche che l’effetto intimidatorio della pena non dovrebbe comportare né la tortura, poiché inutile ai suoi stessi fini in quanto il soggetto tor- turato, se di tempra debole sovente confesserà delitti non com- messi, mentre se di tempra forte sarà portato a sopportare le tor- ture fino alla fine senza nulla concedere, né forme di afflizione. La finalità della pena dovrebbe allora essere quella “d’impedire al reo dal far nuovi danni ai suoi cittadini e di rimuovere gli altri dal farne uguali”8. Dunque, le pene hanno un valore intimidatorio non nel

lità, detta oggi come certezza della pena. In tal caso l’intensità del- la pena non modifica la sostanza della pena, specie se viene a man- care il principio dell’infallibilità del sistema giuridico e penale. La funzione intimidatoria e deterrente si lega alla funzione di difesa sociale della pena qui di seguito illustrata.