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LE FUNZIONI DELLA PENA

7. Le teorie abolizioniste

La cornice teorica di riferimento dell’abolizionismo può rintrac- ciarsi in alcuni nomi rappresentativi che hanno offerto un notevo- le contributo alla sua organizzazione concettuale. Parlando della corrente abolizionista europea16, che ha molti punti di contatto con

la giustizia riparativa, infatti, compaiono i nomi di Nils Christie, H. Bianchi, Louk Hulsman, Thomas Mathiesen unitamente agli espo- nenti della criminologia critica italiana come Alessandro Baratta e

Giuseppe Mosconi, tutti accomunati dalla critica al sistema giuridi- co e penale e da una concezione non repressiva della società e del- lo Stato. Elementi comuni, pur nell’eterogeneità delle letture teori- che, sono certamente i concetti di depenalizzazione e di decarceriz- zazione, oltre alla critica al controllo sociale e allo Stato, ritenuto unico detentore di un potere assoluto e totalizzante.

Chistie, sociologo norvegese, proponeva un modello di giusti- zia che doveva fondarsi su una “giustizia di vicinato”, in cui l’atten- zione dove ruotare in primis intorno alla vittima e solo in secundis intorno al reo; alla vittima sarebbe corrisposto il risarcimento del danno all’interno della comunità di riferimento e direttamente da un’azione contraria e positiva da parte del reo17. Tale lettura pro-

pone un’immagine di microsocietà ideale e utopistica governata dai principi di solidarietà e di fratellanza, in cui il danno di uno di- venta il danno di un’intera comunità che si attiva per garantire il risarcimento del danno subito attraverso varie forme di pacifica- zione e di conciliazione.

Bianchi18, sociologo olandese, rivitalizzando il concetto ebrai-

co di tsedeka, che vuol dire “giustizia di Dio”, interpreta il bino- mio danno-pena in chiave riparativa e conciliativa, in cui le parti coinvolte possano trovare soluzione opportune alla risoluzione dei conflitti sul “modello dell’incontro” con l’aiuto di un terzo neutra- le. Allo stesso modo comportamenti devianti e trasgressivi vengo- no analizzati e discussi in atti comunicativi volti alla chiarificazio- ne delle norme e alla coesione sociale naturale e non coercitiva.

Hulsman fa della teoria dell’etichettamento l’origine e il man- tenimento sociale del crimine stesso, esito di una costruzione so- ciale deviante fondata su un inefficace controllo sociale di tipo pu- nitivo e repressivo. Proponendo un controllo sociale informale e meno rigido, il sociologo analizza l’origine dei conflitti inquadran- doli tutti in precisi contesti sociali, quali famiglia, lavoro, scuola,

17 Cfr., N. Christie, “Conflict as Property”, in The British Journal of Criminolo-

gy, 1, 1977, pp. 1-15; dello stesso autore, Limits to Pain, Oslo 1981.

18 Cfr. H. Bianchi, “Tsedeka Justice”, in Review for Philosophy and Theology, 1973, pp. 306-317; dello stesso autore, Justice as Sanctuary: Toward a New Sy-

etc.; questa considerazione lo conduce all’ideazione di una forma di risoluzione pacifica e informale dei conflitti con procedure di ti- po riparativo, eliminando la pena come reclusione carceraria, rite- nuta sterile, dannosa e inutile, capace solo di rafforzare le disugua- glianze sociali, di cristallizzare identità devianti e di stigmatizzare. In sostanza, come spiega Massaro, “Hulsman rifiuta la visione ma- nicheistica che informa di sé il campo della giustizia penale, basa- ta sulla dicotomia di stampo teologico innocente-colpevole che, perpetuata ad ogni livello del sapere, sembra essere data ormai per scontata. L’invito è ad interrogarsi sui fatti, sull’applicazione dei dichiarati principi di uguaglianza dei cittadini, su come questi ul- timi percepiscono la macchina penale, “meccanismo senz’anima”. Un rifiuto non già della responsabilità personale e di ogni misura coercitiva, ma di quella concretamente prevista ed applicata dal si- stema penale. Una macchina repressiva che attraverso il carcere fi- nisce per realizzare un vero e proprio castigo corporale, una de- gradazione in un universo alienante”19. Egli propone, infine, la so-

stituzione del sistema penale con programmi di risoluzione delle controversie fra vittime e rei che facciano uso di strumenti effica- ci di mediazione e di riparazione.

