Un islām ascoltato
1. Una buona azione da recitare.
Con il Corano il discorso sull’oralità accennato nello scorso capitolo riguardo alla preghiera raggiunge un compimento. Nonostante, infatti, il Corano abbia goduto di un supporto graGico in un periodo di tempo probabilmente abbastanza breve, subito dopo la morte del Profeta o quando egli era ancora in vita , la rivelazione islamica ha dei tratti 2
orali inequivocabili, e risulta essere legata prima ai suoni e soltanto dopo alle immagini. Se si analizza infatti il famoso episodio del primo incontro di Muḥammad con Ǧibrīl, l’angelo Gabriele, narrato in tutte le versioni della “Vita di Maometto” , questo emerge 3 spontaneamente. Conviene riferirsi direttamente al celebre brano: Karīm, quarto colloquio (p. 278). Ḏikr è uno degli epiteti con cui il Corano denomina se stesso 1 in alcuni versetti. Per esempio: «In verità Noi abbiamo rivelato l’Ammonimento, e Noi ne siamo i custodi» (sura 15:9). Il termine “ammonimento” riprende la sfumatura datagli da Karīm. Sarebbe qui superGluo- per quanto interessante- soffermarsi sul contesto orale dell’Arabia pre- 2 islamica, sulle interazioni fra di esso e la nuova rivelazione (presenti anche nel testo stesso) e la relativa messa per iscritto. Si veda per questo De Prémare 2014.
La vita del Profeta (sīra nabawīya) è un vero e proprio genere letterario, di moda in molte 3
Il Profeta aveva l’abitudine di passare un mese all’anno in ritiro spirituale sul monte Ḥirā’. Era questa una pratica diffusa tra i Quraysh prima dell’avvento dell’Islam. L’Inviato di Dio compiva questo mese di ritiro devoto […] Quando inGine giunse il mese in cui Dio volle onorarlo facendone il Suo Inviato, che fu il mese di Ramaḍān, Muḥammad partì come sempre per Ḥirā’ assieme alla sua famiglia. La notte in cui Dio gli fece il dono della missione profetica e si mostrò in questo modo misericordioso con i suoi servi, Gabriele venne da lui secondo il volere divino. Mentre il Profeta dormiva, l’angelo si presentò con indosso una veste di broccato e uno scritto fra le mani. Gli disse: “Leggi!”. “Non so leggere” rispose Muḥammad. Gabriele lo strinse con forza, Gin quasi a soffocarlo e a farlo sentire in punto di morte. Poi lo lasciò e disse ancora: “Leggi!”. “E cosa devo leggere?” rispose Muḥammad, ma lo fece solo per liberarsi di lui, nel timore che potesse fare di nuovo quello che aveva fatto prima. Disse Gabriele: “Leggi, in nome del tuo Signore che ha creato, ha creato l’uomo da un grumo di sangue! Leggi! Ché il tuo Signore è il Generosissimo, Colui che ha insegnato l’uso del calamo, ha insegnato all’uomo ciò che non sapeva (sura 96: 1-5)”. Muḥammad recitò quelle frasi, l’angelo lo lasciò e se ne andò via. Il Profeta si levò dal sonno e fu come se quelle parole fossero scritte e incise nel suo cuore (Lecker 2007: 48-49) . 4
Sebbene siano presenti, inequivocabilmente, delle note visive in questa scena di rivelazione (la veste e il libro di Gabriele), è chiaro che è la parola a caratterizzare l’incontro con l’angelo. L’imperativo “iqra’!”, infatti, qui tradotto “leggi!”, che apre anche la sura 96, citata nel passo e accreditata dalla tradizione come prima nell’ordine cronologico , è di discussa traduzione. Sarebbe meglio tradurlo con “recita!”, oppure 5
“salmodia!”, poiché la radice QR’ (da cui Qur’ān, corano), afferisce piuttosto a questi campi semantici . Non si tratta, infatti, di una semplice lettura di un testo scritto. 6
Gabriele tiene in mano un libro, ma quando il Profeta gli chiede cosa è tenuto a leggere, egli gli recita i primi versi della rivelazione, e Muḥammad li ripete: il mezzo visivo non è Le versioni di questo racconto sono ovviamente molte- a volte si presenta la prima persona del 4 Profeta, a volte non si trova un libro ma un panno di seta- ma le variazioni sono minime. La struttura del testo coranico verrà affrontata a breve. 5 Il Bausani traduce addirittura “grida!”. Seguendo l’editore della “vita di Maometto” qui citata, 6 mi sono preso la libertà di cambiarlo in “leggi!”.
efGicace quanto quello sonoro. Si potrebbe continuare ad esplorare la “Vita di Maometto” alla ricerca di altri episodi simili: gli incontri con il divino sembrano sempre, anche nei momenti successivi a questo episodio, essere caratterizzati prima da un suono e poi da un’immagine. Troviamo ad esempio un aneddoto che riferisce un tentativo di suicidio del Profeta, tormentato dal sospetto di essere impazzito a causa di questi incontri soprannaturali,
ma quando fu a metà strada su per il monte udì una voce che proveniva dal cielo e che proclamava: “O Muḥammad, tu sei l’Inviato di Dio e io sono Gabriele!”. Egli allora sollevò lo sguardo al cielo e vide Gabriele, nell’aspetto di un uomo con i piedi piantati sulla linea dell’orizzonte (Lecker 2007: 50).
