La quantità di problemi e questioni che solleva in questo momento la società marocchina è potenzialmente inGinita, e in effetti più ci si avvicina e più si colgono vividamente i contorni e i conGini di numerosi punti ricchi da sviluppare. A chi visiti Fez con un minimo di attenzione, già a una prima disamina salterà all’occhio la cattiva gestione dei riGiuti e della pulizia, che riporta a interessanti questioni circa il modo di concepire lo sviluppo e il progresso della nazione. Questo, d’altronde, si collega a una questione più prettamente politica, di cittadinanza attiva e di amministrazione della cosa pubblica, che lambisce inevitabilmente anche le numerose emergenze legate a criminalità e droga, che spesso coinvolgono anche giovanissimi (con spaccio e consumo di droga, per esempio, come problema principale). Così come, d’altronde, si potrebbe sottoporre ad accurata analisi l’inGluenza dei media sulla generazione attuale, gli orizzonti che essa dischiude fra nuove possibilità per i più ricchi, e senso di esclusione
per i più poveri, arrivando Gino alle prospettive educative, diverse di quartiere in quartiere. Inevitabilmente, durante il mio periodo di campo a Fez, la mia esperienza etnograGica ha sGiorato anche tutti questi temi, pur senza trasformarli in domande di ricerca. Dietro, infatti, alla mia fascinazione esotizzante- anch’essa un po’ ottocentesca- per le sonorità marocchine, stava un sincero interesse per la vita quotidiana dell’islām, e all’intreccio fra questi due termini. Mi interessava capire come fosse l’islām vissuto, indagare l’esperienza islamica in un contesto dove esso fosse protagonista. L’islām, come è ovvio, è nato nell’ambiente desertico della Penisola Arabica. Tuttavia, come i paragraGi precedenti hanno illustrato, una città come Fez ha avuto il tempo e le possibilità di creare una sua forma propria di islām, una sua versione urbana; in questa sua forma si è radicata la mia domanda di ricerca. Essa, in effetti, va ora articolata sul piano più prettamente antropologico: è necessario costruire qui un breve inquadramento teorico, che dia ragione delle scelte e dei percorsi che questo lavoro affronterà. Questa tesi si costruisce, a livello teorico, a cavallo fra due Giloni di riGlessione della nostra materia: da una parte l’antropologia della città, e dall’altra l’antropologia dei sensi. Una volta scelta Fez come terreno, infatti, il primo problema da risolvere è stato come affrontare l’etnograGia della città- intesa sia come studio che come rappresentazione. La complessità- e la sua gestione in un modello- d’altronde, è stata il punto centrale Gin da quando l’antropologia si è affacciata a questa problematica . Fin dall’articolo di Robert 11 Park nel 1915, primissima riGlessione su un possibile “studio del comportamento umano nell’ambiente urbano”, come recitava il titolo; passando poi per tutta la produzione della scuola di Chicago, con la pubblicazione della raccolta The City nel 1925 e i vari importanti lavori di Burgess, Mckenzie, Anderson, Wirth e molti altri; e per la Scuola di Manchester di Max Gluckman, l’asse con Lusaka e la produzione del Rhodes-Livingstone Institute; per tutte le inclinazioni di ricerca scaturite da queste due grandi fonti, la domanda costante è stata la stessa: come applicare gli strumenti antropologici forgiati nelle cosiddette società semplici alle cosiddette società complesse. D’altronde, il
Per questa sezione faccio riferimento al manuale di introduzione all’antropologia della città di 11
fenomeno urbano si è sempre studiato, e si potrebbe approcciarsi ad esso con svariati assi di ricerca. La sociologia stessa, sorella dell’antropologia, ha prodotto già nel XIX secolo una grossa riGlessione su di esso, e la letteratura GilosoGica e storica ne sono colme. Ma per l’antropologia da subito, proprio per le differenti condizioni della sua nascita, l’approccio è stato problematico. Superate le remore di chi pensava che l’impresa fosse addirittura impossibile (come per esempio Lévi-Strauss), spesso i risultati che si sono prodotti sono da ricondurre piuttosto a un’etnograGia nella città, cioè di fenomeni ravvisabili in ambiente urbano, che a un’etnograGia della città, cioè che studi e rappresenti il fenomeno urbano in quanto tale, in tutte le sue sfaccettature. E’ l’inclinazione di quello che Alberto Sobrero chiama il ghetto approach, in cui egli inserisce, in una sottile linea connettiva, anche esponenti di scuole distanti, da Louis Wirth (1928, The Ghetto) e la sua scuola, Gino a Ulf Hannerz (1969, Soulside).
