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Da Bartolini a Freire: il compito di “ri-educare”

LE ORIGINI DELLA PEDAGOGIA EMENDATIVA

4. Da Bartolini a Freire: il compito di “ri-educare”

In primo luogo, per Bertolini lo scopo di una rieducazione efficace dovrebbe consistere nella eliminazione di tutti i motivi che possono condurre ad assumere condotte irregolari e rilevanti anche sul pia- no penale; questo compito può essere adempiuto solo attraverso una progressiva trasformazione di tutte quelle distorte visioni del mondo pregresse per abbracciare diversi tipi di visioni del mondo permeate da una consapevole e intenzionale coscienza soggettiva.

“In effetti, un soggetto che si sia costituita, anche del tut- to inconsapevolmente, una visione del mondo non corret- ta, o per mancato sviluppo della sua coscienza intenziona- le o per una cattiva orientazione di questa, va aiutato a tra- sformare la sua intima esperienza, il suo vissuto, prima di tutto col metterlo in condizioni psico-fisiche tali da per- mettergli di esercitare liberamente […] la sua capacità d’intenzionare, sottraendolo cioè ai troppo pesanti condi- zionamenti soggettivi od extra-soggettivi ai quali il suo presente come il suo passato fanno riferimento come al- l’origine del loro stesso costituirsi; in secondo luogo, va aiutato col fargli fare esperienze nuove capaci di stimolare nella giusta direzione la sua attività coscienziale, ed insie- me esperienze che lo conducano di fronte alla constatazio- ne della necessità di rivedere i propri convincimenti e le proprie linee direttrici”46.

45 Ivi, p. 60. 46 Ivi, p. 86.

La ristrutturazione dei modelli culturali precedentemente as- sunti dà vita a quella che Bertolini definisce una «dialettica riedu- cativa»47, in cui i vecchi paradigmi comportamentali e valoriali

vengono abbandonati, pars destruens, sulla spinta dei nuovi e più adeguati modelli, pars construens. La parte costruttiva e ricostrut- tiva della rieducazione, che si basa sulla dinamizzazione del sog- getto e riguardano primariamente la valorizzazione degli aspetti positivi della persona, competenze, talenti e abilità che fungono da stimolatori per l’attivazione di nuovi percorsi e nuove possibilità, devono porsi come primo livello rieducativo e soltanto in seguito, quando il soggetto avrà mostrato un livello sufficiente di consape- volezza, si potrà procedere con la parte relativa alla destrutturazio- ne del passato.

L’azione di perfezionamento costante di sé, comune a ciascun individuo, qui si sostanzia nell’attività di rieducazione, dove il compito di lavorare al proprio perfezionamento appare cruciale e imprescindibile; quindi il secondo passo della rieducazione sarà quello di analizzare il passato e la storia personale negativa per poter riedificare il futuro su nuove basi, su nuove possibilità e sul- la radicale messa in crisi dell’attuale visione del mondo attraverso la luce di una nuova e più matura consapevolezza.

“E non c’è nulla di più ostico per l’uomo, nella cui natura è sempre presente qualcosa che si oppone alla sua eleva- zione e alla sua spiritualità, che il dover rimettere in gioco, rivedere, modificare, ecc. i propri convincimenti e le pro- prie idealità soprattutto quando essi siano in qualche mo- do già standardizzati”48.

Il processo di rieducazione potrà dirsi, quindi, concluso quan- do il soggetto si trovi nelle condizioni di rivedere in maniera auto- noma e soggettiva la sua vita pregressa nell’ottica di una “trasfor- mazione attiva, ottenuta cioè non tanto con una sistematica nega-

47 Ivi, p. 88.

zione del passato, quanto piuttosto con una rinnovata e più genui- na proiezione intenzionale nel futuro”49.

Sul piano operativo cinque sono per Bertolini i momenti fon- damentali della dinamica rieducativa:

1) Fase diagnostica (o di osservazione non terapeutica): studio e analisi della persona e dall’ambiente socio-culturale ed econo- mico di provenienza. In questa prima fase essenziali sono la co- noscenza e la comprensione del soggetto all’interno di una équipe diagnostica, composta dai vari esperti, psicologi, educa- tori, assistenti sociali che possano offrire un contributo alla comprensione e all’analisi esistenziale del soggetto. Utili saran- no i colloqui e le conversazioni e tutti gli strumenti biografici e autobiografici in grado di offrire una visione più chiara della realtà da un punto di vista fenomenologico. Ma è solo il con- tatto quotidiano, peculiarità degli educatori, a consentire una vera e approfondita conoscenza dei soggetti, evitando pregiu- dizi o giudizi affrettati e superficiali, spesso dannosi e deleteri per il successivo sviluppo.

2) Fase del decondizionamento (prima fase terapeutica): allontana- mento dall’ambiente quando questo risulti nocivo e deleterio per la presenza di modelli comportamentali negativi e cattivi orientamenti spirituali da parte del gruppo sociale di riferimen- to. Superamento dei conflitti emotivi, cambiamento di schemi comportamentali dannosi, ripetitivi e stereotipati. Offerta di nuove esperienze formative e personali.

