Un islām ascoltato
3. L’ascolto attivo: «ha insegnato all’uomo ciò che non sapeva».
Il Corano non è, infatti, un semplice sottofondo che rilassa le persone (al massimo quella è la musica, come diceva Yūnes). Esso possiede il suo valore e potere in virtù del
Karīm, terzo colloquio (p. 272). 23
signiGicato che veicola, che ora proverò a esplorare, ma che è d’altronde inscritto negli stessi versetti che abbiamo già letto nella sura 96, i primi della rivelazione. Vorrei sottolineare che seguendo questa analisi, tuttavia, non ci allontaniamo dal nostro focus, cioè l’esperienza sonora delle persone, anzi: ci immergiamo maggiormente in essa, come vedremo. Occorre, innanzitutto, riconsultare i versetti in questione:
Leggi, in nome del tuo Signore che ha creato, - ha creato l’uomo da un grumo di sangue! - Leggi! Ché il tuo Signore è il Generosissimo, - Colui che ha insegnato l’uso del calamo, - ha insegnato all’uomo ciò che non sapeva (sura 96: 1-5)
È interessante notare come in dialetto marocchino- e in altri- il campo semantico della radice Gin qui analizzata come recitazione (QR’, dell’imperativo qui ritrovato, iqra’) si ampli Gino a ricoprire quello dello studio, della conoscenza, che è esattamente il secondo senso del verbo che emerge da questa sura. Questa lettura/recitazione, Gin qui analizzata, è dunque solo un momento, la via da utilizzare per giungere alla conoscenza che viene da Dio. Per questo, l’ascolto del Corano non resta assolutamente solo ascolto passivo di un sottofondo piacevole, ma si fa attivo. Parafrasando il lessico sociolinguistico potremmo deGinire quanto accade con il Corano simile al fenomeno della diglossia caratterizzante il parlato marocchino, costantemente rimbalzato in un
continuum che va dal dialetto all’arabo classico: qui si tratterebbe, invece, di una specie
di “difonia" . In luogo di un code-switching da una variante linguistica all’altra, ci 24
troviamo in questo caso in una sorta di ear-switching. Il testo coranico e i mezzi per ascoltarlo sono in effetti gli stessi in ogni caso, e sono quelli Gin qui visti. Ma chi ascolta ha due attenzioni diverse, a seconda delle circostanze: a volte si concentra sul potere performativo di quella parola in sé, come rinna; a volte invece le sue orecchie decidono di coglierne il testo più precisamente, avvicinandosi così al senso profondo, poiché quel testo «ha insegnato all’uomo ciò che non sapeva». I due momenti, ovviamente, non sono distinguibili in maniera precisa, ma si danno, proprio come per gli usi linguistici, come
Si veda per queste categorie in ambito di linguistica araba il prezioso manuale di Kees 24
poli di un continuum di pratiche. Va sottolineato, però, che il secondo polo che stiamo qui approcciando è sicuramente il più facilmente analizzabile: esso rappresenta la parte verbalizzata della conoscenza di Dio, quella parte della rivelazione che, a differenza della tranquillità di cui ci siamo occupati, si può spiegare e, anzi, è per i miei interlocutori sotto gli occhi di tutti.
Come riassumere in qualche riga lo statuto teologico del Corano? Jorge Luis Borges- nella vastità della sua produzione- ha scritto, riGlettendo sulle conseguenze dialettiche dell’ispirazione tramite dettatura della Bibbia, che
gli islamici possono vantarsi di avere oltrepassato tale iperbole (cioè il rischio di deiGicazione di un testo) poiché hanno deciso che l’originale del Corano- la madre del Libro- è uno degli attributi di Dio, come la Sua misericordia o la Sua collera, e lo giudicano anteriore al linguaggio, alla Creazione (Borges 1985: 330).