Questo lavoro ha avuto l’ambizione di porsi non all’interno di questa fonte, ma dell’altra, che fa capo alla scuola di Manchester. La riGlessione che Max Gluckman e i suoi colleghi del Rhodes-Livingstone Institute hanno sviluppato porta a una soluzione al problema dell’etnograGia di un sistema complesso, tramite una graduale torsione dialettica. Le basi di questa “rivoluzione discreta” sono, come nota Sobrero, da 12
ricercarsi nel lavoro di Edward E. Evans-Pritchard, e in particolare nella sua opera del 1940, I Nuer. Con la sua analisi delle società segmentarie nilotiche, infatti, egli dimostrava che
di fronte a una realtà restituita alla propria complessità, alla propria interna dinamicità, il procedere monologico della grandi monograGie tradizionali, il metodo della costrizione dall’esterno del materiale nei grandi capitoli dell’economia, religione, politica ecc. non sembrava più adeguato. Non solo Evans-Pritchard si pone consapevolmente all’interno di ciò che descrive, ma è continuamente alla ricerca di prospettive originali della rappresentazione […] (Sobrero 2013: 103).
La stessa rivoluzione che avrebbe lentamente portato l’antropologia dalle discipline 12
nomotetiche a quelle idiograGiche, poi compiuta con l’antropologia interpretativa di Clifford Geertz.
Dunque ogni realtà, in quanto tale, è complessa, Ginché non si trova il modo di accostarsi ad essa e di comprenderla. Da questo deriva che la differenza fra “società semplici e complesse” non è di natura ma di grado, e per ogni situazione è necessario trovare la metodologia e il modello adatti.
Nel rapportarmi a Fez, ero determinato a non abdicare a questa comprensione totale, a quella che Marc Augé, cercando di applicare l’etnologia francese al metrò parigino, chiama una “totalità impossibile” : volevo fare un’etnograGia della città, e non solo nella 13
città. Tuttavia, lentamente mi sono reso conto, pur avendo esplorato varie direzioni possibili, che la durata del mio campo (tre mesi) non mi permetteva di condurre uno studio di vari luoghi, così da mettere in dialogo le diverse parti della città. Nelle conclusioni- scritte con Ely Devons- di Closed Systems and Open Minds- The limits of
naïvety in social anthropology , Max Gluckman delinea i cinque punti di quella che egli 14 identiGica come la procedura che ogni scienziato in generale, e ogni scienziato sociale in particolare non può esimersi dal seguire. Quest’opera si pone in continuità con le acquisizioni di Evans-Pritchard, e tratta di come riuscire a produrre sempliGicazione: come e quanto si può dedurre da fatti complessi principi semplici. La prima in assoluto, quella che qui ci interessa, lui la chiama circumscription.
There is delimitation of a Gield in space and in time. Every anthropologist uses this procedure to isolate a manageable amount of interconnected data […]. This procedure of closing off a Gield will be called circumscribing a Gield of research. When an anthropologist circumscribes his Gield, he cuts off a manageable Gield of reality from the total Glow of events by putting boundaries around it […] (Gluckman 1964: 162-163). Augé 2010: 89. 13 Opera del 1964, anno di chiusura dell’istituto di Lusaka, che per questo si considera come il 14 lascito teorico di questa scuola (Gluckman 1964).
