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Dalla pedagogia sociale alla pedagogia penitenziaria: fra de vianza e marginalità

LE ORIGINI DELLA PEDAGOGIA EMENDATIVA

2. Dalla pedagogia sociale alla pedagogia penitenziaria: fra de vianza e marginalità

Il fondamento epistemologico della pedagogia sociale si colloca al- l’interno di una concezione pedagogica che vede la società intera coinvolta in massimo grado nell’azione educativa e formativa dei singoli. Ogni attività educativa e formativa si rivolge certamente ai singoli, ma è inequivocabile il fatto che ogni singolo viva una stret- ta corrispondenza con la società e la cultura di appartenenza, con il contesto storico, sociale, economico e politico che lo determina e condiziona. Società sempre in continuo mutamento, cambia- menti valoriali ed etici, nuovi bisogni ed emergenze formative ri- chiedono alla pedagogia un costante sguardo rivolto alle dinami- che sociali emergenti nel tentativo di predisporre le più opportu- ne occasioni educative e formative, in linea con le necessità con- tingenti che la società pone nei diversi momenti della storia.

La nascita della pedagogia sociale11è fatta risalire all’opera di

10 Un testo fondamentale che illustra le dinamiche del “divenire” devianti e del- la costruzione sociale e identitari dello stigma di “deviante” è quello di D. Matza, Becoming Deviant, tr. it., Come si diventa devianti, Il Mulino, Bologna 1976.

11 Sulla nascita e l’evoluzione della pedagogia sociale si veda M. Pollo, Manuale

P. Natorp (1854-1924), filosofo tedesco neokantiano che con la sua opera fondamentale del 1898, Sozialpädagogik, diede un im- pulso considerevole a un’accezione della pedagogia in chiave so- ciale e contraria all’individualismo; sarà H. Nohl a intendere suc- cessivamente la pedagogia sociale come attenzione alla totalità dei bisogni nati in seno alla società, affinché possano essere offerte le risposte necessarie con una valenza assistenziale e riparatrice, as- segnando alla pedagogia sociale tre ruoli fondamentali: prevenzio- ne, aiuto e cura.

Oltre, dunque, a rispondere alle sempre diversificate necessi- tà sociali emergenti, la pedagogia riconosce alla società un pote- re “educante”, nella misura in cui è la società stessa a trasmette- re e trasferire valori, visioni del mondo, credenze, principi axio- logici e modi di vita che coinvolgono le scelte e le azioni indivi- duali, come nella definizione di pedagogia sociale offertaci da Aldo Agazzi:

“Chiamo “pedagogia sociale” la coscienza e l’opera di una società consapevole delle proprie responsabilità educative nei riguardi delle nuove generazioni, tali da fare di essa un soggetto educatore, una “società educante””12.

La composizione dinamica della società educante vede coin- volte le diverse agenzie formative, formali e informali, come fami- glia, scuola, enti, istituti, chiese, lavoro, gruppi giovanili, mass me- dia che insieme caratterizzano la società educante e danno la mi- sura dei compiti e degli interessi della pedagogia sociale13nel suo

complesso, analizzando e studiando categorie sociali definite co- me ad esempio l’infanzia, i soggetti marginali, le donne, la terza età e fenomeni sociali rilevanti come la devianza14, il disagio, l’immi-

12 A. Agazzi, “Una pedagogia al servizio dell’uomo”, in Pedagogia e Vita, 1, 2000, pp. 44-45.

13 Cfr. L. Pati, Pedagogia sociale. Temi e problemi, La Scuola, Brescia 2007; A. Gramigna, Manuale di pedagogia sociale. Scenari del presente e azione educati-

va, Armando, Roma 2003; S. Tramma, Pedagogia sociale, Nuova edizione,

Guerini e Associati, Milano 2010.

grazione, il lavoro, la violenza giovanile15, il bullismo e altro anco-

ra.

Scriveva J. Dewey.

“Ogni educazione deriva dalla partecipazione dell’indivi- duo alla coscienza sociale della specie. Questo processo s’inizia consapevolmente quasi dalla nascita e plasma con- tinuamente le facoltà dell’individuo, saturando la sua co- scienza, formando i suoi abiti, esercitando le sue idee e de- stando i suoi sentimenti e le sue emozioni. Mediante que- sta educazione inconsapevole l’individuo giunge gradual- mente a condividere le risorse intellettuali e morali che l’umanità è riuscita ad accumulare”16.

