• Non ci sono risultati.

Una certa decadenza: «un suono che era spettacolare!»

Capitolo 2 Dio è grande

3. Una certa decadenza: «un suono che era spettacolare!»

Questi primi paragraGi si sono soffermati sul richiamo alla preghiera anche per un motivo “di pancia”, per così dire: esso è lentamente, nei miei anni di formazione da arabista, divenuto in me centro catalizzante del fascino per le sonorità arabe in generale, marocchine in particolare. Non voglio dire che l’idea di questa tesi nasce dall’adān, ma sicuramente esso ha avuto per me un grande valore simbolico. Ovviamente, per questa ragione, devo averlo sottoposto a un processo di idealizzazione di cui non ero pienamente cosciente. Mi resi conto che lo avevo idealizzato, e quindi ingigantito, solo una volta giunto sul campo: già dai primi giorni, infatti, il richiamo di Fez mi lasciò a bocca asciutta: «mi ha deluso molto non essere svegliato dal mu’eddīn. Anche ora, che c’è stato il richiamo di mezzogiorno, non l’ho sentito se non lontano», scrivevo il giorno dopo il mio arrivo . In effetti, al di là della prima fascinazione, sbalordita di fronte al 18

nuovo, resta poco di entusiasmante. La medina è zeppa di moschee, ma ormai più della metà sono in disuso, e molte anche se utilizzate non hanno l’altoparlante in alto, sul minareto o sul tetto, ma in basso, in modo che si senta solo per chi è vicino. Inoltre,

Diario di campo, 15 novembre 2016. 18

afGinando l’orecchio, mi sono reso conto che sono ben pochi i mu’eddīn che “cantano” il richiamo con un minimo di arte: nella maggior parte dei casi il grido è letteralmente tale, Gino a diventare in alcuni casi stonato o fastidioso, a causa degli altoparlanti vecchi e gracchianti. D’altronde non sembra essere soltanto una mia percezione. Anche Ḥasan, probabilmente più sensibile di altri alla bellezza delle cose legate alla religione, mi diceva:

Una volta, al momento della preghiera, era una cosa che ti sarebbe piaciuta tantissimo! Hai presente la medina? Tutta, tutta la medina era un adān. Sentivi l’adān tantissimo! Per Dio l’immenso! Non puoi capire che paesaggio! Bello, bello, bello! Quando arrivava la preghiera, sentivi «Allāh-u Akbar!», da tutte le direzioni! Un suono che era spettacolare! 19

E invece ultimamente- si lamentava poi il mio interlocutore- tutto è diminuito, a causa della politica, dei turisti, del fatto che la gente non si vuole svegliare la mattina presto, non vuole essere disturbata. Ho spesso trovato un senso di decadenza nelle parole dei miei interlocutori della medina, un’ideologia legata ai fasti del passato e alla noncuranza del presente. La noncuranza è d’altronde tema fondamentale per lo spazio pubblico marocchino. La medina dimostra questa decadenza anche a un rapido sguardo, in tutti i sensi. Le case sono di un giallo sbiadito, i muri scrostati, i mattoncini del pavé delle strade spesso fuori dalla loro sede. L’ammasso di ediGici a stento pare tenersi in piedi, e ad ogni vicolo appaiono nuove impalcature di legno che sorreggono una casa che sta sprofondando sull’altra. Se ci si sporge da qualche muro diroccato, come ce ne sono molti, si può trovare una casa abbattuta dalle intemperie, usata come discarica dai passanti o dagli stessi abitanti del quartiere. Ogni strada è sede di piccoli ammassi di riGiuti che vengono- non sempre- sgomberati nottetempo, rivelando carcasse di gatti o di topi. La puzza e la sporcizia regnano sovrane. Ma la noncuranza è anche e soprattutto umana: a Fez in particolare, la vendita della marijuana proveniente dal Rīf e la crescita degli adolescenti con orizzonti precari per il futuro, il peregrinare non solo dei cani, ma Ḥasan, terzo colloquio (p. 228). 19

anche dei bambini “randagi” per la città, in cerca di qualche turista da spremere, danno sconforto a chi cerca i fasti di una capitale di impero. Da città nobile e ricca, Fez sta vivendo negli ultimi decenni una decadenza notevole, il che ci riporta al discorso fatto nel primo capitolo sulla “carcassa”: la medina sembrerebbe morta, e a quanto pare sta marcendo anche in alcuni punti sonori. Quasi tutti i mu’eddīn incaricati dallo stato (e che quindi percepiscono un piccolo stipendio dal Ministère des Habous et des Affaires

Islamiques) sono ormai anziani, e non riescono a occuparsi del richiamo se non una o

due volte al giorno. Vengono sostituiti dai fedeli più zelanti, come Ḥasan, che si incaricano del richiamo di una delle preghiere della giornata. In effetti, durante i tre mesi che ho trascorso a Fez, non sono riuscito a conoscere un vero e proprio mu’eddīn, al quale fare un’intervista sul suo mestiere. Si denota dunque un certo stato di abbandono di alcune cose, un decadimento graduale di affari per i quali ci si aspetterebbe un’attenzione maggiore. Questo tipo di annotazioni sono necessarie per poter misurare la proporzione oggettiva di questo fenomeno: si è visto che, comunque, il signiGicato del richiamo alla preghiera è salvaguardato, e conserva il suo valore di “invito” in maniera viva.

Ma se a livello religioso il peso speciGico di questa pratica appare abbastanza chiaro, è necessario chiarire il suo posto a livello di quella che si potrebbe chiamare una “mappatura sonora” della città. Non occorre addentrarsi nei meandri di una cartograGia sonora di tipo quantitativo, come è uso nella pianiGicazione acustica, e neanche arrischiarsi in qualche esperimento di soundmapping qualitativo , ma semplicemente 20

chiarire il valore, per così dire, Gisico di questo suono ripetuto cinque volte al giorno. Ḥasan ha già fatto notare che ora non è più come quando lui era piccolo, quando «tutta la medina era un adān». Questo fa pensare a una copertura spaziale importante dei suoni. Le fonti sonore del richiamo dovevano essere molto maggiori, tali da far risuonare il grido in tutta la città. Se oggi dovessimo produrre una cartograGia Gisica dei minareti, l’effetto sarebbe il medesimo che in passato: sono ancora moltissimi- anche se alcuni in

Si veda Radicchi 2012: 59-83. 20

stato di abbandono, coperti di muschio ed erbacce o abitati dalle cicogne- e quindi i punti in un ideale mappa sarebbero disseminati un po’ ovunque nella città. Se invece ci si immagina una cartograGia sonora, ecco che i punti, le fonti sonore, diminuiscono, perché non tutti i minareti sono attivi. Emergerebbe un nodo centrale importante, in corrispondenza del cuore della medina, con le due moschee centrali della città e tutto intorno le piccole moschee che servono i mercati principali e trafGicati. Allontanandosi da questo nucleo più Gitto, si incontrerebbe qualche punto qua e là, in ordine sparso nella medina, con dei nodi salienti vicino alle porte con delle moschee più grandi e frequentate: Bab Buǧlūd, Bab Guissa, o Bab Ftūh. Se, come ogni suono, il richiamo si espande nello spazio con una struttura ad onde, in cerchi concentrici dalla fonte primaria Gino al suo intorno, è ovvio che nelle zone periferiche il richiamo sia un Glebile e lontano suono, proveniente da direzioni diverse e frenato in aggiunta dagli alti muri delle case.

Per “cartografare” meglio, allora, l’importanza sonora di questa pratica, forse non bisognerebbe riferirsi allo spazio, bensì al tempo. Se nel campo del soundscape tout

court si trovano pochi appigli nella letteratura antropologica classica, non è lo stesso se

si rivolge l’attenzione ai suoni e al loro signiGicato. David Le Breton, nel suo saggio sull’antropologia dei sensi, analizza qualche caso etnograGico- fra le campane e le le forme di trance nelle esperienze europee e non- per meglio comprendere il ruolo dell’udito e dei suoni nell’ecologia culturale di una certa popolazione. Alla musica, in effetti, a una forma di percussione, o comunque alla produzione o annullamento di un suono viene spesso afGidato il compito di delimitazione di una atmosfera. Afferma Le Breton:

Il suono ha la facoltà di rompere la temporalità anteriore, e di creare immediatamente un ambiente sonoro nuovo, di delimitarlo e di uniGicare un evento tra le sue manifestazioni. Una rottura acustica traccia una linea di demarcazione e trasforma l’atmosfera di un luogo (Le Breton 2007: 148).

In quest’ottica il nostro richiamo appare più chiaro. Nonostante la sua minore presenza in termini di diffusione spaziale, esso salvaguarda la sua funzione di soglia temporale. Esso divide la giornata in maniera sensibile, è dispositivo che le conferisce un ritmo, un’andatura, precedendo alcuni avvenimenti quotidiani che ad esso sono legati a doppio Gilo. E’ con il primo richiamo che ci si sveglia (e anche chi non riesce a farlo, sa di doverlo fare); è fra ẓohr e l’ ‛asr che si va a pranzo (il pomeriggio si chiama ba‛ad el-

ẓohr); è dopo il maġreb che si comincia a chiudere le attività; è dopo l’ ‛išā’ che si torna a

casa per la cena (che, appunto, si chiama ‛aša’). Per quanto gli orologi e i cellulari siano ovviamente presenti in medina, ho potuto notare che l’orario non è cogente quanto invece quello che potremmo deGinire “il momento della giornata”: se è il momento di mangiare, di lavorare, di fare merenda, o di pregare. E la transizione fra i vari momenti della giornata è afGidata a questo richiamo che si fa soglia temporale. Ciò che è importante sottolineare è che questo dispositivo di soglia a cui si afGida il ritmo della giornata funziona con una condizione essenziale: che gli sia dato il potere di agire. Ciò che afferma Le Breton riguardo alla trance e ad altri fenomeni su base sonora, dunque, può essere applicato anche a questo contesto:

L’efGicacia dei rumori emessi in un contesto preciso è dovuta non alla loro natura ma all’organizzazione coerente e signiGicante per la comunità umana che li ascolta. I suoni che rientrano nella percussione operano il passaggio alla temporalità speciGica dei riti per via del loro senso, non del loro suono (Le Breton 2007: 149).

Come già detto, il richiamo qui salvaguarda un senso vivo, e la giornata si lascia più facilmente ritmare da esso. Questo può essere legato al carattere “antico” della medina (che infatti viene designata come qdima, cioè antica): il trafGico e il cemento qui non sono i protagonisti. In ville nouvelle, invece, i rumori dei motori prendono il sopravvento, affollandosi in grandi rotonde trafGicate, o nei lunghi viali alberati del centro, afGiancati da innumerevoli caffè, il suo ruolo non è più evidente. Le moschee sono anche più grandi della medina, gli altoparlanti dei minareti vanno a tutto volume. Ma il richiamo fa più fatica a farsi sentire, a saltare all’orecchio, perché si perde nell’inquinamento acustico.

Sarebbe difGicile dire, qui, se la ragione di fondo è appunto, inquinamento, oppure uno sGibrarsi del tessuto di signiGicato che invece in medina rimane intatto, come vorrebbero dire alcuni abitanti della medina. Arriveremo forse a dare una risposta a questa domanda procedendo nel nostro discorso. Basti per ora essere arrivati a queste conclusioni. Se la medina affronta una lenta decadenza, anche sonora, infatti, le due voci che ascoltate Ginora- e che riascolteremo- hanno fatto notare che il loro entusiasmo, il loro gusto profondamente positivo di vivere da musulmani e fāsī non è intaccato. Nonostante l’apparenza di carcassa, un respiro vivo attraversa la medina, ed è necessario dunque continuare con l’esplorazione delle sue fonti. Il richiamo alla preghiera invita i credenti, e ora dobbiamo occuparci della loro risposta.