A questo principio metodologico ho fatto appello quando mi sono reso conto che non potevo, nel tempo a disposizione, esplorare in maniera accurata lo spazio fuori dal mio primario campo d’azione: la medina. Questo lavoro, dunque, pur costantemente puntando ad abbracciare l’intera città di Fez, partirà e Ginirà fra le mura (ormai in rovina) della città antica di Fez, il suo nucleo primario. Si porrà il problema di un modello con il quale interpretare questa parte della città, e di quanto esso sia estendibile al resto dello spazio urbano. Ma nelle movenze fondamentali resterà all’interno di quello che, parafrasando Sobrero, potrei deGinire un medina approach. Una volta delimitato, tuttavia, lo spazio e il tempo di ricerca, non avevo ancora terminato la procedura di
closing off che Gluckman prescrive. Egli parla anche di un «duty of abstention, which
requires that if we are to solve certain problems, we have to abstain from studying other, though apparently related, problems» (Gluckman 1964: 168). Nella medina, cioè, bisognava trovare qualcosa di preciso da investigare, un taglio per studiarla. Ritornando alla domanda di ricerca iniziale, riguardo all’esperienza sonora dell’islām urbano, il campo di azione sembrava alquanto evidente: la percezione dello spazio.
Per quanto possiamo rintracciare nella riGlessione epistemologico-GilosoGica una costante attenzione alla questione dei sensi (è di Aristotele in effetti la classica divisione giunta Gino a noi), l’attenzione in questo campo ha acquisito negli ultimi decenni maggiore rilievo non solo in campo antropologico. Fra neuroscienze, GilosoGia e psicologia e molte altre, infatti, ciascuna nella sua prospettiva, molte discipline stanno tornando ai sensi come base dell’esperienza umana. Più vicino all’argomento che qui trattiamo è lo sviluppo dell’urbanistica dei sensi, che viene in generale fatto risalire alla fondamentale opera di Kevin Lynch, The image of the city, del 1958, il cui scopo era una progettazione più vicina all’esperienza della città dei suoi abitanti . L’antropologia è 15
nata e cresciuta con una palese disattenzione alla questione percettiva, concentrata com’era Gin dai primi passi su altri focus e metodologie. Tuttavia, possiamo individuare lungo la storia della disciplina una linea rossa, una catena di intuizioni emerse qua e là
Si veda Radicchi 2012: 1-30. 15
come un fenomeno carsico: dall’intuizione di Marcel Mauss riguardo al concetto di “tecniche del corpo”, Gino al paradigma dell’incorporazione di Thomas Csordas e al concetto di “habitus” di Pierre Bourdieu, l’ambito teorico dell’antropologia si è progressivamente avvicinato al dominio del corpo come fulcro delle sue riGlessioni. Tuttavia, Gino agli anni ‛80 l’attenzione non si è rivolta speciGicatamente all’aspetto della percezione e delle sensazioni. Si fa solitamente risalire al 1989, con la pubblicazione di
The taste of ethnographic things di Paul Stoller, una svolta in questo senso. La strada è
stata poi battuta soprattutto dalla scuola della Concordia University di Montréal, da autori come Constance Classen e David Howes dai primi anni ‛90 in poi, collegandosi inevitabilmente con il Gilone di riGlessione sulle emozioni, nato in seno alla scuola interpretativa di Clifford Geertz. Questo percorso antropologico ha portato a conferire una nuova prospettiva alla questione sensoriale, non soltanto riconoscendone la dimensione sociale, ma arrivando ad affermare che i sensi sono forgiati dalle interazioni sociali, e che quindi sono in una certa misura un prodotto della società, in una costante dinamica che induce a ripensare la dialettica natura/cultura. Afferma Antonio Marazzi:
Suoni e immagini, gusti, profumi e sensazioni creati ad arte perché siano raccolti, fruiti e interpretati dai sensi propri o di altri uomini- un processo culturale- sono stati i protagonisti dello sviluppo della condizione umana e dell’affermarsi delle inGinite diversità espressive, in opposizione all’uniformità della dotazione istintuale animale. Non si tratta, tuttavia, di dimensioni separabili, l’una naturale, l’altra culturale: non vi è un salto in senso evolutivo, e non dovrebbe esserci nemmeno separazione nell’analisi (Marazzi 2010: 18).
Se, come afferma ancora David Le Breton nella sua esplorazione storico- antropologica su questo tema, la percezione è «un pensiero in atto sull’ininterrotto Glusso sensoriale in cui l’uomo è immerso» (Le Breton 2007: XV), essi devono essere tenuti in conto per ogni analisi antropologica.