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Piero Bertolini e la pedagogia per i ragazzi difficil

LE ORIGINI DELLA PEDAGOGIA EMENDATIVA

3. Piero Bertolini e la pedagogia per i ragazzi difficil

Quando in ambito pedagogico si affronta il tema della devianza e della criminalità, uno dei riferimenti assoluti e imprescindibili è il pedagogista Piero Bertolini, intellettuale raffinato e sensibile a cui va il merito di aver illuminato, da un punto di vista pedagogico ed educativo, le realtà giovanili, laddove originano fenomeni di de- vianza e di criminalità, facendo una grande opera di sensibilizza- zione e di prevenzione. Sebbene il suo lavoro fosse, infatti, diretto alla condizione giovanile e in particolare ai fenomeni di delinquen- za minorile, i suoi studi e i suoi concetti possono essere assunti co- me cardini di una pedagogia capace di guidare la persona in un

processo di formazione in cui dare risalto e attenzione a tutte le fa- si di vita dei soggetti, e certamente l’infanzia, la fanciullezza e l’adolescenza rappresentano i momenti più importanti, quelli in cui si vanno sedimentando le radici di ciascuna persona, anche freudianamente intesi, con il carico di dolore, sofferenza, disagio e angoscia che di norma si esplicano in età adulta.

Piero Bertolini apre il suo lavoro, Per una pedagogia del ragaz- zo difficile, dell’ormai lontano 1965, con delle parole introduttive di grande pregnanza, che ci aiutano a stabilire con alcuni punti fis- si le coordinate indispensabili e ineludibili che ci occorrono, anco- ra oggi e sempre di più, per entrare nel mondo della devianza e della criminalità:

“Che il fenomeno della delinquenza minorile o più in ge- nerale e forse meglio […] il fenomeno delle varie e molte- plici difficoltà incontrate dal ragazzo e dal giovane nel pro- cesso del loro adattamento bio-psico-sociale, abbia assun- to proporzioni considerevoli o più giustamente abbia avu- to risonanze sociali mai prima riscontrate, non è giustifica- zione sufficiente al nostro presente lavoro. Né può esserlo, il pur lodevole desiderio di presentare ad un pubblico quanto più vasto possibile le linee fondamentali di una problematica ancor tanto ostica, con l’intento di contribui- re in qualche modo al necessario superamento della con- vinzione, che definiremmo psicologico-sociale perché mol- to spesso inconsapevole, secondo la quale i più credono che esista una ben chiara linea di demarcazione fra «noi» e «loro», fra gli «onesti», cioè, e i «delinquenti», i «catti- vi», i «poveri», ecc.

Ciò infatti ci avrebbe con tutta probabilità condotto ad una semplice accettazione, pur con una conseguente riela- borazione, dei punti di vista e dei risultati cui sono già per- venuti nei relativi campi molti studiosi delle più diverse scienze umane, […].

Dobbiamo quindi chiarire fin dall’inizio che le motivazio- ni profonde che ci hanno guidato nel corso di tutto il no- stro lavoro hanno una diversa provenienza; esse infatti si fondano da un lato sulla coscienza che anche in questo campo, dell’anormalità del processo di formazione, la pe- dagogia in quanto tale ha una sua specifica parola da dire, e dall’altro sul conseguente desiderio di contribuire ad un

più meditato e dunque più valido inserimento della stessa pedagogia nella concreta opera di recupero e di riadatta- mento dei vari soggetti in difficoltà.