Questa analisi sicuramente non è sufGiciente per affermare una volta per tutte che la rivelazione islamica sia orale: è chiaro che la percezione sia sinestetica. Ma ciò che ci interessa maggiormente è che Gino ad oggi la trasmissione di questo testo sia prevalentemente orale. Dice il testo: «Veglia la notte tutta salvo un poco!- Metà, oppure togline un poco- o aggiungine, e recita, cantando, il Corano!» (sura 73: 2-4). Sebbene Gissato in una forma scritta, il testo risente ancora dell’imperativo implicito nel suo nome, e deve essere obbligatoriamente recitato (QR’), cioè salmodiato, “cantato” ad alta voce.
Le virgolette sono qui d’obbligo perché l’arte di salmodiare il Corano deve distinguersi- sia sul piano emico che su quello etico- dalle altre forme melodiche. La ricerca etnomusicologica, Gin dal suo principio, ha cercato una maniera di classiGicare, creare una tipologia delle varie “musiche”, in tutte le accezioni possibili, lavorando quindi anche sul complesso limen che separa i suoni parlati dai suoni cantati, ciò che è musica da ciò che non lo è . Questo, ovviamente si basa sulla percezione che se ne è 7
Lo sviluppo della ricerca etnomusicologica ha grosso modo seguito le tappe di quella 7
antropologica in generale. Per questo, da un’ansia classiGicatoria simile a quella del paradigma evoluzionista, è passata a parlare di funzioni, come nel paradigma funzionalista (si veda Merriam 2000). Oggi si cercano nuove prospettive: Tullia Magrini, per esempio, propone la nozione di “ruoli” (Magrini 2002).
costruita culturalmente. Come afferma l’etnomusicologo italiano Francesco Giannattasio:
Sia che si tratti di poesia cantata (in cui la la parola viene sia Gisicamente che simbolicamente potenziata) o di puro vocalizzo (che ha le sue soglie estreme nel grido, in cui il controllo melodico si attenua, e nel Gischio, in cui le corde vocali perdono la loro funzione determinante), lo strumento vocale ha una sua precisa consistenza sonora di cui dall’esterno si possono descrivere e analizzare i parametri acustici (timbro, ampiezza, altezza, registro ecc.) e che, all’interno delle diverse culture musicali, si concretizza in stili differenti e si carica di valori simbolici (Giannattasio 1998: 93).
In questo ambito lo stile vocale assume una forma intermedia fra parlato e cantato, una particolare prosodia riservata solo ai suoni religiosi. I termini per indicare questa pratica sono diversi, sia a livello coranico che dialettale- tartīl, menzionato nel versetto appena citato; la radice QR’ appunto- ma il più comune, almeno in dialetto, è taǧwīd . Si 8
tratta di una tecnica di recitazione del testo che segue una certa melodia, mai accompagnata da strumenti ma sempre “a voce nuda”, per così dire. Per poter eseguire una buona lettura del Corano si devono apprendere alcune regole, legate ad allungamenti delle vocali, omissioni in alcuni casi, ripetizioni di parti del testo, improvvisi arresti gutturali in corrispondenza di alcune lettere, il tutto segnalato da particolari grafemi elaborati dalla tradizione. Le scuole di lettura in tutto il mondo islamico sono sette, e in Marocco se ne adotta una in particolare (chiamata warš) . 9
Sebbene sia riconosciuta l’importanza di saper leggere il Corano in questo modo, non ho conosciuto molte persone che sappiano veramente praticarla, anche fra gli interlocutori apparentemente più versati nelle cose della religione. Questo probabilmente perché la
Essi avrebbero degli usi e delle sfumature da sottolineare; per quanto siano di grande 8
importanza, non ritengo necessario a questa analisi soffermarmi su di essi. Si veda per questo l’ormai classico studio multidisciplinare di Kristina Nelson, The Art of Reciting the Qur’an (1985). Ad esso rimanderò più volte poiché le questioni che tratterò nei primi quattro paragraGi del presente capitolo vi sono analizzate in maniera esaustiva.
