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Le voci della città

6. Il nesso fra i suoni e l’islām.

Ripartiamo dunque dalla questione della città islamica per come si è posta Gin dall’inizio della tesi e di questo capitolo: il rumore, inteso come l’inGinita complessità dei suoni che sfugge alla schematizzazione. Il problema è da subito stato la percezione della città da parte di chi non vi abita: De Amicis in questo ci viene in aiuto, per la sua limpidezza. La città di Fez è per lui una carcassa, è rumorosa, caotica, lasciata a se stessa, decadente. Queste sono alcune delle caratteristiche che stanno alla base della categoria di città islamica Gin qui presa in esame, e che creano l’illusione ottica di cui sopra. Qui Ginalmente restituisco la parola a un’abitante di Fez, che ci riporta proprio al rumore del mercato di quella parte centrale della città che tanto impressionò De Amicis. Curiosamente, la testimonianza più intensa in questa direzione l’ho avuta tramite la persona con cui meno ho potuto intessere un dialogo, fatto di parole. Come ho già detto, i quattro colloqui che ho avuto con ‛Ā’iša, la madre di Karīm, sono stati brevi e difGicoltosi. Niente a che vedere con i lunghi e verbosi dialoghi sulla religione e i massimi sistemi che imbastivamo con suo Giglio o con Ḥasan. Eppure, la risonanza che si è costruita con ‛Ā’iša è stata intensa, forse perché basata su un rapporto altrettanto intenso: lei mi ha spesso detto di avermi adottato come Giglio, e mi ha voluto bene come un Giglio per il poco tempo che abbiamo passato insieme. Alcune delle cose che mi ha detto sono fra le più cristalline che ho potuto raccogliere, non tanto per la loro chiarezza quanto per la loro densità. Federico: Ora, qual è il clima in ‛Ašābīn ? 21 Uno dei mercati del centro della medina, letteralmente “il mercato degli erboristi”. 21

‛Ā’iša: Com’è il clima? Ci sono le donne, tutti lavorano, tutti vendono, tutti cuciono, tutti sono felici, tutti attivi! F: Tutti attivi? Bello questo… A: Te lo garantisco, tutti attivi… Tutti chiamano il Signore. F: E come si dice…? Come posso dire? Io passo in ‛Ašābīn, e senti... io lo chiamo ruīna [casino, confusione], non so se è giusto… A: Eh, perché c’è la fōda. Della serie: tutti parlano, tutti vendono, tutti chiamano Dio. Capito? Tu vendi, io vendo, e tutti vendono, capito? Tutti cercano la propria ricompensa da Dio. Questo è. (…) F: A me piace molto quel clima. A: È spettacolare. F: E anche tu urli in mezzo al mercato? A: Anch’io urlo! [Ridiamo] Anch’io vendo, compro, urlo, parlo. È così! Perché la gente è abituata a questa atmosfera. Io sono una casinara (fōdawiya), mi piace la fōda. F: Casinara? [Ridiamo].

A: Casinari vuol dire attivi, felici. Questo è il clima nostro, grazie a Dio. È bello il clima di Fez! 22

È questa la percezione dei suoni della città che cercavo, in Fez: quella che possiamo ascoltare dalle parole dirette di chi la vive quotidianamente. Questo è il rumore e la confusione del mercato, secondo una fāsīa dell’oggi. Questa è l’unica città islamica che possiamo descrivere, che è tale non per una struttura Gisica, ma piuttosto per una struttura della percezione. Per ‛Ā’iša il rumore del mercato è gioia, non caos. È l’anima della città, il clima senza il quale non esisterebbe Fez.

In effetti, questo è un concetto vicino a quelli già affrontati nei capitoli precedenti, riguardo alla struttura percettiva dei suoni a Fez. Nel secondo capitolo abbiamo parlato del ḫušū‛, quella particolare concentrazione dell’orante che permette di creare una sorta di conGine di purità (ḥarām) selettivo, ed isolare i suoni esterni alla moschea. Ugualmente, nel terzo capitolo abbiamo distinto fra ascolto attivo e ascolto passivo del

‛Ā’iša, secondo colloquio (p. 252). 22

Corano, che può diventare sottofondo o narrazione teologica, a seconda dell’attenzione che gli si presta. Anche in questo caso la percezione è selettiva, come lo è sempre: guidata dai signiGicati simbolici appresi, la percezione di ‛Ā’iša dà uno sfondo colorato di una certa emozione al rumore che la circonda. La stessa percezione, in De Amicis, tocca corde emozionali diverse, inducendolo a storcere il naso. Nella percezione di ‛Ā’iša, se ci si pone in risonanza con la sua struttura percettiva (tacendo la propria in questo frangente), si coglie una certa somiglianza con i concetti islamici affrontati precedentemente. La percezione del paesaggio urbano, a Fez- come dappertutto- sembra non porre l’accento sulle cose che appaiono in primo piano, ma volerlo porre sempre a un piano più profondo, poiché l’attenzione è richiamata da altro. Questo, mi pare, funziona in virtù dell’islām, il cui signiGicato primo quello di sottomettersi a una forza più grande, di ritornare continuamente a Dio riconoscendo che è lui il Signore (rabbī). È ciò che annuncia il Corano, ciò che si fa nella preghiera, ciò a cui riporta costantemente il richiamo ad essa: Allāh-u Akbar, Dio è più grande. Per questo, tramite l’afGidamento a questo Dio, diventando contenitore della sua parola, il musulmano può comprendere che l’importante, come visto nel secondo capitolo, non sta nell’essere fedeli a una pratica ma sempre alla sua intenzione (niya). E ugualmente, l’importante nella città non è quanto sia decadente, quanto sia trascurata, quanto cada a pezzi, ma sempre come ci si vive. Come mi ha fatto notare ‛Ā’iša una volta, in realtà la medina sta migliorando negli ultimi anni: moltissimi investitori stanno comprando le vecchie case tradizionali che cadevano a pezzi e le stanno ristrutturando per aprirle ai turisti, e alcune zone del centro vengono restaurate perché siano sempre più accoglienti per i turisti:

Federico: E com’era… cioè… mi hanno detto molte persone che la medina è cambiata un po’…

‛Ā’iša: Mah.. Adesso grazie a Dio tutta la medina è stata ristrutturata, le case tradizionali sono state trasformate in maison d’hôtes… Capito? Erano abbandonate, sono arrivati i turisti a comprarle, a restaurarle, e sono tornate belle, e grazie a Dio

la medina è meravigliosa! Non c’è nulla come la vita della medina di Fez! La vita è semplice a Fez: il povero ci vive, e anche il ricco ci vive, tutti quanti, el-ḥamd-u lillah! F: E non c’erano i turisti una volta?

A: No, c’erano i turisti! Io mi ricordo dei turisti… Soltanto che nessuno restava, venivano, visitavano e se ne andavano… Perché Fez è una città di scienza, bella! Capito? E la sua terra è… buona, grazie a Dio… Piena di santi e giusti… Veramente! 23

Non credo che mentisse, con queste parole, o stesse cercando di vendermi la città che, come sapeva, amavo già molto. Probabilmente, nonostante abbia dovuto viaggiare per lavoro, ‛Ā’iša non ha semplicemente mai cercato nulla all’infuori della medina di Fez. Le basta come le basta l’aria che respira e il cibo che mangia: il suo orizzonte è chiuso dentro questo luogo, e dentro questa chiusura lei è felice. Sembra la stessa prospettiva di fratello, Sī Moḥammed, che diceva «Non c’è veramente bisogno dei grandi professori, insegnanti… Si può essere anche persone molto semplici e arrivare a comprendere, già» . Nonostante, quindi, si possa parlare della trascuratezza della medina, del suo 24

disordine, della sua confusione, del suo rumore, tutte queste cose non impediscono alla città di essere viva e vegeta, proprio il contrario. Fez non è certamente una carcassa o un resto archeologico del passato. Questo è chiaro, per esempio, anche a Ḥasan, che la pensa in maniera diversa rispetto ad ‛Ā’iša’, e non crede che i nuovi restauri possano cambiare molto la città.

Federico: Ma è cambiata nel tempo, la medina? Cosa è cambiato?

Ḥasan: Cos’è cambiato? L’uomo è cambiato, ecco cosa [ridiamo]. Veramente! La medina è sempre la stessa. Perché la gente della medina ha cominciato ad andarsene, capito? E quando se ne sono andati, ecco che è cominciata la trascuratezza… La gente della città ha cominciato a cambiare, se ne sono andati quelli che avevano vissuto l’epoca d’oro della medina, quando le case erano belle, in

‛Ā’iša, primo colloquio (p. 245). 23

Si veda il terzo capitolo di questa tesi, § 8. 24

salute, come si deve, al massimo dello splendore, quando la maggior parte delle famiglie abitavano in una casa tutta per loro . 25 Ciò che cambia la città secondo Ḥasan è l’uomo (bnādem, Giglio di Adamo), l’elemento umano. Possiamo affermare, associando le parole di Ḥasan e ‛Ā’iša’ alla riGlessione della Abu- Lughod sulla città islamica, che if there is something Islamic about cities, it must be more than simple architectural patterns and designs (…) Cities are the products of many forces, and the forms that evolve in response to these forces are unique to the combination of those forces. A city at one point in time is a still photograph of a complex system of building and destroying, of organizing and reorganizing, etc. In short, the intellectual question we need to ask ourselves is: out of what forces were the prototypical Islamic cities created? (Abu Lughod 1987:161-162).

Chiaramente, quest’ultima domanda è un’altro modo di chiedersi la domanda che si sta ponendo questo lavoro: qual è il ruolo del paesaggio sonoro in una città, cioè in che termini possiamo parlarne. E la risposta è chiara, sia per la Abu Lughod che per Ḥasan (che per questa tesi più in generale): sono le pratiche dell’uomo (le stesse Gin qui prese in esame) quelle forze che rendono una città islamica o meno, dando vita a una particolare estesiologia, quella dell’islām, che mette in grado i suoi abitanti di vivere la vita della città: una vita semplice. Dunque, il soundscape della medina è fatto di pratiche. Questo non è certamente nuovo per la riGlessione antropologica sul paesaggio.

Ḥasan, quarto colloquio (p. 235). 25