Chiunque abbia una certa dimestichezza con la bibliogra- fia dedicata al fenomeno in questione, non può non stupir- si dovendo constatare l’atteggiamento di sostanziale disin- teresse mostrato dalla scienza pedagogica verso questa ca- tegoria di soggetti anormali, tanto più se pone mente al fat- to che essa al contrario ha affrontato con originale profon- dità problematiche educative legate ad altre forme di anor- malità, come la deficienza mentale e l’insufficienza senso- motoria […]; mentre deve riconoscere la ricchezza di stu- di che affrontano il problema da altri punti di vista, psico- logico, psichiatrico, psicoanalitico, sociologico, giuridico, assistenziale, ecc.”.31

Mentre spiega le ragioni del suo interesse per il fenomeno della devianza giovanile, Bertolini lamenta l’assenza quasi totale, in que- gli anni, di studi rivolti proprio all’indagine pedagogica di questo fenomeno, investigato diffusamente, invece, da altre scienze. Que- sta “assurda situazione culturale”32, come denunciata da Bertolini,

si riverberava anche in maniera pericolosa sul trattamento rieduca- tivo previsto per i ragazzi in difficoltà, gestito da educatori non op- portunamente preparati e spesso incerti sia sul piano teorico che pratico, costantemente alla ricerca di supporti provenienti da altre scienze, specie dalla psicologia. Da qui discende la seconda assur- dità rilevata da Bertolini, l’“assurdo equivoco”33che stabilisce, im-

plicitamente, che di questi casi si debbano occupare le altre scien- ze molto più della pedagogia. In realtà, fa notare Bertolini,

“se è vero che i vari e molteplici mezzi e metodi di cura e di trattamento dei soggetti che qui ci interessano non deb- bono essere unicamente pedagogici, è pur tuttavia vero che proprio questi sono gli essenziali”34,

31 P. Bertolini, Per una pedagogia del ragazzo difficile, Malipiero, Bologna 1965, pp. 5-6.

32 Ibidem. 33 Ivi, p. 7. 34 Ibidem.

giacché ogni disagio è anche, ed essenzialmente, un problema educativo.

L’approccio di ispirazione fenomenologico-husserliana, fa di Bertolini un precursore di un diverso metodo di ricerca e di inda- gine pedagogica, che si misura non nelle quantità e nelle statisti- che, seppur doverose e necessarie, ma con l’indagine sul “senso”; non dunque alla ricerca di spiegazione di nessi causali, come nella logica determinista delle scienze naturali, ma alla ricerca di inter- pretazioni e di attribuzioni di significato intrinseci ai fatti e ai feno- meni indagati, al fine di pervenire alla loro comprensione, secondo la classica distinzione diltheiana fra scienze della natura, che si pre- figgono di spiegare scientificamente i fatti, e scienze dello spirito, chiamate a comprendere da un punto di vista ermeneutico-inter- pretativo i fatti stessi.

Questa svolta ermeneutica avviata da Bertolini è stata già da tempo recepita anche a livello criminologico, quando il supera- mento del modello positivista ha portato all’assunzione di un pa- radigma ermeneutico, capace di far emergere l’implicito dall’espli- cito e di svelare ciò che appare come celato attraverso il sistema complesso delle narrazioni35di sé, anche nell’ambito dello studio

del crimine e dei loro autori, poiché ogni delitto ha un senso e un significato da ricercare per il tramite delle storie;

“[…] i racconti correlano la realtà fattuale alla vita psichi- ca, perché il collegamento tra il mondo interno e il mondo esterno al soggetto è assicurato dalle parole che mediano la ricerca del senso e l’attribuzione di significato”36.

Il primo livello di comprensione del fenomeno indicato da Ber- tolini è quello dell’identificazione dei ragazzi difficili; chi sono i ra- gazzi difficili? Nella categoria “ragazzi difficili”, Bertolini fa rien- trare una lunga serie di diverse forme di disagio e di marginalità

35 Cfr. C. Barbieri, “Ermeneutica e criminologia”, in A. Verde, C. Barbieri, Nar-

rative del male. Dalla fiction alla vita, dalla vita alla fiction, Franco Angeli, Mi-

lano 2010, pp. 37-52. 36 Ivi, p. 46.