Se, dunque, la società educante imprime la sua forza sugli indi- vidui, la riflessione costante sulle dinamiche sociali e sulle propo- ste valoriali emergenti induce a una costante problematizzazione che include anche la necessità di saper educare al pensiero critico, sottraendosi alle logiche del pensiero comune omologante, spesso foriero di derive morali ed etiche di rilevanza storica e sociale. “La pedagogia sociale come sapere, quindi, risulta essere oggi un sape- re interdisciplinare e critico, guidato da una riflessione sul sociale e il suo «senso» è legato al fissare-intenzioni, le quali, però, devo- no decidere se porsi al servizio del sistema sociale oppure «fondar- lo» e oltrepassarlo, facendo valere come processo cardine proprio la formazione e la formazione di un soggetto integrato e critico al tempo stesso”17. Ecco perché la pedagogia sociale è anche una pe-

dagogia critica che riflette sui fini, sui mezzi e sulle realtà sociali in- citando a una visione libera e consapevole della realtà, non omo-

questione minorile, criteri di consulenza e intervento, Nuova Edizione, Gueri-

ni e Associati, Milano 2011.

15 Cfr. E. Elamé, Prevenire la violenza giovanile. Il contributo della pedagogia so-

ciale, Pensa MultiMedia, Lecce-Brescia 2012.

16 J. Dewey, Il mio credo pedagogico. Antologia di scritti sull’educazione, La Nuo- va Italia, Firenze 1954, p. 54.

17 R. Certini, “Tra pedagogia e società: quale legame?”, in F. Cambi, R. Certini, R. Nesti, Dimensioni della pedagogia sociale. Struttura, percorsi, funzione, Ca- rocci, Roma 2010, p. 29.

logante, contraria al pensiero unico e al conformismo privo di ri- flessione. La riflessività18 è, dunque, una categoria fondamentale

della pedagogia sociale, chiamata a riflettere e a educare alla rifles- sione e al pensiero critico le nuove generazioni, per mezzo della narrazione di sé, del dialogo e dell’ascolto.

Sarà Franco Cambi a dare una delle più belle definizioni criti- che di una pedagogia sociale complessa, dialettica e problematica: “La pedagogia sociale conforma, socializza, integra e segue i mu- tamenti lenti della società. Ma essa sta anche dentro le tensioni e le contraddizioni del sociale. Abita presso le emarginazioni, fissa, nel suo agire, una società più “sana” e la pone in vista e la rende, in qualche modo, già attiva. La pedagogia sociale sta anche tra i rom, nelle carceri, nei centri di recupero ecc. e sente e ascolta e as- simila il dolore di quelle condizioni, il valore di un richiamo che da lì sorge, la tensione di una ricerca ulteriore, verso un’altra società che qui si accenna, almeno in auspicio. Così la pedagogia sociale anche dissente, si oppone, dà voce ai margini, inquieta l’Ordine e invoca una revisione della Legge”19.

Questa bellissima definizione rimanda a una maniera umana e profonda di vivere la dimensione sociale della pedagogia; il suo sguardo è dunque rivolto ai bisognosi, ai sofferenti, alle difficoltà e alle richieste di aiuto; si sostanzia nella sua relazione con il disa- gio, con il dolore, con gli emarginati, i detenuti, le vittime di un si- stema sociale escludente e cinico che inneggia ai valori del succes- so, del potere, della ricchezza lasciando nell’abbandono e nella frustrazione le fasce più deboli della società, quelle che non pos- sono resistere all’indottrinamento sui disvalori né con mezzi intel- lettuali, né con mezzi materiali. La pedagogia sociale critica quindi scuote l’Ordine quando questo è a svantaggio di molti e chiede il cambiamento della Legge, delle regole, degli imperativi laddove questi risultino inadeguati e ingiusti per fette consistenti di socie- tà e di individui.

18 Ivi, pp. 32-41.

19 F. Cambi, “Pratica sociale e/o critica della società? Un modello per gli opera- tori”, in F. Cambi, R. Certini, R. Nesti, Op. cit., p. 126.

La pedagogia sociale s’interroga e si pone domande anche di ordine etico e filosofico, si domanda dei fini e dei mezzi, delle di- rezioni intraprese dalla società, forzatamente o per intime convin- zioni, si chiede in ultimo quale immagine di uomo e di società è più funzionale all’uomo stesso e alle società, indipendentemente dalle linee di tendenza e dalle consuetudini. L’approccio critico e problematico della pedagogia sociale rappresenta allo stesso tem- po un motore di adattamento e di cambiamento nell’ottica di una riflessione continua sulle condizioni sociali e individuali dell’uo- mo.

Gli ideali di uomo e di società, più giusta ed equa, muovono le riflessioni intorno a tematiche stringenti che richiedono diverse soluzioni e diversi approcci, come nel caso di uno degli ambiti più importanti della pedagogia sociale, ovvero la pedagogia della de- vianza e della marginalità, anche declinata nella più specifica peda- gogia penitenziaria, detta anche pedagogia emendativa.

Partendo dal presupposto che la costituzione delle società sia fondata nella considerazione di un ideale di corretto funzionamen- to fisiologico di tutte le sue parti, i fenomeni di devianza e crimi- nalità mettono in rilievo una disfunzione nel funzionamento stesso della società che richiede sforzi specifici di ripristino delle condi- zioni ideali. “Se vi è una fisiologia sociale – accettando la similitu- dine di una società come un organismo – vi è anche una patologia che riguarda uno o più organi. Il malessere sociale va pertanto considerato come una sintomatologia. La marginalità e la devian- za, tra i più gravi malanni di una società, non possono essere com- battute in sé. Vanno rimosse quelle disfunzioni organiche che af- fliggono il sistema e vanno reintegrate oppure rieducate le perso- ne”20, specie nel caso della devianza minorile, ambito che richiede

una forma di attenzione ancora più accurata in quanto, in misura maggiore che per gli adulti, l’atto del rieducare un minore aumen- ta certamente le possibilità di successo, sebbene non possa assur- gere a regola matematica.

Plausibilmente la condizione giovanile e adolescenziale con-

20 D. Izzo, A. Mannucci, M. R. Mancaniello, Manuale di pedagogia della margi-

sente di fare diverse interpretazioni sulle cause scatenanti compor- tamenti devianti e condotte criminali; la particolare condizione psico-fisica, le naturali dialettiche contro l’autorità, la ricerca di una propria identità di contrasto fanno sì che la situazione esisten- ziale del minore venga considerata attraverso un insieme di varia- bili condizionanti il fenomeno, che possono deporre a favore di un recupero positivo e di un reinserimento sociale favorevole. Fonda- mentale, nel caso dei minori, è la considerazione attenta di tutti i fattori di rischio che possono essere rintracciati in situazioni fami- liari disturbate (violenze familiari, povertà), nell’insuccesso scola- stico, dispersione scolastica e abbandono precoce degli studi, de- viazione verso contesti devianti costituiti dal gruppo dei pari, con- dotte violente e antisociali, bullismo, etc. Lo scivolamento gradua- le del giovane verso condotte devianti avvalorate dal gruppo, spes- so poi comporta l’identificazione di sé come soggetto deviante, ac- quisendo un’identità negativa che spinge alla determinazione di vere e proprie “carriere devianti”, un vortice di devianza dal qua- le difficilmente i minori riescono a uscire, invertendo il sistema di forze sociali e interiori che li governano.

La sensazione di disagio, la perdita, olisticamente intesa, di be- nessere è ormai assai diffusa sia nella popolazione giovanile sia in quella adulta; marginalità, straniamento, difficoltà di integrazione etnica, religiosa e culturale, contingenze economiche e politiche spesso fanno cadere la percezione esistenziale di ciascuno in un baratro chiamato angoscia di vivere, spesso accompagnata da una perdita di valori, di autorità, di principi e riferimenti etici, religio- si o normativi ritenuti incontestabili a cui è stato assegnato il no- me di nichilismo, per taluni la caratteristica fondamentale del no- stro tempo.

“Ai più la vita sembra semplice – scrive la Orsenigo –. Sponta- neo comportarsi secondo uno stile che lentamente scopri come il tuo, in un mondo in cui ti appropri giorno per giorno; insomma funzionare […] fino alla malinconia di lasciare questo ingranaggio familiare o alla gioia di chiamare altri a questa vita. Tuttavia capi- ta, non a tutti e non sempre, che tale flusso (vitale) venga interrot- to. Si inceppi, smetta di scorrere rassicurante e previsto. È la mor- te prematura di un amico o di un familiare, la malattia irreversibi- le che dura, le difficoltà impreviste che rallentano la corsa verso la

mira da raggiungere o, semplicemente, la noia che ti assale, saturo di occasioni o di divertimento. Allora c’è la rabbia, per alcuni, op- pure lo stupore, per altri. […]”21.