Mathiesen20 propone la netta abolizione del carcere, istituto

che, secondo il sociologo, avrebbe già da tempo manifestato la sua insufficienza e inefficacia, specie in tema di riabilitazione; anche in questo caso le forme di giustizia alternative al carcere sarebbero quelle riparative, in cui la vittima di un reato possa trovare il suo giusto risarcimento all’interno di un sistema sociale fondato sul- l’aiuto alla vittima.

Anche la criminologia critica rilegge il sistema penale propo- nendo forme alternative di riparazione del danno per mezzo del- l’attività della conciliazione e della mediazione che dovrebbero, però, avvenire fuori dal classico contesto giuridico e con forme di- verse e ridotte di controllo sociale21.

19 P. Massaro, Op. cit., pp. 61-62.

20 Cfr., T. Mathiesen, Kan fengsel forsvarses? (1987), tr. it., Perché il carcere?, Gruppo Abele, Torino 1996.

21 Cfr., V. Ruggiero, Il delitto, la legge, la pena. La contro-idea abolizionista, Gruppo Abele, Torino 2011.

1 Cfr. L. Di Profio, Narrazione e pedagogia introspettiva, ESA, Pescara 2010. 2 Cfr. L. Di Profio, “L’intervista ermeneutica some strategia per i cambiamenti

concettuali e l’evoluzione critica delle conoscenze”, in Ricerca e introspezione.

Per una teoria della conoscenza pedagogica, Rubbettino, Soveria Mannelli

2011, pp. 171-232.

3 Cfr. L. Di Profio, “Dalla drammatizzazione alla trattazione del tema: intervi- sta ermeneutica e scrittura di sé”, in La Teatrosofia. Amore e morte nella peda-

gogia teatrale per ragazzi. Socrate è di scena, Pensa MultiMedia, Lecce-Brescia

2015; nel presente testo sono stati illustrati e applicati il metodo dell’intervi- sta ermeneutica e della scrittura di sé, oltre che alla rappresentazione teatrale. 4 Cfr. L. Di Profio, L’educazione tanatologica. Come e perché parlare di morte con

i bambini, ESI, Napoli 2014; nel presente testo uso lo strumento dell’intervi-

sta ermeneutica con i bambini di scuola dell’infanzia e di scuola primaria. 5 Cfr. di Duccio Demetrio, L’educazione interiore. Introduzione alla pedagogia

introspettiva, La Nuova Italia, Firenze 2000; La scrittura clinica. Consulenza autobiografica e fragilità esistenziali, Raffaello Cortina, Milano 2008; Autoana- lisi per non pazienti. Inquietudine e scrittura di sé, Raffaello Cortina, Milano

2003; Raccontarsi. L’autobiografia come cura di sé, Raffaello Cortina, Milano 1995; Manuale di educazione degli adulti, Laterza, Roma 2003.

6 Cfr. di Franco Cambi, L’autobiografia come metodo formativo, Laterza, Roma 1. Narrazione ed educazione interiore

Sul tema dell’educazione interiore e della pedagogia introspettiva1,

come sugli strumenti che maggiormente possono essere d’ausilio al- la ricerca pedagogica sul campo e all’attività educativa in senso stretto, come l’intervista ermeneutica2, l’intervista narrativa, percor-

si narrativi e autobiografici, scrittura di sé3ho già scritto in altri vo-

lumi dedicati proprio a queste tematiche, ripresi poi anche in testi che nella loro parte empirica si sono avvalsi di questi strumenti4con

riferimento ai maggiori teorici sull’argomento in ambito pedagogi- co, come Duccio Demetrio5e Franco Cambi6, dei quali si rimanda

ESPERIENZE DIALOGICHE DI EDUCAZIONE

INTERIORE IN CARCERE: