• Non ci sono risultati.

La sezione del testo che segue è dedicata alla raccolta dei con- tributi delle studenti e delle ricercatrici che hanno partecipato alla sessione “In ascolto. Sessione aperta alle giovani riflessioni”. Que- sto momento di discussione è stato organizzato sulla base di una selezione dei contributi giunti a seguito di una call aperta. Attra- verso questa formulazione si è inteso dare spazio agli spunti sul tema della violenza di genere che nascono dall’interesse di chi, trovandosi nelle fasi iniziali del proprio percorso di ricerca, sce- glie di indagare ed approfondire queste tematiche da prospettive che spesso rimangono ai margini della discussione accademica. Proprio questa molteplicità di traiettorie che ha contraddistinto le presentazioni e la discussione che ne è seguita, offre allo sguardo la complessità insita nella violenza di genere e mette a disposizio- ne spunti innovativi. È dentro questo caleidoscopio di sguardi che prende corpo l’evidenza della dimensione strutturale della violen- za di genere.

La scelta di non riportare entro una sintesi stilistica queste ri- flessioni, quanto piuttosto di lasciare libera espressione alle autri- ci, si inserisce quindi nell’intento di restituire ogni sfaccettatura rispettando anche la forma individuata dalle autrici come più ef- ficace nell’esposizione del proprio progetto di ricerca o dei propri risultati. Per questa ragione i contributi che seguono hanno tagli diversi e si posizionano tra l’articolo scientifico più classico e la narrazione biografica, tra la presentazione di ipotesi di ricerca e l’esposizione di dati consolidati. Si è deciso, così, di aprire que- sta sessione anche a contributi artistici e figurativi, con l’intento di raccogliere quanti più spunti possibili sulla tematica al centro della discussione. La scelta di un approccio multidisciplinare ha portato quindi anche a ricevere alcuni lavori ad opera di artiste e di studenti in arti figurative di cui si riporteranno nella presente sezione alcuni esempi commentati e spiegati dalle artiste stesse.

Nella presentazione dei lavori che hanno composto questa ses- sione, non si può prescindere dal mettere in evidenza come tra essi si siano trovati immediatamente spazi di dialogo, spunti di richia- mo ed integrazione reciproca sebbene provenengano da ambiti disciplinari differenti delle scienze umane e sociali. Sono dunque le installazioni di Patrizia Giacomini ad aprire la sezione con una riflessione che, attraverso alcune antiche tavole di legno lavora- te dall’artista e cortecce di alberi centenari, coniuga riflessioni sull’importanza del tempo nei vissuti delle donne che hanno subito violenza. Un «tempo del riscatto» a cui si accompagnano «spazi di speranza» (Giacomini), attraversati dalla luce solare, che finiscono per diventare fessure luminose attraverso cui la spettatrice e lo spettatore possono scorgere nuove prospettive. Sempre nell’ambi-

to delle arti visive si colloca il contributo di Lorenza Robino che, attraverso due illustrazioni, restituisce a chi guarda la molteplicità di vincoli, di «catene imposte al genere femminile all’interno della nostra società» (Robino), ma anche l’importanza di esserne consa- pevoli per poterle rompere. Vi è quindi una presentazione più al- legorica e simbolica, relativa alle auto-limitazioni, ai modelli intro- iettati che si affianca ad una seconda immagine in cui il tema del peso corporeo diventa paradigmatico, nello sguardo dell’artista, di «tutte le situazioni di costrizione» (Robino) vissute dalle donne di oggi. Si anticipa qui che il contributo di Anna Maurizi, al termi- ne di questa sezione, sarà dedicato specificatamente alla tematica dell’immagine, del peso corporeo e dei disturbi alimentari, un po’ a confermare una circolarità tra le riflessioni delle autrici.

Venendo dunque ai contributi testuali, una parte importante della sezione è dedicata agli spunti relativi al tema delle migrazio- ni. Più specificamente, ciò che diverse autrici sottolineano nei loro contributi è la dimensione intersezionale delle oppressioni vissute dalle donne migranti per cui l’elemento della violenza di genere è inscindibile da quello della loro provenienza geografica, così come da quello della loro condizione socio-economica. Ciò che si propo- ne è dunque un percorso di lettura che prende avvio con una pa- noramica relativa alla situazione nelle rotte migratorie balcanica e del Mediterraneo occidentale, per poi focalizzarsi su alcuni aspetti specifici relativi alle modalità di attuazione della violenza di gene- re in relazione all’iter di richiesta d’asilo in Italia, nel fenomeno della tratta e nei vissuti delle donne di seconda generazione che oggi vivono in Italia.