Per una panoramica semplice ma efGicace su questo argomento, importante Gin dalle origini 9
lettura del Corano non è mai stata una materia scolastica, e resta appannaggio di piccole associazioni di quartiere. Ḥasan, uno dei pochi che ho conosciuto a custodire quest’arte, mi diceva:
Ḥasan: L’ho imparato solo con la pratica. Quand’eravamo piccoli e andavamo a scuola c’erano delle associazioni: insegnavano ai bambini a leggere il Corano, a impararlo a memoria, eccetera.
Federico: Non ce ne sono più?
H: No, ce ne sono! Ci sono, ci sono… Ma una volta si faceva solo così, nelle case, si andava a casa di questi qui, si stava da loro, si leggeva un po’ di Corano e c’erano i libri sulle regole del taǧwīd. Ma la cosa che veramente ti insegna è la pratica: leggi, leggi, tutti i giorni, tutti i giorni, e pian piano migliori, le regole non ti vengono difGicili. All’inizio continui a pensarci su, questo è così, questo devi dirlo in quest’altro modo. Ma con il tempo se non le fai ti sembra di uscire fuori strada . 10
La recitazione del testo coranico, che per Ḥasan è ormai naturale, è dunque un tipo di suono particolare, che si distingue dal resto. In particolare, si distingue dalla musica. Di queste cose ho discusso con Yūnes, un altro dei venditori del sūq el-Ḥenna, cugino di Karīm. Con lui, infatti, abbiamo passato molti pomeriggi a cantare le canzoni più varie. Fin da piccolo, mi raccontavano, era lui il giullare del sūq: ha sempre fatto ridere tutti con la sua capacità di imitare gli attori e i cantanti, di storpiare le canzoni tradizionali, di inventarne di nuove, ed è stato per me come una specie di jukebox, cantandomi e spiegandomi molte cose della tradizione musicale marocchina. Ma quando si entrava nella questione religiosa anche lui, pur senza perdere la sua verve ironica, si faceva serio e posato. Quando ho potuto, ho approfondito con lui questo discorso delicato.
Il Corano non è musica! Fai attenzione!, mi risponde, alla mia domanda provocatoria. È una rinna, una melodia. La rinna viene dal rūḥ, dallo spirito, dal
Ḥasan, terzo colloquio (p. 230). 10
cuore. Senti come se avessero una voce angelica, che viene da un’altra parte. Ci sono dei bambini che quando li ascolti leggere il Corano piangi, con le lacrime . 11
È importante sottolineare che la parola di Dio ha altre caratteristiche rispetto alla musica: essa in una certa mentalità islamica costituisce un peccato (ḥarām). Yūnes me l’ha spiegato in un’altra conversazione:
Yūnes: Se hai qualche obiezione io ci sono: discutiamo. Federico: No, mi chiedo soltanto perché la musica sia peccato.
Y: Cosa vuol dire musica? Qual è il suo signiGicato? Perché all’origine la gente ha cominciato a fare musica?
F: Per divertirsi forse…
Y: Per giocare, suonare . Se suoni comincia la musica, e cosa c’è subito dopo? Il 12 ballo. Chi è che balla?
F: Chi balla? Tutti!
Y: Uomini e donne, giusto? Ok, e una volta che comincia a ballare la donna, chi è che la guarda?
F: Tutti, stiamo ballando!
Y: L’uomo! Nella religione è peccato che l’uomo guardi una donna mentre balla, il suo corpo. Per esempio ai matrimoni quando cominciano a ballare, Satana è presente con loro. Hai capito adesso? Ecco perché la musica è un peccato. Dopo la danza viene il vino, dopo il vino viene la rissa, con la rissa è tutto rovinato. Entri nel peccato senza rendertene conto. In generale la musica è sempre peccato . 13 Dai miei appunti di una nostra conversazione, diario di campo del 17 dicembre 2017. 11 Il termine è la‛ab, che veicola l’ambivalenza “giocare-suonare” esattamente come l’inglese “to 12 play”. Yūnes, colloquio (p. 309). 13
Il mio tono era più spinoso del solito esplorando questo campo, perché notavo una contraddizione evidente fra le sue idee astratte e il suo comportamento . Il 14
cambiamento di personalità di Yūnes, da giullare a censore nello stesso istante, quasi mi impressionava. Ma ciò che ci interessa, almeno in questo paragrafo, è capire quale sia la convinzione profonda che sta alla base di alcune idee. La conversazione con Yūnes fu interrotta da un musicista ambulante, che chiedeva l’elemosina, proprio mentre lui mi diceva queste cose. Appena arrivò il musicista, gli chiese di farmi sentire qualche pezzo
gnāwā , e si mise a cantare con lui. Subito dopo il dialogo ripartì proprio da questo 15 spunto: Federico: Però dico, è bella questa musica! È stato un bel momento! Tu per esempio canti bene! Yūnes: [Ride] No, ma io sbaglio! Noi abbiamo due angeli, uno alla destra e uno alla sinistra. Se vai a leggere il Corano ti segna una buona azione, se canti te ne segna una cattiva! F: Non ci credo!