sociale che comprendono soggetti sottoposti a condizioni educati- ve negative, seppur non ancora irregolari nella condotta, ragazzi che soffrono di limitazioni materiali, miseria, povertà e ragazzi che vivono in contesti degradati dove manca una sufficiente ed effica- ce azione educativa, o anche ragazzi che vivono la disgregazione familiare e l’anaffettività familiare. Tutte queste condizioni con- corrono alla messa in atto di comportamenti inadeguati: “certe ini- ziali condotte aggressive, certe fissazioni a comportamenti egocen- trici ed egoistici, talune forme di passività o di profonda sfiducia proprie di questi soggetti, sono l’effetto immediato di quelle espe- rienze negative e sono l’espressione descrittiva del loro stato di «difficoltà educativa»”37.

Ragazzi difficili sono anche tutti quei soggetti, per lo più ado- lescenti o pre-adolescenti, cui non sono stati soddisfatti in manie- ra adeguata i principali bisogni di carattere materiale o psico-affet- tivo, sempre a causa di un difetto educativo che va a intaccare l’in- tero assetto psichico dei soggetti determinandone i comportamen- ti. “In termini psicoanalitici si potrebbe affermare che si tratta di soggetti in cui prendono forma e rilievo alterazioni più o meno gravi dell’io e del super-io, nel senso che non è stato raggiunto un soddisfacente equilibrio tra le forze istintive e le istanze normati- ve, o perché le prime sono state gravemente frustrate o perché le seconde non hanno potuto sufficientemente strutturarsi per le de- ficienze o addirittura per l’assenza dei normali rapporti educati- vi”38.

Infine, sono per Bertolini “ragazzi difficili”, e non “giovani de- linquenti” quei soggetti che hanno infranto le norme del codice penale. “Si tratta, infatti, quasi sempre o di soggetti che reagisco- no ad esperienze negative sul tipo di quelle da noi citate a propo- sito delle altre categorie di giovani definiti difficili, nel qual caso la scelta dell’atto antisociale dichiarato (furti, rapine, atti di vandali- smo, ricatti, ecc.) è semmai solo l’indicazione di un più accentua- to stato di tensione interiore o di una più grave forma di immatu- rità; o si tratta di soggetti per i quali […] i comportamenti delit-

37 P. Bertolini, Per una pedagogia del ragazzo difficile, cit., p. 13. 38 Ivi, p. 14.

tuosi rappresentano un mezzo e forse il solo a loro disposizione per soddisfare bisogni profondi che essi hanno in comune con tut- ti gli altri ragazzi, e che per deficienze educative del loro ambien- te non possono altrimenti soddisfare o compensare: bisogno di considerazione, di auto-affermazione, d’avventura e di esperienze nuove, di gioco, ecc. In questo senso, dunque, appare chiaramen- te tutta l’assurdità della convinzione che il comportamento antiso- ciale di un minorenne sia dovuto a «malvagità» da punire, […]”39.

Per analizzare il fenomeno dei comportamenti devianti Berto- lini sottolinea l’importanza fenomenologica di un “mondo per sé” che si sostanzia non di dati oggettivi, ma di particolari e specifiche visioni soggettive e personali del mondo. Le particolari “visioni del mondo” assunte a livello individuale, ma condizionate dall’am- biente circostante, dalla cultura, dalla realtà sociale, dalla condi- zione esistenziale, non meno che dalla propria costituzione psico- logica di base. “Di questa visione del mondo è dunque evidente che l’io personale è responsabile, anche quando non ne sia consa- pevole, ossia quando l’atto dell’intenzionare venga compiuto sen- za che la soggettività se ne renda perfettamente conto: una respon- sabilità che chiameremmo di tipo «esistenziale» dal momento che non ha ancora nulla in comune con la responsabilità giuridico-mo- rale”40. Il principio del libero arbitrio, dell’autonomia e dell’auto-

determinazione dell’uomo appare, dunque, come centrale nella considerazione del proprio essere che, come spiegava J. P. Sartre, “si sceglie”. L’uomo si sceglie nella misura in cui esprime una sua volontà specifica in funzione delle diverse possibilità poste dalla si- tuazione, e questa sartriana libertà in situazione mette l’individuo, comunque, sempre nella possibilità di scegliere fra le possibilità date dalla situazione stessa, evidenziando la non assolutezza del- l’unica strada vista come percorribile.

Precisa, infatti, Bertolini che: “se è vero che la struttura della persona ha una dimensione bio-psico-sociale che ne condiziona in un certo senso le possibilità, è altrettanto vero, infatti, che essa ha pure una dimensione che chiameremmo spirituale, fonte di liber-

39 Ivi, p. 15. 40 Ivi, p. 32.

tà e di auto-determinazione”41, espressione piena della coscienza

intenzionale, ovvero di quella coscienza intenzionata a realizzare se stessa come persona nella sua più vera e totale essenza. Se, dun- que, il soggetto acquisisce naturalmente e in maniera implicita una data visione del mondo, a partire dalla sua situazione esistenziale, dal contesto familiare, sociale e culturale, allo stesso tempo il sog- getto, durante il percorso di crescita personale e auto-determina- zione, può e deve costruire proprie e personali visioni del mondo, anche in contrasto con quelle precedentemente assunte in manie- ra passiva (genesi attiva/passiva delle visioni del mondo). Posta l’importanza dell’educazione in contesto familiare, che trasmette una certa visione del mondo (genesi passiva), Bertolini sottolinea la necessità di un’autoformazione (genesi attiva).

“La costituzione per genesi attiva di una soggettività, infatti, al- tro non è che la progressiva soggettivizzazione (o personalizzazio- ne) consapevole del vario materiale esperienziale già presente nel- l’io, appunto come conseguenza della sua costituzione per genesi passiva; una soggettivizzazione che si attua tramite l’attività inten- zionale della coscienza per la quale il soggetto diventa «persona» responsabilizzandosi, sia attraverso il rifiuto di tutto ciò che è so- vrastruttura posticcia perché ereditata passivamente dall’esterno, sia attraverso la consapevolezza della sua propria ineliminabile im- plicazione nel mondo e nella sua stessa storia personale”42.

Viene, dunque, a cessare un insano rapporto di causa/effetto di natura deterministica e necessaria, secondo cui gli essere umani sa- rebbero determinati dalle condizioni esistenziali, familiari e cultu- rali; in tal senso Bertolini sostituisce alla determinazioni il termine di “condizionamento”, come quell’insieme di fattori che posso condizionare, ma non decidere l’esistenza soggettiva nel suo con- creto agire.

Il processo di formazione della personalità umana fin qui illu- strato pone in primo piano il compito educativo e pedagogico che vi è alla base; in primo luogo l’educazione svolge un ruolo fonda- mentale, nel bene o nel male, nel momento della genesi passiva

41 Ibidem. 42 Ivi, p. 38.

delle visioni del mondo e, allo stesso tempo, è sempre l’educazio- ne ad essere fondamentale all’interno del processo di autoforma- zione implicita nella genesi attiva nella misura in cui offre al sog- getto spazi di riflessione e di problematicizzazione dell’esistenza, dove creare valori condivisi, non frutto di sterili imposizioni mo- ralistiche. Poste queste premesse, Bertolini può asserire che “ogni forma di disadattamento rappresenta un deficit nello sviluppo del- la personalità umana”43. Ecco perché ogni azione educativa o rie-

ducativa deve tener conto della complessità del lavoro di forma- zione della personalità, in modo da poter rintracciare i fattori di- sturbanti e operare nella loro efficace risoluzione al fine di dare una diversa spinta all’evoluzione personale.