La riflessione di Valentina Marconi cammina idealmente in- torno al Mediterraneo per mostrare le differenti motivazioni che soggiacciono ai fenomeni migratori e per evidenziare come questo sia legato a doppio filo con le strutturazioni differenziate (anche) della violenza di genere. Non è possibile infatti, argomenta l’autri- ce, ricondurre ad un insieme omogeneo l’esperienza della violenza nei vissuti delle donne migranti, ma si evidenzia piuttosto come questo sia fortemente connesso alle politiche migratorie ad oggi poste in essere dagli Stati. La posta in gioco, dunque, è saper te- nere lo sguardo all’altezza del problema, alle scelte politiche che vengono compiute in tema di confini e quindi evidenziando come queste abbiano effetti sulle condizioni che le migranti si trovano a vivere. Se dunque i «confini [sono] spazi violenti e ostili […] in pre- senza di politiche che promuovono la criminalizzazione dei flussi migratori», grande interesse e importanza assumono le «diverse strategie di sopravvivenza che permettono [alle donne] di conti- nuare il proprio progetto migratorio» (Marconi). Si tratta quindi di superare l’impostazione vittimizzante, per osservare i fenome- ni nel loro compiersi, nel loro essere vissuti da soggetti incarnati. Ed è sempre sul ruolo delle politiche migratorie e la loro relazione con la violenza di genere che pone l’accento Silvia Pitzalis. In parti-

colare, utilizzando il concetto di ‘violenza istituzionale’, introduce una lettura antropologica dell’interazione tra la violenza di gene- re e l’iter legale della richiesta d’asilo in Italia. Emerge così come spesso la necessità di narrarsi da parte delle donne migranti ai fini del riconoscimento ufficiale, si scontri apertamente con stereotipi ed aspettative da essi supportate che finiscono per portare all’in- visibilizzazione dei fenomeni reali. Con molta forza l’autrice apre la riflessione sulla problematicità del riconoscimento stesso della violenza di genere per le donne inserite nel percorso di richiesta d’asilo e su quanto questo si trasformi in un’ulteriore forma di vio- lenza, questa volta istituzionale.

Un arricchimento del discorso proviene dalla presentazione della ricerca di Toscani che, a partire dalla propria esperienza come operatrice, ha raccolto e analizzato alcune voci di donne vittime di tratta. Nel solco di quanto già messo in evidenza nei contributi fin qui considerati, si inserisce una riflessione sulle ul- teriori implicazioni di questo fenomeno che, secondo l’autrice, «si- gnifica affacciarsi sulle logiche del mercato e dell’economia, oltre che scontrarsi con le politiche migratorie e i sistemi istituzionali di accoglienza» (Toscani). Il contributo sollecita inoltre una rifles- sione sulle difficoltà che le donne incontrano nel momento in cui provano a costruirsi percorsi di autodeterminazione nel paese di immigrazione. Le diseguaglianze e le discriminazioni che si trova- no a vivere in Italia le donne in fuoriuscita dalla tratta diventano emblematiche del contesto patriarcale di arrivo, caratterizzato da un mercato del lavoro e immobiliare instabili e da stigmatizzazioni sociali difficili da rompere.

Un altro punto di vista è quello proposto da Elenonora Cintio- li che nel suo contributo ha ricostruito, attraverso una ricerca sul campo, la percezione della violenza di genere da parte delle donne musulmane di cosiddetta ‘seconda generazione’. Interessante osser- vare come attraverso la prospettiva dei men’s studies e di decostru- zione del maschile, l’autrice indaghi la costruzione del sé femminile da parte di donne la cui cultura d’origine e d’adozione non coincide. Attraverso le parole di dieci giovani donne musulmane che vivono a Roma, viene acclarata la rilevanza del punto di vista da cui si osser- vano i fenomeni e quanto questo incida sull’interpretazione che si dà degli stessi. Nella riflessione dell’autrice, mettere in luce la com- presenza di una molteplicità di differenze nell’esperienza incarnata può diventare uno strumento di dinamizzazione delle percezioni sociali nell’ottica di decostruire stereotipi e disuguaglianze.

Così come Cintioli ha posto al centro del proprio lavoro il ‘parti- re da sé’, l’autonominarsi donne da parte delle intervistate, anche nel lavoro di Anita Redzepi l’elemento dell’autonarrazione assume un significato importante. In questo caso, infatti, la strutturazione del contributo è suddivisa tra una prima parte di dialogo ideale tra Foucault, Heidegger e Arendt sul concetto stesso di ‘violenza’ e una seconda parte in cui l’autrice utilizza l’espediente narrativo

per tradurre nella quotidianità gli spunti filosofici precedentemen- te esposti. In particolare, la lettura della violenza di genere nella prospettiva dei sistemi di potere foucaultiana ne mette in luce il fondamento relazionale che l’autrice arricchisce con alcuni spunti sul concetto di soggettività. Molto interessante anche la riflessione conclusiva in cui l’autrice, parafrasando Arendt, richiama la «ba- nalità della violenza» (Redzepi) a simboleggiarne la quotidianità, la prossimità nelle vite delle donne. Per esplicare questa ‘normali- tà’, nella seconda parte del contributo è stato utilizzato l’espediente narrativo con l’intento di tradurre le riflessioni precedenti portan- dole in vissuti più o meno paradigmatici.

