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L’idea storie di dentro

STORIE DI DENTRO PERCORSI NARRATIVI E DIALOGICI DI EDUCAZIONE INTERIORE

2. L’idea storie di dentro

Come spesso accade le idee nascono per caso, o quasi. In verità già da tempo pensavo alle possibili attività educative da svolgere al- l’interno dei contesti penitenziari, l’argomento da sempre mi inte- ressa molto, sia da un punto di vista intellettuale, l’ambito della pedagogia della devianza e della pedagogia penitenziaria è sempre stato uno dei miei interessi più o meno silenti, sia da un punto di vista umano, nell’incontro con un’alterità troppo spesso denigrata e stigmatizzata. Da anni avevo intrapreso lo studio di questi argo- menti, un corso universitario, diverse tesi seguite da miei studenti e mie studentesse all’interno dei diversi contesti carcerari, dal car- cere ordinario agli istituti penitenziari per minori, e diversi erano stati gli approcci, in particolare intervista narrativa sul modello au- tobiografico e questionari.

Il caso ha voluto che entrassi nel contesto penitenziario grazie alla presenza di un detenuto, ora mio laureando, iscritto in uno dei corsi di Laurea in cui sono incardinata. Entrare in carcere suscita, specie nelle prime volte, una profonda impressione. Volti qualun- que, volti perbene, volti che sorridono, parlano, studiano all’inter- no di un carcere che li tiene prigionieri di loro stessi, prima di ogni altra cosa. Fu in quell’occasione che conobbi anche l’educatrice del carcere, la dott.ssa Annamaria Raciti, la quale, oltre a un’estre-

ma competenza educativa, vanta anche una formazione giuridica estremamente ricca e variegata. Da lì l’idea di chiederle se fosse stato possibile organizzare insieme una qualche attività educativa e rieducativa per i detenuti; la risposta fu gioiosamente affermati- va; nonostante il grande lavoro del personale e delle diverse figu- re che lavorano assiduamente in carcere, il carcere resta ancora un luogo che necessita dell’intervento e del sostegno costante delle at- tività proposte dal territorio e dalla presenza di volontari che pos- sano sostenere e arricchire il processo rieducativo in essere. Dai corsi di cucina, cucito, per elettricista, ai cineforum e ai laborato- ri di scrittura creativa, tutto occorre per offrire ai detenuti e alle detenute una diversa immagine di sé e della realtà, dentro e fuori dal carcere.

Prende l’avvio così il progetto Storie di dentro. Percorsi narrati- vi e dialogici di educazione interiore; da sempre, infatti, uno dei miei filoni di ricerca è quello della pedagogia introspettiva e del- l’educazione interiore, declinate nelle diverse fasce di età e nei di- versi contesti di vita, compresi, dunque, i detenuti e il carcere. Il progetto di ricerca si sintetizzava in quanto segue:

Il progetto di pedagogia penitenziaria qui brevemente pre- sentato si prefigge l’obiettivo di proporre strumenti di sup- porto nell’ambito della rieducazione carceraria. Essenziali ai fini della rieducazione sono tutti quei percorsi formativi ed educativi che consentano al soggetto la costruzione, ri- costruzione, di una nuova e più matura identità, capace di ridefinirsi in un progetto esistenziale compiuto e contrad- distinto dall’assunzione di nuovi modelli culturali e socia- li, nonché di nuove dimensioni interpretative di sé e del mondo.

L’approccio che s’intende avviare è quello della pedagogia introspettiva e dell’educazione interiore, i cui apporti teo- rici, già da diversi anni, risultano di primaria importanza nell’ambito della formazione della persona sia all’interno del settore puramente accademico, sia nella sua attuazione pratica all’interno dei diversi contesti formativi quali scuo- la, centri di recupero, case famiglie, penitenziari, centri giovanili, etc.