La società dei consumi, del godimento, del divertissement pa- scaliano, del piacere e dell’apparire, dell’omologazione, del suc- cesso e del denaro, della fretta e della velocità produttiva quanto peso ha nella determinazione del disagio individuale e sociale? Certamente molto. Gli individui sono sempre più soli e sempre più incapaci di far fronte alle incombenze della vita; le mete, qua- si obbligate e imposte dalla società, sembrano sempre più distan- ti, gli ideali, spesso amorfi e ridenti come maschere di carnevale, sempre più deviati rispetto a un ordine valoriale giusto ed equo. Le relazioni si svuotano nella velocità e nella fugacità relazionale, gli amori si appiattiscono nel consumismo affettivo e nel voyeuri- smo 2.0, l’autenticità si annulla nella forma dell’apparire senza so- stanza, la riflessività si vanifica nell’assenza di domande sul senso del fare e dell’agire, sul senso dell’essere e dell’esistere, il senso su- blime del proprio senso del limite si frantuma in un’illusoria e de- leteria sensazione di onnipotenza al di là del bene e del male, nu- trita da una percezione di modernità e di progresso che si sostan- zia nella perdita di ogni valore ritenuto arcaico, desueto, privo di consistenza. Bisogna allora ripartire proprio dall’educazione, dal- la rieducazione del pensiero, del pensiero critico e riflessivo, dal- l’analisi dei valori e delle proposte axiologiche vecchie e moderne, dall’avviamento di pratiche narrative e riflessive di educazione in- teriore.

Il principio pedagogico che guida la pedagogia della devianza, la pedagogia penitenziaria ed emendativa è proprio il principio del- la rieducazione; questo principio si poggia su un altro principio- norma posto come assoluto, ovvero l’educabilità e la ri-educabilità dei soggetti che cadono in una qualche forma di devianza o di di- sagio esistenziale e personale. “Rieducare non significa educare di nuovo o ripetere l’educazione già ricevuta, giacché ci troviamo di

21 J. Orsenigo, “Disagio ed esistenza”, in C. Palmieri (a cura di), Crisi sociale e

disagio educativo. Spunti di ricerca pedagogica, Franco Angeli, Milano 2012, p.

fronte a soggetti la cui educazione è risultata deficitaria o fallimen- tare. Nel concetto di rieducazione è contenuto un agire educativo più intenso del solito: si tratta non tanto di adattare i soggetti alle norme quanto di aiutarli a ritrovare in se stessi le ragioni per cui è doveroso e opportuno rispettarle. È insomma un vero e proprio recupero sociale, da raggiungere entro una rete di relazioni e me- diante strutture di socializzazione”22. Se la parola emendativa vie-

ne dalla parola emenda, che vuole significare l’azione correttiva, spesso con una implicazione penale, è bene ricordare come l’azio- ne propriamente educativa non mira all’emenda in senso stretto, campo specifico della procedura penale, ma alla correzione e alla rieducazione dei soggetti.

Attualmente, dopo la legge 354/1975 (Riforma penitenziaria), infatti, il sistema penitenziario prevede da un lato la funzione re- tributiva della pena, ovvero la necessità dell’espiazione proporzio- nata alla pena come vedremo nei successivi capitoli, dall’altro la funzione rieducativa e trattamentale della pena, che mira alla rie- ducazione, alla risocializzazione e al reinserimento dei detenuti post-delictum. L’approccio rieducativo mira alla considerazione delle caratteristiche individuali e soggettive dei detenuti, unita- mente alla valutazione delle condizioni esistenziali ante-delictum. Il modello riabilitativo prevede il contributo di diverse forze, educatori, psicologi e assistenti sociali, con il compito di favorire tale politica di rieducazione e reinserimento del reo. Esso contem- pla anche una maggiore alternanza fra il dentro e il fuori del car- cere, con una maggiore connessione con occasioni formative fuo- ri dal carcere e relazioni più strette con il territorio in modo da vi- vificare e rendere operativo un processo rieducativo caratterizzato da “una dimensione “formativa” che investa la globalità della per- sona e si qualifichi come momento di “frattura” rispetto all’espe- rienza di vita sino a quel momento conosciuta”23. L’approccio

22 D. Izzo, A. Mannucci, M. R. Mancaniello, Op. cit., p. 168.

23 M. Fratini, “Il senso del modello riabilitativo oggi”, in A. Turco, Anime pri-

gioniere. Percorsi educativi di pedagogia penitenziaria, Carocci Faber, Roma

2011, p. 62. Marzia Fratini è responsabile della Sezione attività trattamentali, Direzione Generale dei Detenuti e del Trattamento, Dipartimento Ammini- strazione Penitenziaria (DAP).

educativo deve essere dunque inteso come “occasione per supera- re modelli comportamentali negativi, per riconoscere le proprie capacità e acquisire fiducia nelle proprie possibilità, per sperimen- tare nuovi modelli di relazione ma anche differenti modi di vivere le proprie emozioni mediante una riscoperta della propria sogget- tività”24da realizzarsi in una vera e propria comunità di apprendi-

mento.