In particolare, Bertolini fa notare come l’aspetto più problema- tico nella formazione umana sia rappresentato dalla costruzione della propria coscienza intenzionale, permanendo al livello di una genesi passiva delle proprie visioni del mondo e del proprio stare nel mondo priva di consapevolezza e di responsabilità. “L’indivi- duo, che non assurge al livello della persona, rinuncia di conse- guenza a concepire se stesso all’origine del proprio comportamen- to e corresponsabile del proprio e dell’altrui destino, rimanendo irretito per così dire in una visione del mondo essenzialmente pas- siva in cui domina la convinzione della nullità dell’individuo di fronte alle cose e al mondo, dotati di una forza autonoma e sover- chiante, e quella del non-senso della vita e della propria persona. […]. Così egli disperde se stesso nel mondo dell’immediato, assu- mendo l’atteggiamento spirituale del fatalismo che altro non signi- fica se non fuga da se stesso o, per dirla con la terminologia kier- kegaardiana in questo caso assai appropriata, «rifiuta di essere ve- ramente se stesso»”44, stato che provoca infelicità e disadattamen-

to interiore, unitamente a senso di inadeguatezza, sfiducia e fru- strazione profonda.

Comportamenti reattivi sono: 1) La ricerca del piacere immedia- to: edonismo, consumismo, materialismo, cinismo, narcisismo; 2) Fuga da sé: fatalismo, scetticismo, sfiducia in se stessi, pessimismo,

43 Ivi, p. 47. 44 Ivi, p. 48.

mancata accettazione dei propri limiti, come delle proprie possibi- lità, auto-svalutazione, ribellione alla propria condizione vs desi- derio di alienazione. 3) Disperazione per se stesso (da un’espressio- ne kierkegaardiana): quando un barlume di coscienza si affaccia è il soggetto percepisce lucidamente la propria incapacità a vivere in modo autentico; questo stato produce ripiegamento interiore, so- lipsismo, visione negativa di sé, autoannullamento, rischio di sui- cidio.

I soggetti che mettono in atto una di queste forme reattive, ten- dono a unirsi in gruppi, dove darsi sostentamento reciproco e do- ve avviare una qualche forma di interessamento alla vita, il ché ter- mina, nella stragrande maggioranza dei casi un peggioramento in- dividuale e di gruppo, con azioni devianti, criminali e antisociali. Viene a mancare, in sostanza, anche l’accettazione del principio di realtà, opposto al principio del piacere, con il riconoscimento e l’accettazione dei limiti imposti dalla società, dalla famiglia, dalle leggi, dalla propria coscienza morale. In questo stato di coscienza l’io si avverte quasi come onnipotente, al di là del bene e del ma- le, dominante, totalmente incapace di percepire l’altro e l’espe- rienza dell’altro, in una forma grave di irrelazionismo; da qui com- portamenti e condotte che ne confermano la sostanza quali episo- di di violenza, aggressività, bullismo,vandalismo, arroganza, irre- sponsabilità.

Il recupero dei ragazzi difficili deve, dunque, avvenire nella consapevolezza della libertà personale di autodeterminazione; qualsiasi sia la condizione di partenza ogni essere umano può mo- dificare e rivedere le sue visioni del mondo e le sue condotte a pat- to che sia intenzionalmente disposto a farlo per un atto di volontà personale.

“Qualunque trattamento rieducativo dovrà seguire le pro- spettive sopra illustrate, ponendosi fin dall’inizio come la- voro fondamentalmente spirituale i cui protagonisti siano le coscienze individuali del soggetto da rieducare e del- l’educatore, generatrici di una realtà vivente, per ciò stes- so sempre dinamica e sostanzialmente problematica. In questo senso, pertanto, noi crediamo di poter affermare un indirizzo pedagogico emendativo (per usare una vecchia terminologia) non fondato sulla semplice negazione delle

condotte giudicate obiettivamente negative e quindi sulla repressione di esse più o meno lesiva della personalità umana (sia pure ottenuta tramite un supposto auto-con- trollo del soggetto da rieducare) quanto piuttosto fondato su una progressiva e continua scoperta (autocoscienza) di se stesso da parte del ragazzo difficile e su di una libera e spontanea revisione del suo modo di pensare e di intenzio- nare la realtà”45.