3) Fase del ricondizionamento: affinamento delle capacità cogniti- ve e affettive del soggetto; acquisizione di capacità razionali, di analisi, di giudizio critico e riflessivo. Soddisfazione dei bisogni psico-fisici, specie per quelli non riconosciuti e vilipesi nel pas- sato del soggetto (es. bisogni affettivi o di riconoscimento); creazione di nuovi stili di vita e di nuovi modelli e schemi com- portamentali. Questo tipo di intervento non deve essere inteso in alcun modo come una modifica coercitiva e forzata della personalità del soggetto, ma come un graduale accompagna-

mento verso nuove forme di vita e di esperienza. È in questa fa- se che si vogliono trasmettere la “gioia di vita”, “l’educazione all’ottimismo esistenziale”, il “senso estetico” e il valore del “bello”; saranno importanti anche l’educazione all’impegno e al senso di responsabilità in un contesto dialogico di condivi- sione e partecipazione e infine fornire indicazioni anche in me- rito a una opportuna educazione sessuale e sentimentale. 4) Fase della dilatazione ed espansione del campo di esperienza in-

dividuale: in questa fase è essenziale indirizzare il soggetto ver- so nuovi interessi, superando vecchi interessi e vecchie fissazio- ni che irretiscono la libera volontà dei soggetti stessi. In tal sen- so ricche di importanza sono tutte quelle “situazioni nuove e sollecitanti nelle quali egli possa sperimentare l’esistenza e la validità di prospettive esistenziali a lui prima sconosciute, e at- traverso le quali soprattutto egli riesca a misurare se stesso e la realtà circostante”50. In sostanza va rieducata la sua capacità di

affrontare in maniera diversa la problematica esistenziale nel- l’ottica di una coscienza intenzionale capace di discriminare, giudicare e deliberare azioni, pensieri e comportamenti di na- tura diversa.

5) Fase della personalizzazione: in questa fase appare con chiarez- za l’aspetto spirituale della rieducazione, fase in cui si raccolgo- no i frutti delle precedenti e si procede a una riorganizzazione complessiva. È il momento delle prese di coscienza, sia in me- rito a sé e alla propria esperienza interiore e vissuta, sia in me- rito alle situazioni e ai comportamenti messi in atto in passato. A questo punto il soggetto dovrebbe aver acquisito senso di re- sponsabilità e capacità di giudizio tali da consentire una rilettu- ra efficace del passato in vita di una diversa riorganizzazione esistenziale nel futuro. È sempre in questa fase se si ricostrui- sce un senso morale ed etico del vivere assumendo come prin- cipio un vivere eticamente orientato secondo l’ottica del giusto, del buono, del bene e del bello.

Da questa breve presentazione delle fasi, emerge come per Ber- tolini la rieducazione non debba essere intesa come processo di adattamento o di riadattamento del ragazzo difficile all’ambiente sociale: “Vogliamo dire cioè che rifuggiamo dal considerare l’adat- tamento sociale come la meta da raggiungere con la rieducazione […] sia perché crediamo nell’insostituibile spiritualità dell’uomo come persona, sia perché se considerato «alla lettera», giudichiamo il concetto di adattamento sociale una pericolosa forma di disuma- nizzazione, capace di corrompere soprattutto i giovani con la carat- teristica sirena della comodità, dell’acquiscienza, del conformismo. Al contrario, noi abbiamo voluto presentare una dinamica rieduca- tiva che si prospetta come meta da raggiungere la formazione di in- dividui liberi e coscienti della propria condizione umana e quindi delle proprie possibilità e delle proprie responsabilità; […]”51.

Nel processo rieducativo ivi illustrato, infatti, ampio margine deve essere lasciato alla libertà dell’educando e della propria co- scienza intenzionale, mossa da volontà e ragione, e dall’azione in- tenzionale dell’educatore, visto come fattore ed esecutore dell’in- tero processo rieducativo. Esso in primis fornisce ai soggetti la possibilità di sperimentare un rapporto umano valido e significa- tivo, fondato su comprensione reciproca, autenticità ed empatia, controllando efficacemente il “transfert pedagogico” caratterizza- to da eccessivi sentimenti di affetto e di partecipazione emotiva del soggetto sull’educatore, nel mentre si adopera a costruire nuovi percorsi e nuove esperienze formative e umane in un contesto gruppale in cui l’educatore fungerà da mediatore e facilitatore di dialoghi e relazioni positive. In conclusione si rammenta l’invito di Bertolini alla prevenzione del disagio e della devianza mediante in- terventi educativi diretti alle famiglie52, alle scuole e alle diverse

agenzie educative formali e informali, in modo da agire in manie- ra concertata al fine di ridurre i casi di “ragazzi difficili” ai quali pensare soltanto “dopo”.