Il lavoro introspettivo punta sull’acquisizione di compe- tenze interiori quali conoscenza di sé, consapevolezza, ca-

pacità di attivare processi riflessivi e autocritici, sviluppo dell’identità e del Sé, costruzione della propria personali- tà, tutti elementi imprescindibili nell’acquisizione della ca- pacità di saper gestire e dirigere compiutamente gli sforzi di cambiamento e di progettualità insiti in ciascun percor- so di crescita individuale, specie all’interno dei percorsi rieducativi ed emendativi.

L’analisi dei propri vissuti emotivi e interiori, unitamente alla rielaborazione storica e cognitiva del proprio percorso di crescita e di formazione, contribuiscono a una migliore ristrutturazione della personalità e della capacità proget- tuale, nell’ottica di un cambiamento di prospettive e di possibilità esistenziali diversamente organizzate e struttu- rate.

STRUMENTI: Intervista ermeneutica sul modello del fo- cus group; lettura espressiva di libri, romanzi e testi, anche teatrali, discussioni sul tema; social dreaming; cineforum, scrittura di sé.

Ottenuto anche il parere favorevole della direttrice del carcere, dott.ssa Giuseppina Ruggero, il laboratorio poteva iniziare.

Il gruppo di detenuti cui dedicare il laboratorio è stato inizial- mente composto dall’educatrice Annamaria Raciti e dalla stessa direttrice, e riguarda i detenuti della sezione speciale sex offen- ders2, art. 609-quater del codice penale (Legge 15 febbraio 1966,

che punisce tutti i reati sessuali contro minori che non abbiano compiuto i 14 anni o i 16 anni in caso di legami familiari e educa- tivi), 609 bis, reati sessuali contro adolescenti che non abbiano compiuto i 18 anni di età, e violenza sessuale comune, sezione che ha recentemente convogliato nella Casa Circondariale di Chieti anche detenuti precedentemente ospitati in altre strutture carcera-

2 Sull’ampia bibliografia esistente in tema di violenza sessuale, violenza sessua- le su minori e pedofilia si vedano, fra gli altri, anche: A. Oliverio Ferraris, B. Graziosi, Pedofilia. Per saperne di più, Laterza, Roma-Bari 2001; L. Scarsella,

Dovere di stupro. La cultura della violenza sessuale nella storia, Datanews, Ro-

ma 1992; G. Cifaldi, Pedofilia tra devianza e criminalità, Giuffrè, Milano 2004; G. Gulotta, S. Pezzati, a cura di, Sessualità, diritto e processo, Giuffrè, Milano 2002.

rie, e altri detenuti comuni. Successivamente, per volontà dell’edu- catrice Stefania Basilisco, al laboratorio hanno potuto partecipare anche tutti gli altri detenuti che ne avessero fatto richiesta con spe- cifica domandina all’educatore; nel corso dei mesi sono stati mol- ti i detenuti ad averne usufruito.

Per il rispetto della privacy ho preferito non conoscere i reati commessi da ciascuno, anche per non inficiare la relazione educa- tiva con i detenuti stessi e per mantenere ben ancorato il principio rogersiano dell’astensione dal giudizio e dell’atteggiamento non giudicante, principio valido nelle relazioni terapeutiche, ma anche nelle relazioni educative e in genere in tutte le relazioni d’aiuto, es- sendo il pensiero di Carl Rogers3un riferimento fondamentale ri-

masto ancora insuperato anche in campo educativo e pedagogico, specie in quella branca della pedagogia definita come pedagogia clinica, volta al sostegno e alla riprogettazione educativa del Sé in situazione di difficoltà e di disagio.

In particolare, la presenza di detenuti che rientrano nella tipo- logia dei sex offenders ha richiesto una maggiore attenzione, ren- dendo necessaria una più approfondita documentazione in mate- ria di trattamento in questi casi specifici. Questa esigenza è sorta dalla consapevolezza che, seppur in assenza di qualsiasi presuppo- sto di tipo terapeutico, essendo priva sia dei titoli che delle com- petenze per poterlo impostare, l’accostarsi a questi soggetti, anche con un approccio esclusivamente di tipo ri-educativo, avrebbe comportato la necessità di comprendere più approfonditamente suddetta categoria di detenuti. Sapersi relazionare in maniera em- patica è, infatti, il presupposto di qualsiasi intervento di tipo edu- cativo, che richiede comunque delle competenze e delle conoscen- ze di base, anche di tipo psicologico, per favorire e facilitare l’in- staurarsi della relazione educativa.

Ecco perché estremamente utili si sono rivelate le letture di al- cuni interessanti testi4incentrati sul trattamento e sulle linee di in-

3 Cfr. di C. R., Rogers, La terapia centrata sul cliente, Martinelli, Firenze 1970;

Un modo di essere, Martinelli, Firenze 1983; C. R., Rogers, M., Kinget, Psico- terapia e relazioni umane, Bollati Boringhieri, Torino 1970.

tervento penitenziario e post-penitenziario diretti proprio agli au- tori di reati sessuali, categoria che prevede specificità e attenzioni del tutto peculiari, come illustrato nel primo programma di tratta- mento5 per autori di reati sessuali in atto in Italia realizzato dal

CIPM (Centro Italiano per la Promozione della Mediazione) nel Carcere di Milano-Bollate e nel Presidio criminologico territoriale del Comune di Milano.

Le finalità del trattamento riguardano la capacità di favorire processi di consapevolizzazione crescente e di responsabilizzazio- ne soggettiva; come spiega Lucia Castellano, ex direttore della Ca- sa di reclusione di Milano-Bollate, occorre “utilizzare la pena co- me passaggio evolutivo, al fine di migliorare la loro qualità di vita, di agevolare il reinserimento sociale, ma soprattutto di prevenire la recidiva delle condotte criminose”6. Il trattamento dei detenuti,

compresa la categoria dei sex offenders, si prefigge l’obiettivo di avviare processi in grado di generare cambiamenti e salti evolutivi nei diversi soggetti, anche per ottemperare alle altre funzioni del- la pena, quelle della difesa sociale e della rieducazione. Diventa in- dispensabile l’utilizzo degli strumenti più idonei affinché si possa- no rimettere in libertà soggetti che abbiano avuto modo di pren- dere coscienza dei propri errori e che siano nella condizione di sa- per evitare ogni forma di recidiva, grazie alla luce della volontà e della consapevolezza raggiunta. Non avrebbe alcun senso far scon- tare la pena senza pensare alle forme di rieducazione attuate per favorire la possibilità del cambiamento; non avrebbe alcun senso la punizione, se questa non fosse affiancata dalla rieducazione, poi- ché un uomo solamente punito che torna in libertà non offre alcu- na garanzia, socialmente significativa, circa l’impossibilità di ri- commettere reati.

mento per gli autori di reati sessuali, Raffaello Cortina, Milano 2011; I. Petruc-

celli, L. T. Pedata, L’autore di reati sessuali. Valutazione, trattamento e preven-

zione della recidiva, Prefazione di C. Simonelli, Franco Angeli, Milano 2008;

C. Simonelli, F. Petruccelli, V. Vizzari (a cura di), Le perversioni sessuali.

Aspetti clinici e giuridici del comportamento sessuale deviante, Franco Angeli,

Milano 2002.

5 Il piano di trattamento è illustrato nei dettagli dagli ideatori e da coloro che nella pratica lo realizzano nel testo di P. Giulini, C. M. Xella, Op. cit. 6 L. Castellano, Prefazione, a P. Giulini, C. M. Xella, Op. cit., p. XV.

La Castellano, inoltre, pone l’accento sul “codice sottocultura- le” che vige all’interno delle carceri, sub-culture che presentano precise regole e codici di comportamento che vedono l’esclusione e la ghettizzazione degli autori di reati sessuali, non accettati e osteggiati dai detenuti comuni. “I detenuti autori di reati sessuali vengono rinchiusi in sezioni apposite, le cosiddette “sezioni pro- tette”, per scongiurare eventuali reazioni punitive nei loro con- fronti a opera dei detenuti “comuni”. […]. Il principio costituzio- nale della pena rieducativa, che integra la risposta retributiva del- lo Stato, è spesso davvero di difficile realizzazione in queste sezio- ni, caratterizzate da una “reclusione nella reclusione” e da regimi detentivi resi più rigidi dalle esigenze di sicurezza”7.