Il tono utilizzato da Borges assomiglia molto a quello di Karīm, quando dice che “i musulmani sono intelligenti”. La GilosoGia aristotelica e profondamente razionalistica di cui sono Gigli sembra aver dato loro gli strumenti necessari per mettere al sicuro il Libro rivelato da ogni attacco, da ogni interpretazione. In effetti, per quanto esso sia la base di tutta lo studio (qrāya, in dialetto) sviluppato storicamente nel mondo islamico (dalla grammatica alla GilosoGia, all’algebra) non si è sviluppata una critica islamica al testo in quanto tale, poiché non sarebbe sostenibile: esso non è criticabile essendo, come giustamente riporta Borges, un attributo di Dio, ab aeterno presente in Lui. Per non perderci eccessivamente in questo tipo di questioni, vorrei qui riportare una deGinizione sunnita del Libro, che cita Alessandro Bausani nella celebre introduzione alla sua traduzione del 1955. Lunga e macchinosa, pare un distillato rappresentativo della teologia islamica tradizionale, ma accenna a un tema qui importante:
I sunniti sostengono che il Corano o per antonomasia “il Libro” è la parola di Dio Altissimo, increata, scritta nei nostri volumi, conservata nelle nostre memorie, letta
dalle nostre lingue, udita dai nostri orecchi, ma in questi non incarnata. Cioè non incarnata nei volumi, non nei cuori, non nelle lingue, non nelle orecchie, poiché la Parola di Dio non è omogenea alle lettere e ai suoni, tutti accidentali mentre la Parola di Dio è attributo coeterno a Dio signiGicante il contrario del silenzio (…) essa è un SigniGicato preesistente inerente all’assenza di Dio, pronunciabile ed udibile in costruzioni che lo indicano e apprendibile a memoria in forma immaginativa e scrivibile in caratteri e forme rappresentanti le lettere che lo indicano: così come si dice che il fuoco è una sostanza comburente menzionabile in espressioni verbali e scrivibile con la penna senza che ne derivi una reale presenza del fuoco nel suono e nelle lettere (Bausani 2016: XXIX) . 25
In questa circonvoluzione di frasi è in fondo espresso il concetto che sta alla base delle auto deGinizioni stesse del Corano: esso è inimitabile, un miracolo in sé, e questa sua caratteristica (i‛ǧāz) è in sé dimostrazione del suo statuto. Il Libro è così perfetto che rappresenta il prodigio (mu‛ǧiza) donato da Dio a Muḥammad: archetipo celeste (la madre del Libro, a cui accenna Borges ) disceso dalla gloria divina sugli uomini per 26
mezzo di questo Inviato. Esso rappresenta il suo personale miracolo profetico (in un’epoca in cui- mi hanno fatto notare spesso i miei interlocutori- gli arabi eccellevano nell’arte della parola) per attestare che la sua profezia era ispirata dall’alto. Da questo deriva logicamente tutto il resto: la conoscenza che esso ispira non è umana, bensì oltre l’uomo (sura 96), che senza di essa non sarebbe nulla. In effetti, i musulmani «possono vantarsi» di aver costruito un sistema i cui conti tornano, perfettamente razionalista (perlomeno nella sua metaGisica). Ancora una volta, però, dobbiamo arrestarci con queste considerazioni astratte- per quanto necessarie- e scendere nel nostro campo di indagine: il concreto, l’esperienza delle persone. Perché, come dice la deGinizione citata dal Bausani, questa parola non può incarnarsi nei libri, nei cuori, nelle lingue o nelle orecchie, eppure è pronunciabile ed udibile, scrivibile, ma soprattutto «conservata nelle memorie». Sarebbe interessante indagare tutti gli aspetti che contribuiscono a costruire L’autore cita la deGinizione senza dare lumi sulla sua fonte. Ho comunque ritenuto opportuno 25 riportarla qui per la sua esaustività e il suo accenno percettivo, che riprenderemo a breve. Uno degli appellativi che si conferisce il testo stesso, per esempio: «ed esso sta scritto presso 26 di Noi nella Madre del Libro, ed è alto e savio» (sura 43:4).
l’esperienza di “inimitabilità”, l’inGinita grandezza coranica, presso i musulmani oggi, e il primo sarebbe sicuramente quello della percezione linguistica. Si apre qui l’occasione di riGlettere su un altro di questi aspetti vicini all’esperienza, per così dire , che coniuga 27
questo concetto astratto nelle vite delle persone.