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La violenza di genere lungo la rotta del Mediterraneo occidentale

INTERSEZIONALE SULL’ESPERIENZA DELLE DONNE MIGRANTI NEI PAESI DI TRANSITO

1. Genere e migrazioni: la violenza contro le donne nei paesi di transito

1.2 La violenza di genere lungo la rotta del Mediterraneo occidentale

Negli ultimi anni la rotta del Mediterraneo occidentale, che si snoda lungo il tratto di mare che collega il Marocco alla Spagna, ha acquisito un’importanza crescente: nel 2018 è stata la più im- portante fra le rotte verso l’Europa in termini numerici (Frontex, n.d.-a). Dal nord del Marocco, i migranti e le migranti possono rag- giungere il territorio UE in due modi: tentando di arrivare pres- so le coste spagnole via mare, con imbarcazioni gestite da reti di smugglers, o riuscendo a penetrare all’interno di Ceuta e Melilla, le due enclave spagnole in territorio marocchino (Tyszler, 2019).

Il Marocco, storicamente un paese di emigrazione, si è perciò trasformato anche in paese di transito e, negli ultimi anni, addirit- tura di destinazione, soprattutto per migranti provenienti dai pae- si dell’Africa subsahariana (El Ghazouani, 2019). Attualmente alcu- ne statistiche riportano che sarebbero circa 700.000 i migranti che risiedono irregolarmente nel paese (El Ghazouani, 2019), mentre l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati documenta

la presenza di 8.994 fra rifugiati e richiedenti asilo, di cui il 57% è di origine siriana (UNHCR, 2019). Secondo l’Organizzazione Inter- nazionale per le Migrazioni, la componente femminile rappresenta circa metà della popolazione migrante (IOM – UN Migration, 2015).

Le donne migranti provenienti dai paesi dell’Africa subsaharia- na arrivano in Marocco in aereo o attraverso un percorso migra- torio che prevede la percorrenza di vie terrestri molto pericolose (Maleno Garzón, 2018). Negli ultimi decenni la ricerca sulla condi- zione di queste donne è stata prima scarsa e in seguito influenzata da narrazioni vittimizzanti (Maleno Garzón, 2018). Recentemente però alcuni studi hanno fatto luce su vari aspetti dei loro percorsi migratori, integrando la categoria del genere all’interno dell’anali- si ed evidenziando l’agency delle donne migranti (Maleno Garzón, 2018; Tyszler, 2019).

Sulla base delle testimonianze raccolte in questi studi, emerge che le violenze di genere costellano tutto il tragitto lungo i paesi di transito e il periodo di immobilità forzata in Marocco. Le donne che arrivano via terra si confrontano con numerose forme di vio- lenza già durante il viaggio: violenza sessuale, aggressioni fisiche e abusi psicologici, ma anche furti e rapimenti. I perpetratori di tali violenze sono una gamma di attori diversi che include i traffican- ti, le popolazioni dei paesi di transito, i compagni di viaggio e gli agenti delle polizie di frontiera (Maleno Garzón, 2018). Le donne sembrano considerare le violenze sessuali con cui si confrontano come parte del prezzo da pagare per realizzare il proprio progetto migratorio (Maleno Garzón, 2018). Ciò non è solo valido in rela- zione a questa rotta, ma sembra un trend di portata globale: Kho- shravi (2010), per esempio, identifica lo stupro come un fenomeno ricorrente e consolidato contro le migranti e, in misura minore, i migranti, per mano di banditi e di guardie frontaliere. In tale con- testo, esso si configura come un pedaggio, una moneta di scambio per acquisire un diritto di accesso.

Tuttavia, anche una volta che le donne arrivano in Marocco, e durante la loro permanenza nel paese, continuano ad essere espo- ste a molti tipi di violenza come, per esempio, stupri e aggressioni, ma anche insulti e umiliazioni quando transitano in luoghi pubblici, sfruttamento nel settore della prostituzione e in quello domestico, razzismo e discriminazione (Maleno Garzón, 2018). Una parte del- le migranti una volta arrivata in Marocco si stanzia nei boschi in prossimità di Nador, che sono accampamenti informali dove vivono i migranti subsahariani in attesa di tentare l’attraversamento dei confini (Maleno Garzón, 2018). Altre invece vivono all’interno delle città, dove alcune svolgono attività lavorative nei settori domestico o della prostituzione, o vivendo di accattonaggio. Le donne che vivono nei boschi si confrontano con la repressione delle autorità maroc- chine: durante i raid degli agenti, molte donne raccontano di essere state vittime di diversi tipi di violenza (stupri, aggressioni, insulti) non solo da parte delle forze di sicurezza, ma anche da gruppi di

criminali locali che approfittano delle retate per aggredire le donne in situazioni di estrema vulnerabilità (Maleno Garzón, 2018).