Y: Devi conoscerla questa questione caro mio! Anche tu hai due angioletti, quello alla sinistra segna le cattive azioni, quello a destra segna quelle buone. Possiamo anche dire che la musica ti rilassa. Ma il Corano fa molto di più! La guarigione del corpo! Qualsiasi cosa tu abbia, con il permesso di Dio se ne va. Ti guarisce! Leggi il Corano, preghi due rak‛āt, e ti rimetti. Quindi? Cos’è meglio? La musica o la preghiera, o leggere il Corano? 16
Con il tempo ho compreso che la contraddizione c’è eccome, e ha delle cause interessanti. 14
Basti qui accennare che questa posizione teologica riguardo alla musica non è affatto un dogma accettato in tutti gli ambiti, ma piuttosto una disputa che a segnato la storia teologica islamica, ed è tuttora aperta. Si veda, per questo, il capitolo The Samā‛ Polemic in Nelson 1985: 32-51. Il divieto assoluto di suonare o ascoltare musica, come dimostra il colloquio con il mio interlocutore, non è comune nel mondo islamico; è proprio di una posizione salaGita ed estremista, e infatti può affermarsi senza contraddizioni solo in zone dove riesce a imporsi un controllo territoriale di questo stampo. Si veda, per esempio, il Gilm Timbuktu, del regista del Mali Abderrahmane Sissako (2014). Un genere musicale popolare marocchino legato agli ex-schiavi sub-sahariani, che da qualche 15 decennio è ormai ad un livello alto di attenzione pubblica, anche internazionale. Yūnes, colloquio (p. 310). 16
Ecco nuovamente delle parole simili a quelle di Karīm riguardo all’adān, importanti perché aprono una Ginestra per guardare più da vicino le credenze frastagliate riguardo alla parola di Dio. Essa, come per le piante che si prosternano al tramonto perché sentono il richiamo alla preghiera, ha il potere di guarire da una malattia, secondo Yūnes. In realtà, le due cose devono essere accostate in virtù di quanto detto all’inizio di questo capitolo: il Corano è la fonte di tutte le altre pratiche quotidiane, che prendono forma in quanto eco della parola divina. La šahāda pronunciata dal mu’eddīn, le sure ripetute insieme alle varie invocazioni (ad‛īa) durante la preghiera, appena usciti di casa, prima di entrare in moschea, prima di mangiare, per ringraziare qualcuno: è tutta parola di Dio estrapolata dal Corano, che in se stessa ha un inGlusso positivo sulla realtà. Tutti questi suoni religiosi non sono musica, bensì rinna, melodia che viene dal cuore, come dice Yūnes (e in effetti bisogna notare che in tutti questi casi si tratta di “voce nuda”, mai accompagnata da qualche strumento, come a seguire la recitazione coranica). Tutto il sistema ortopragmatico islamico ha qui il suo fondamento, in questa semplice immagine dei due angeli che scrivono- senza perdersi nulla- cosa il fedele decide di fare, se una
ḥasana, una buona azione, oppure una sī’a, una cattiva azione. In questo quadro, la
parola di Dio è di per sé una buona azione, in virtù del suo potere performativo. Come mi raccontava un’altra volta Karīm:
Se parliamo del Corano, perché ti dicevo riguardo alle buone azioni? C’è un detto del Profeta che dice: «chi legge una sola lettera del libro di Dio», il Corano, non la Bibbia, mi dispiace, «guadagna una ḥasana, e una buona azione viene moltiplicata per dieci». Una lettera, una buona azione. E poi va avanti: «non vi dico che A. L. M. [serie
di tre lettere poste all’inizio di alcune sure coraniche] sono una sola lettera, ma che la
“alif” è una lettera, che la “lam” è una lettera, e che la “mim” è una lettera» [riferito
da Tirmiḏī. Traduzione mia]. Io sono musulmano, e se dico “A. L. M.” sono certo al
miliardo per cento che adesso mi hanno scritto trenta buone azioni. Così, basta questo, trenta buone azioni. È il libro di Dio! Se domani, al giorno del Giudizio Dio dirà che non è così, io gli dirò: «Tu sei saggio e giusto, l’avevi detto!», e a quel punto
magari mi moltiplica tutto e diventa trecento. Perché dice: «Dio moltiplica a chi vuole». . 17
Ogni lettera del Corano è dunque una buona azione, segnata a buon rendere per il giorno del giudizio: esso, in sé, indirizza la realtà verso il bene, al contrario della musica, capace di condurre al negativo, al peccato. Si capisce allora perché ciascuno, nella medina, cerchi l’occasione di frequentare la parola di Dio. Nel prossimo paragrafo comincerò a esplorare quali siano le modalità di questa frequentazione.