Questa impostazione presenta notevoli affinità con la pedago- gia degli oppressi di Paulo Freire (1921-1997), in cui il pedagogista

51 Ivi, pp. 96-97.

52 Sull’argomento vedi anche P. Bertolini, La responsabilità educativa. Spunti di

brasiliano, per superare la logica oppressi/oppressori, suggerisce una forma di educazione che superi la concezione depositaria del sapere, fortemente manipolabile dagli oppressori, con una conce- zione “problematizzante” dell’educazione. “L’educazione proble- matizzante, contrariamente a quella “depositaria”, è intenzionali- tà, perché risposta a ciò che la coscienza profondamente è, e quin- di rifiuta i comunicati e rende essenzialmente vera la comunicazio- ne. Si identifica con ciò che è caratteristico della coscienza, che è sempre coscienza di, non solo nei rapporti con gli oggetti, ma an- che quando si volge su se stessa, in quella che Jaspers chiama “scis- sione”. Scissione in cui la coscienza è coscienza della coscienza”53.

In questa operazione educativa centrale appare ancora una volta il dialogo54, dialogo come esigenza esistenziale e come strumento fra

educatore ed educando in cui i processi di conoscenza, di trasfor- mazione di sé e del mondo vengono avviati nello scambio dialogi- co autentico, di per sè edificante e costruttivo il cui scopo è la co- scientizzazione degli oppressi per mezzo della creatività, del pen- siero critico e libero, della riflessione e dell’azione diretta dell’uo- mo sul piano di realtà.

Tutto questo risponde per Freire alla naturale vocazione del- l’essere umano a “essere”; l’uomo si percepisce sempre come esse- re inconcluso e alla ricerca incessante e permanente del suo “esse- re di più”. Gli esseri umani vanno, dunque, sempre intesi come “esseri in divenire”, “incompleti, inconclusi, nella realtà e come una realtà, la quale, perché è storica, è anch’essa incompleta. A differenza degli altri animali, che sono soltanto incompleti ma non sono storici, gli umani sanno di essere incompleti. Hanno la co- scienza della loro inconclusione. Lì si trovano le radici dell’educa- zione, come fenomeno esclusivamente umano. […]. Per questo l’educazione è un “che-fare” permanente. Permanente, in ragione dell’inconclusione degli uomini e del divenire della realtà. in que- sto modo l’educazione si ri-fa costantemente attraverso la prassi. Per “essere” bisogna “essere-in-divenire”. La sua “durata”, nel sen- so bergsoniano della parola, come processo, si localizza nel gioco

53 P. Freire, La pedagogia degli oppressi (1968), EGA, Torino 2002, pp. 67-68. Il richiamo a K. Jaspers è al volume Filosofia, UTET, Torino 1978.

dei contrari permanenza/cambiamento. Mentre la concezione “depositaria” mette in evidenza il permanere, la concezione pro- blematizzante dà forza al cambiamento”55.

Per Paulo Freire il principio di speranza è ciò che sorregge l’impulso legittimo al cambiamento, all’evoluzione e alla progres- sione, poiché soltanto una visione ottimistica e propositiva del- l’esistenza può generare i suoi frutti. Il cambiamento, però si ge- nera sempre da un punto di partenza, diverso per ciascuno; “il punto di partenza si trova sempre negli uomini, nel loro qui e nel loro adesso, che costituiscono poi la situazione in cui si ritrovano ora immersi, ora emersi, ora inseriti. Solo a partire da questa situa- zione, che determina anche la percezione che ne hanno, essi pos- sono muoversi. E per farlo autenticamente è necessario, fra l’altro, che la situazione in cui si trovano non appaia loro come qualcosa di fatale e insuperabile, ma come una sfida, che solo li limita”56.

E su queste parole creatrici dovrebbe rifondarsi il principio di “ri-educazione”, focalizzato sulla coscienza, sull’individualità e sul- la responsabilità personale di cui gli educatori non depositari de- vono farsi garanti, consentendo agli “educandi” la riformulazione delle proprie basi concettuali ed esistenziali in una rivisitazione personale e non mediata della propria personale visione del mon- do, nella costruzione, ri-costruzione di un’autonoma riconsidera- zione della propria scala valoriale.

Posto che tutti gli uomini e tutte le donne siano esseri-in-dive- nire, qualsiasi sia il punto di partenza, qualsiasi sia la condizione esistenziale dell’adesso, l’educazione ha il compito-dovere di gene- rare progressione e trasformazione. Specie in considerazione del fatto che, sebbene non possa essere considerata la causa assoluta e primaria della criminalità, lo stato di oppressione disumanizzante, spesso, si trova alle spalle di molte azioni devianti rilevanti anche sul piano penale e non solo. La sfida del cambiamento è esattamen- te il fine di ogni processo ri-educativo mirante alla trasformazione di sé e della realtà, intese come possibilità concrete e non come parvenze, velleità o sterili chiacchiere istituzionali di facciata.

55 P. Freire, La pedagogia degli oppressi, cit., p. 73. 56 Ivi, p. 74.