La vita nei campi informali è molto dura non solo per le conti- nue rappresaglie da parte della polizia, ma anche per come questi campi sono organizzati. Tyszler (2019) descrive l’organizzazione come patriarcale, in quanto l’autorità è nelle mani di un gruppo di uomini che impongono le regole e decidono la gerarchia all’in- terno di questi spazi. Anche se gli uomini considerano le donne troppo deboli per la vita nei campi, la loro presenza è comunque tollerata perché funzionale; infatti, sono loro stesse ad essere man- date a mendicare in città o a riportare il cibo, in quanto è meno probabile che vengano arrestate (Tyszler, 2019). Nelle foreste, al- cune donne ricorrono al lavoro sessuale per procurarsi le risor- se che permetteranno loro di proseguire il viaggio verso l’Europa. Altre intrecciano delle relazioni di tipo sessuale con altri migranti per ottenere protezione dagli uomini con cui condividono lo spazio o procurarsi le risorse che servono loro a sopravvivere durante la permanenza nel paese di transito. Infine, alcune sono vittime di ricatti sessuali da parte di coloro che gestiscono i campi informali e anche se hanno le risorse materiali per continuare il viaggio non posso procedere (Tyszler, 2019: 9).

Ogni donna sembra fare un percorso individuale, ma ad emer- gere come dato comune è il controllo esercitato dagli uomini sui tentativi femminili di attraversamento dei confini. Gli uomini che gestiscono i campi rappresentano solamente un anello di una cate- na di controllo più ampia che è interamente governata da uomini (Tyszler, 2019). Per esempio, nel momento dell’attraversamento, per le donne il proprio corpo diventa nuovamente terreno di nego- ziazione: mentre la partecipazione di donne incinte alla traversata via mare è incoraggiata perché si ritiene che faciliti l’efficienza e prontezza dei soccorsi da parte della Guardia Costiera spagnola (Kastner, 2010), alle donne che hanno il ciclo mestruale è impedito di salire sulle imbarcazioni (Tyszler, 2019: 10-11). Per evitare ciò, molte assumono anticoncezionali per ostacolare l’arrivo del ciclo il giorno dell’attraversamento. Inoltre, le donne che partoriscono in Marocco devono aspettare alcuni anni prima di poter tentare la traversata verso l’Europa in quanto i neonati non sono accettati a bordo delle imbarcazioni (Tyszler, 2019).

Da questa breve ricostruzione sembrano emergere essenzial- mente due elementi: in primo luogo, la militarizzazione del confine fra Spagna e Marocco, e la repressione contro i migranti subsaha- riani, sembrano aver confinano la popolazione in transito in spazi marginali e informali, e complessivamente rafforzato la situazione di vulnerabilità e insicurezza in cui si trovano a vivere le donne migranti; in secondo luogo, l’identità di genere sembra avere un impatto sostanziale su come l’esperienza della migrazione viene vissuta, su quali sono i problemi e le pratiche di negoziazione che le persone si trovano ad affrontare. Tuttavia, alcune domande ri-

mangono aperte. Per esempio, in che modo le violenze contro le donne migranti e rifugiate sono legate ai processi di razzializza- zione che coinvolgono la popolazione migrante? E come l’appar- tenenza a classi sociali distinte e la differente disponibilità in ter- mini di risorse materiali possono avere un impatto sulla sicurezza dei viaggi? Per tentare di rispondere a queste domande, possiamo trarre beneficio dal dibattito sul concetto di intersezionalità. 2. Intersezionalità, violenza e regime di controllo dei confini

Se si prende come punto di osservazione privilegiato la situa- zione delle migranti donne nel contesto delle rotte migratorie, ci accorgiamo che mettere a fuoco «gli effetti strutturali e dinami- ci delle interazioni fra differenti forme di discriminazione risulta cruciale» (La Barbera, 2012: 25). Per questo motivo, un’esplora- zione del tema della violenza di genere in tale cornice può essere rafforzata dal ricorso al concetto di intersezionalità, che richiede di tenere in considerazione le molteplici sfaccettature dell’identità nell’analisi dei fenomeni sociali (Crenshaw, 1991). La storia di que- sto concetto è legata a quella dei movimenti femministi e antiraz- zisti e, anche se il termine fu coniato da Kimberlé Williams Cren- shaw nella seconda metà del ‘900 (La Barbera, 2012), esso esisteva almeno in forma implicita già nel femminismo nero e nella lotta antischiavista del XIX secolo (Hearn, 2017). Per la sua capacità di fare luce sull’intersezione fra sessismo e razzismo, l’interseziona- lità può offrire una griglia interpretativa interessante delle tante forme di violenza contro le donne nei paesi di transito.