A conclusione di questa sezione ci sono i contributi di Giulia Bonanno e Anna Maurizi che, pur differenti nei contenuti, aprono entrambi finestre verso ambiti di studio poco esplorati dalla socio- logia accademica. Il merito delle riflessioni delle due autrici lo si ritrova nella capacità di dare voce a forme di violenza difficili da nominare e da riconoscere come tali e cioè quelle che avvengono nel contesto dei movimenti sociali e quelle che prendono forme subdole, manifestandosi come disturbi alimentari.

Bonanno pone l’accento su come il tema della violenza di ge- nere attraversi anche ambiti considerati più sensibili, volti alla co- struzione di alternative in ambito politico e sociale quali quelli dei movimenti autorganizzati. Attraverso l’analisi di alcuni documenti prodotti dalle stesse attiviste e attivisti, Bonanno mostra come non vi siano ambiti immuni dalla violenza di genere, dando ulteriore conferma della pervasività del fenomeno, del suo carattere struttu- rale, ma anche permettendo di riconoscere come spesso la violen- za sia un fenomeno diffusamente introiettato.

Nel contributo conclusivo Maurizi porta l’attenzione sui distur- bi alimentari concentrando l’attenzione sulla violenza imposta da norme, pratiche e immagini corporee stereotipate a cui una società eteronormativa e neoliberista richiede di aderire. Attraverso il suo contributo, l’autrice fa emergere come le forme di organizzazione sociale influiscano sulla diffusione di comportamenti alimentari in conflitto con un buono stato di salute proprio a causa dell’entrata in gioco di ulteriori elementi quali la pressione sociale direzionata verso un determinato tipo di forma fisica, di prestanza, di corporeità con tutto ciò che ne consegue per chi fuoriesce da questa ‘norma’.

Scorrendo i contributi della sezione emerge la molteplicità di tematiche affrontate e si intravedono tracce di continuità, di dia- logo a distanza tra le autrici, e questo permette una riflessione che travalica sia gli ambiti disciplinari sia le tematiche specifiche. Affiancare questi lavori e porli in relazione ha consentito di dare profondità e spessore alle riflessioni sulla violenza di genere, di osservarla da punti di vista non scontati che aprono interrogativi teorici, ma richiedono specifiche attenzioni anche nella declina- zione operativa degli interventi di contrasto, nella progettazione e attuazione dei servizi. ‘Cos’è percepito come violento? Come cam-

bia la violenza nei diversi contesti?’ sono solo un paio di esempi di interrogativi che non possono essere elusi se si intende agire in profondità, al cuore del problema. Alla radice di ciascun contri- buto ci sono i corpi incarnati, più o meno conformi, femminili ma non solo, che sostanziano i contributi artistici, le esperienze delle donne migranti e native, che danno materialità all’esperienza del- la violenza di genere. Fondamentale in questo senso è l’assunzione di una lettura intersezionale del fenomeno, che riconoscendo la violenza come elemento strutturale, mantiene sempre nello sguar- do la necessità di analizzarla a partire da una compenetrazione delle diverse forme di potere e di oppressione che convivono nei vissuti di ciascuna e ciascuno. Se dunque alcune autrici sofferma- no lo sguardo sugli effetti della violenza introiettata, altre ne sot- tolineano il carattere mutevole ed in trasformazione continua che porta con sé la possibilità di veder emergere la violenza di genere in molteplici frangenti e con caratteristiche differenti (dalla vio- lenza sessuale a quella psicologica, dalla violenza istituzionale a quella simbolica).

Vi è inoltre un ulteriore elemento che diverse autrici sollevano nei loro contributi, quello della ‘vulnerabilità’. Siamo socialmente portate a pensare a questo come un elemento da nascondere, da te- nere sottotraccia per limitare al massimo l’esposizione nostra e dei nostri corpi, preoccupate dai rischi di colpevolizzazione. Ciò che le ricerche di diverse autrici mostrano però, è che il riconoscimento della vulnerabilità non debba essere assunto di per sé come un elemento di vittimizzazione, quanto piuttosto possa diventare un fattore da riconoscere ed utilizzare nella costruzione di relazioni differenti, rispettose e sicure.

In conclusione, i punti in comune tra questi contributi sono molteplici ed un ruolo fondamentale di collegamento è quello as- sunto dalla narrazione e dalla potenza di quel ‘partire da sé’ che ha accompagnato ciascuna autrice, in linea con lo sguardo situato da cui l’analisi della violenza di genere non può prescindere.

IL TEMPO DEL RISCATTO