L’approccio interiore, introspettivo, narrativo e autobiografico da lungo tempo avviato in ambito pedagogico con la vasta opera di Duccio Demetrio e non solo, e che rappresenta il filone di ricer- ca più importante di chi scrive, da tempo viene portato in auge per approcci educativi e formativi che investano il campo delle emo- zioni e dell’affettività anche, e soprattutto, in contesti complessi e difficili come il carcere, dove la progettazione educativa risulta an- cora più complessa e, per certi versi, decisiva.“Non si può, infatti, parlare di “riabilitazione” in assenza del riconoscimento della “storia di vita” del soggetto, del suo passato, degli aspetti qualifi- canti del suo presente e delle sue proiezioni sul futuro. L’esperien- za detentiva segna un momento drammatico ma anche significati- vo nella vita dei soggetti reclusi, all’interno del quale essi possono trovare attenzione e riconoscimento, da parte degli altri, in un contesto di ascolto e di accoglienza che tocca quegli aspetti di na- tura relazionale ed emozionale che offrono la possibilità di speri- mentare esperienze qualificanti, utili a una ridefinizione della pro- pria accettabilità sociale”25.

Progettazione educativa significa, altresì, garantire un modello riabilitativo diversificato e variegato nello spettro delle diverse op- portunità palesate nell’ambito dell’istruzione, della formazione professionale, della promozione culturale, delle attività ricreative nell’ottica di un apprendimento che dura che per tutta la vita (li- felong learning) e in tutti i contesti educativi e formativi, carcere compreso. Partendo dall’assunto secondo il quale tutti possiedo- no abilità, talenti, competenze e capacità più o meno note e cono- sciute o palesate, il compito dell’azione educativa e ri-educativa sta

24 Ivi, p. 63. 25 Ibidem.

nella sua capacità di portare a compimento le qualità intrinseche di ciascuno, avverando una sorta di trasformazione aristotelica dall’essere in potenza al realizzarsi in atto, enteléchia, creando al- l’interno del carcere un vero e proprio “spazio formativo”26carat-

terizzato da relazione autentiche, piacere di conoscere, libertà di espressione, promozione di un’attitudine critica e riflessiva e ride- finizione progettuale del futuro.

Per pedagogia penitenziaria si vuole, dunque, intendere quella particolare branca della pedagogia che si applica in contesto peni- tenziario. Essa, come la pedagogia generale e sociale, si avvale del contributo delle diverse scienze che possono avere una rilevanza nella gestione dei detenuti all’interno del carcere, come il diritto, la sociologia, la psicologica o la filosofia dell’educazione. L’ambito specifico della pedagogia penitenziaria riguarda gli aspetti relativi all’osservazione e al trattamento dei detenuti, unitamente all’impe- gno costante nei programmi di rieducazione.

L’intera logica trattamentale ruota intorno alla necessità di for- nire ai detenuti le occasioni e gli strumenti che consentano loro di ri-aderire al sistema di norme e di valori condivisi, consentendo la loro risocializzazione e il loro reinserimento futuro. Tutti gli inter- venti e le finalità del trattamento si fondono, come spiega Antonio Turco, educatore e responsabile delle attività culturali della Casa di reclusione di Rebibbia a Roma, “sull’insieme delle opzioni che vengono offerte all’individuo per aiutarlo ad assumere un nuovo atteggiamento di vita.[…]. I soggetti reclusi, dunque, in questa ot- tica, hanno imparato a non sentirsi più soltanto oggetti di una ana- lisi interpretativa dei loro vissuti e delle loro scelte precedenti, ma soggetti che “volontariamente” partecipano alla ridefinizione di un percorso”27, percorso reso possibile solo dall’identificazione

dei detenuti con tre fattori imprescindibili: “il riconoscere il pro- prio stato di bisogno, il desiderio di lavorare per cambiare la real- tà delle cose, la fiducia nei suggerimenti degli operatori”28.

Viene data grande rilevanza, a partire dalle indicazioni della Ri-

26 Ivi, p. 66.

27 A. Turco, Op. cit., p. 48. 28 Ibidem.

forma del ’75, ai bisogni dei detenuti, alla loro detenzione guidata