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Le “narrative del male”

INTERIORE IN CARCERE: PROPOSTE DI RIEDUCAZIONE

2. Le “narrative del male”

Questo paragrafo è tratto dalle pagine fascinose di un testo15 di

criminologia estremamente interessante dove si sottolinea la valen- za introspettiva della trasposizione del crimine in forma di narra- zione; la competenza autobiografica, infatti, implica la capacità di rileggere se stessi al fine di creare nessi in grado di fungere da ele- menti chiarificatori della propria esperienza vissuta. L’approccio utilizzato, anche in questo caso, è l’approccio fenomenologico-er- meneutico16, descrittivo-interpretativo dove ogni testo narrato a

un tempo descrive e spiega i fatti e gli eventi e li intenziona di un significato nuovo che contribuisce a una maggiore comprensione di sé e della propria esperienza esistenziale.

L’approccio narrativo all’esperienza del male incontra in un pri- mo tempo gli spunti che la stessa letteratura possono offrire alla comprensione narrativa del crimine e del male, come l’interessante analisi svolta da Tiziana Scasso17sul problema del male in Dosto-

evskij. Frammisto di elementi biografici e di elementi fantastici la

15 A. Verde, C. Barbieri (a cura di), Narrative del male. Dalla fiction alla vita, dal-

la vita alla fiction, Franco Angeli, Milano 2010.

16 Cfr. C. Barbieri, “Ermeneutica e criminologia”, in A. Verde, C. Barbieri, Op.

cit., pp. 37-52.

17 T. Scasso, “Letteratura: il problema del male, Dostoevskij”, in A. Verde, C. Barbieri (a cura di), Op. cit., pp. 60- 77.

narrativa di Dostoevskij è fitta di riflessioni e di spunti introspetti- vi intorno al problema del male, argomento che compare, a diver- so titolo, in moltissime opere del letterato russo. In particolare, la riflessione si concentrerà su due tematiche ricorrenti, quella del parricidio e quella dello stupro di fanciulle prepuberi. Come spiega Tiziana Scasso il tema del parricidio nasce da elementi autobiogra- fici molto significativi che hanno visto il letterato, sin dall’infanzia, portatore di sentimenti negativi nei confronti del padre, uomo bru- tale, violento e crudele, fino al punto di sognarne la morte. Alla morte della madre, Dostoevskij imputa tale evento alle depravazio- ni paterne e inconsciamente si acuisce il desiderio di morte per il padre che, di lì a poco, morirà di morte violenta. Questo successi- vo evento traumatico farà provare allo scrittore un forte e patologi- co senso di colpa che lo accompagnerà nel corso di tutta la sua esi- stenza e di cui se ne troverà traccia nelle sue opere letterarie.

All’interno della produzione letterale di Dostoevskij si trove- ranno ovunque tracce di un irrisolto psichico che lo farà sempre confrontare con la coscienza, con il senso di colpa e con il male; come ebbe a scrivere Sigmund Freud18proprio rileggendo in ma-

niera psicoanalitica la produzione letteraria dello scrittore. Il co- stante bisogno di superare il suo senso di colpa per i sentimenti e le pulsioni omicide provate, si tradurrà in una ricerca di autopuni- zione che troverà esplicazione proprio nelle vicende romanzate dei suoi personaggi. Il parricidio sarà oggetto del capolavoro I fratelli Karamazov, dove l’autore in sostanza espia, o fa espiare, la pulsio- ne omicida al protagonista, innocente solo sul piano materiale, in quando non autore del delitto, che accetta la pena per una colpa psicologica sentita e avvertita come male, la cui espiazione doveva corrispondere con la rinascita di un nuovo uomo liberato dai suoi desideri crudeli e malvagi di morte, come testimoniato dal prota- gonista Dmitrij:

“Fratello, dentro di me, in quest’ultimi due mesi, io ho sentito la presenza di un uomo nuovo: un uomo nuovo è

18 S. Freud, “Dostoevskij e il parricidio”, in Saggi sull’arte, la letteratura e il lin-

risuscitato in me! Era rinchiuso nel mio intimo, ma non si sarebbe mai manifestato, se non ci fosse stato questo col- po di fulmine. […]. Oh, sì, noi staremo in catene, e non avremo la libertà, ma allora, nel profondo del dolore no- stro, di nuovo risusciteremo alla gioia, senza la quale non può vivere l’uomo”19.