In merito alle sezioni speciali, è utile ricordare che il laborato- rio di pedagogia introspettiva dalla scrivente avviato vede anche l’integrazione positiva fra detenuti “speciali” e detenuti “comuni”, aspetto rilevante in termini di comprensione reciproca, solidarietà e vicinanza sperimentati nei diversi incontri con i detenuti. Come si avrà modo di vedere nel racconto dettagliato dei vari incontri, si è potuto evidenziare un alto livello d’integrazione fra le due diver- se categorie di detenuti, fino all’annullamento di ogni distanza, tutti mossi e impegnati nel complesso tentativo, spesso riuscito, di comprendere se stessi e gli altri in un atteggiamento veramente non giudicante e solidale con la sofferenza e con le esperienze ne- gative e traumatiche dell’altro. Parlare insieme, aprirsi al dialogo autentico, avviare processi di conoscenza reciproca hanno avuto il merito di rompere i muri e le barriere dell’incomprensione, del- l’intolleranza e dell’aggressività reciproca.

Pur se d’impostazione psicologica e psicoterapeutica, questi ri- ferimenti bibliografici hanno avuto il grandissimo merito di trasfe- rirmi alcuni concetti chiave imprescindibili anche nella relazione educativa con i detenuti; in primo luogo, Carla Maria Xella, fa ri- ferimento alla teoria del Good Lives Model, (GLM) teoria recente (a partire dal 2004) sul trattamento dei reati sessuali che ha avuto numerosi riscontri positivi nella sua fase di attuazione. Tralascian- do gli aspetti trattamentali di natura prettamente psicologica e te-

rapeutica, si vuole porre l’attenzione su alcuni concetti fondamen- tali presenti nel modello GLM; il primo riguarda la qualità della relazione fra operatori e soggetti a cui è diretto il trattamento: “ “Clima emotivo positivo”, non significa in alcun modo giustifica- zione o collusione con il reato: piuttosto il reato viene considerato come un evento molto grave e dannoso, ma che non definisce il soggetto nel suo insieme. […] Gli operatori sono tenuti a definire i soggetti del programma non “aggressori sessuali”, ma “persone che hanno commesso un reato sessuale”. E che, implicitamente, hanno una serie di altre aree funzionanti nella vita, sulle quali pos- sono far conto per evitare di commettere nuovi reati”8. Il secondo

concetto di grande utilità nell’ambito ri-educativo, capace di for- tificare e sostenere la possibilità di pensare alla ri-costruzione di una “buona vita”, è quello di autostima: “La ricostruzione, o la co- struzione, in alcuni casi, di una sufficiente autostima è il prerequi- sito per cominciare a lavorare, nonché uno dei più potenti fattori di cambiamento e di mantenimento dei risultati”9.

L’approccio ri-educativo con i detenuti in genere richiede, dunque, la conoscenza di alcuni principi psicologici di base per meglio approcciarsi ai diversi casi e alle diverse esigenze relaziona- li, mettendo in campo valori pedagogici assoluti quali l’empatia, l’ascolto, il dialogo, l’epoché o sospensione del giudizio, detto an- che atteggiamento non giudicante, clima emotivo positivo, autosti- ma e valorizzazione delle potenzialità inespresse, latenti o non an- cora pienamente esplicate.

Con la pienezza di questo spirito e di questa filosofia di tratta- mento entro in carcere con la speranza di farmi portatrice di una visione positiva dell’esistenza, che può sempre volgersi verso nuo- vi orizzonti di senso e verso nuove consapevolezze interiori.

8 C. M. Xella, Il Good Lives Model. Una nuova prospettiva sull’eziologia e sul

trattamento dell’aggressione sessuale, in, P. Giulini, C. M. Xella, Op. cit., p. 29.