L’espiazione della colpa diventa il tema centrale, di una colpa soltanto pensata e mai agita, che appare comunque come una gra- ve colpa che solo l’espiazione può cancellare, restituendo all’uomo la possibilità di risuscitare a uomo nuovo e consentire a esso di esperire nuovamente il sentimento di una gioia rinnovata e purifi- cata dall’espiazione.

L’espiazione, dunque, oltre a rappresentare il pegno che il reo deve pagare, rappresenta per Dostoevskij anche l’occasione per purificare la propria coscienza e risorgere a se stessi come identità diverse. Argomento centrale anche nell’ottica della rieducazione penitenziaria in cui viene chiesto al condannato non soltanto di espiare una pena, ma anche di rieducarsi e di modificare la propria coscienza con consapevolezza e comprensione di sé e dei mecca- nismi che hanno generato le deviazioni alla legge.

Anche la questione dello stupro di fanciulle pre-pubere può dirci molto sulla questione dell’abuso su minori; in realtà Dosto- evskij trae questo contenuto dall’inaccettabile situazione di violen- za e sottomissione subita dalla madre, contesto che ha favorito in lui la nascita di una concezione dell’amore legata alla sopraffazio- ne e alla violenza, come al controllo sado-masochistico, come scri- ve in Memorie dal sottosuolo:

“[…] amare per me ha sempre voluto dire tiranneggiare e avere una superiorità morale […]. Anche nei miei sogni del sottosuolo non mi sono mai figurato l’amore se non co- me una lotta, l’ho sempre cominciata con l’odio e termina- ta col soggiogamento”20.

19 F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, 1879, Einaudi, Torino 1993, pp. 777-778, cit. in T. Scasso, Op. cit., p. 63.

20 F. Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo, 1864, Einaudi, Torino 2002, pp. 127- 128, cit. in T. Scasso, Op. cit., p. 63.

Nel contempo le donne e le figure femminili sono anche figu- re di redenzione e di riscatto, “l’unica manifestazione del “bene” che Dostoevskij non rappresenta mai direttamente, in base alla concezione per cui soltanto attraverso l’affermazione del male può rivelarsi il suo contrario, nel senso che solo dopo il delitto, affer- mazione del male, si può manifestare il bene come espressione di colpa e riparazione. […] Da qui la portata criminologica dell’ope- ra dello scrittore russo”21.

I romanzi Delitto e castigo, 1866, L’idiota, 1869, I demoni, 1871 e il già citato I fratelli Karamazov, 1879 sono caratterizzati proprio dalla consapevolezza della realtà del male insita nell’uomo, unita- mente alla forza redentrice che scaturisce dal senso di colpa, dal dolore e dalla successiva espiazione. Morto per un soffio dinanzi a un plotone in esecuzione di una condanna a morte per reati poli- tici, Dostoevkij visse anche una lunga carcerazione, quando lo zar all’ultimo commutò la sua pena in una condanna ai lavori forzati da scontare in Siberia, di cui scrive:

“Perfino in questi quattro anni di deportazione, in mezzo ai briganti, alla fine sono riuscito a trovare degli uomini veri. Tu forse non ci crederai, ma c’erano dei caratteri profondi, forti, stupendi, e che gioia mi dava scoprire l’oro sotto la rude scorza. E non soltanto uno o due, ma parecchi. Alcu- ni non si potevano non rispettare, altri erano decisamente ammirevoli […]. Quante storie di vagabondi e di briganti, e in genere di tutto quel mondo miserabile e sofferente”22. E in effetti, anche dalla mia personale esperienza in carcere posso testimoniare, con Dostoevskij, la grandezza delle personali- tà che ho incontrato, della loro intelligenza e del loro bisogno di comprendere e di comprendersi, presupposti fondamentali per operare quella scelta sartriana dell’essere come intenzionale e co- sciente di sé, che decide con volontà e autonomia chi essere e co- sa divenire.

21 T. Scasso, Op. cit., p. 63.

22 F. Dostoevskij, “Lettera al fratello Mikhail dalla Siberia”, 1854, in Lettere sul-

Altrettanto interessante è il contributo di Cristiano Barbieri23sul

genere noir nella letteratura, nella cinematografia come nella vita, di cui recuperiamo la conclusione sulla genealogia del male proposta da Karl Jaspers nell’opera La colpa della Germania24, 1946, dove

racconta dello scempio nazista e della colpa mai completamente ammessa e accettata. Jaspers tende a inquadrare il male come parte integrante e realtà ineluttabile dell’uomo, sebbene gli ambiti della colpa possano variare per tipologia. Jaspers individua quattro diver- se tipologie di colpa: 1) La colpa giuridica (azioni che violano la leg- ge); 2) la colpa politica (azioni colpevoli di uomini di stato e che coinvolgono anche tutta la popolazione di una nazione, in quanto contribuiscono attivamente all’esecuzione del male, si pensi alla Germania nazista a cui Jaspers dedica il volume sopra citato); 3) la colpa morale (sulla responsabilità individuale del male commesso, anche se in conseguenza degli ordini, come nel caso delle SS nazi- ste); 4) la colpa metafisica (epifania del male che comporta la corre- sponsabilità per tutte le ingiustizie e i delitti commessi nel mondo con la presenza o con la consapevolezza di chi assiste senza ribellar- si e impedire il male). “Proprio quest’ultima rappresenta l’emblema del male, perché, se la metafisica consiste nel rivolgersi a ciò che ci rende consci della nostra finitezza, (Jaspers, 193225) il male si rivela

quando “pur di salvare la propria vita, si rinuncia alla vita degna che, nel caso dell’uomo, vuole che si viva insieme o non si viva affatto”26.

In tal senso, in criminologia, il problema del male appare correlato anche a quello della coscienza, perché “la coscienza è strettamente le- gata al problema del conoscere, ma per conoscere occorre sempre con- servare il concetto di limite”2728.

23 C. Barbieri, “Il noir: genere letterario e cinematografico o stile di vita? Per una criminologia noir”, in A. Verde, C. Barbieri, Op. cit., pp. 149-170. 24 Cfr. K. Jaspers, La colpa della Germania, Edizioni Scientifiche Italiane, Napo-

li 1947 e la versione più recente con postfazione del 1962 di K. Jaspers dal ti- tolo, La questione della colpa. Sulla responsabilità politica della Germania, pre- fazione di U. Galimberti, Raffaello Cortina, Milano 1996.

25 K. Jaspers, Metafisica, Mursia, Milano 2003, ed. originale 1946. 26 Ivi, p. 23.

27 A. Aversa, “Il male e la coscienza”, in AA.VV., Il male, Raffaello Cortina, Mi- lano 2003, p. 135.

E sul concetto di limite molte volte con i detenuti ci siamo ri- trovati a discutere, come potrà leggersi nel successivo capitolo. Aspetto cruciale e fondamentale poiché è proprio il senso del limi- te a impedire alla coscienza di compiere il male; quando il senso del limite viene cinicamente superato, quando la coscienza avver- te la macabra libertà delle sue barriere morali, allora il male diven- ta possibile, facile e naturale. Ecco perché, fra i tanti momenti del- la rieducazione penitenziaria, un momento spetta proprio a quel- lo che occorre a ristabilire un senso del limite più alto, permeato da valori etici, morali e spirituali.