Per esempio, in una delle interviste raccolte da Maleno Garzón (2018: 48), una migrante subsahariana afferma: «Le donne migranti sono vittime di aggressioni. [Gli uomini in Marocco] Ci tirano le pie- tre, ci sputano addosso, i bambini piccoli per strada ci toccano il culo. Ma questo non lo fanno con le loro sorelle marocchine, né con le donne bianche, lo fanno solo con le nere». Questo breve frammento di intervista fa luce sull’intreccio fra pratiche sessiste e razziste nello spazio pubblico, senza dimenticare che la maggior parte delle mi- granti fa lavori considerati appannaggio delle classi meno abbienti, come mendicare per strada. Infatti, per Crenshaw (1991) la violenza perpetrata contro le donne è spesso influenzata da altre dimensioni delle loro identità, come – ma non solo – la razza e la classe sociale. Sulla stessa linea, secondo Bonfiglioli (2010: 64), «i corpi sono allo stesso tempo, razzializzati e genderizzati e […] la violenza di genere sussiste nelle intersezioni con altri assi consolidati del potere e pri- vilegio». Questo ha importanti implicazioni anche con riferimento alla sfera del policy-making, perché ne deriva che pianificare poli- tiche contro la discriminazione tenendo in considerazione solo una dimensione dell’identità delle vittime non ha senso e può addirittura produrre dinamiche di disempowerment (La Barbera, 2012).

violenza contro le donne migranti cogliendo per esempio gli effetti gerarchizzanti dei processi di razzializzazione a cui la popolazione migrante è sottoposta. Tali processi operano in maniera specifica a seconda del contesto che si analizza, e strutturano non solo i rap- porti fra popolazione locale e popolazione migrante, ma anche fra i diversi gruppi che formano la popolazione migrante, a volte con un impatto significativo sulle strategie migratorie. Per esempio, al confine tra Spagna e Marocco, anche se gran parte dell’attenzione è stata diretta verso la popolazione migrante subsahariana, vi sono anche migranti provenienti da altri paesi che tentano di raggiunge- re il territorio dell’Unione Europea: per esempio cittadini algerini, tunisini, palestinesi e gli stessi cittadini marocchini. Tuttavia, l’e- sperienza migratoria di questo gruppo sembra differire da quella dei migranti provenienti dai paesi subsahariani. Un esempio di ciò è costituito dai metodi di attraversamento dei confini: mentre i cit- tadini algerini e siriani possono tentare di attraversare i confini terrestri con Ceuta e Melilla utilizzando documenti falsi e mesco- landosi al flusso di lavoratori transfrontalieri o semplicemente vi- sitatori che quotidianamente entra nelle enclave spagnole, per i mi- granti subsahariani questo non è possibile (Tyszler, 2019). Inoltre, anche durante la permanenza in Marocco o in una delle enclave spagnole, i migranti provenienti dai paesi arabi possono muover- si all’interno dello spazio pubblico più agevolmente, per esempio subendo meno la repressione delle forze di polizia (Tyszler, 2019).

Anche l’agenda delle politiche migratorie europee tende a frammentare e gerarchizzare la popolazione migrante in sotto- gruppi. Lungo la rotta balcanica, per esempio, vi sono gruppi a cui è riconosciuto un trattamento che potremmo definire prioritario sulla base del fatto che la loro cittadinanza o nazionalità sono con- siderate più vulnerabili e quindi più conformi ai criteri dell’istituto del rifugio politico. Ne consegue, per esempio, che i cittadini siria- ni, iracheni e afghani abbiano maggiori probabilità di avere acces- so ai sistemi di protezione, rispetto a cittadini di altre nazionalità (Brunovskis e Surtees, 2019). Queste dinamiche di gerarchizzazio- ne sembrano presenti lungo tutte le rotte e possono avere conse- guenze importanti sulla condizione delle donne migranti in un de- terminato contesto. Per esempio, al confine fra Spagna e Marocco, potrebbe essere interessante esplorare in che misura la situazione delle donne migranti provenienti dai paesi dell’Africa subsaharia- na differisce dall’esperienza delle migranti e rifugiate provenienti da paesi come Siria o Algeria, non solo in riferimento ai metodi di attraversamento, ma anche in relazione alle forme di violenze di genere affrontate, e più in generale all’esperienza del muoversi all’interno dello spazio pubblico nei paesi di transito. A questo pro- posito, il concetto di intersezionalità può aiutare a inquadrare la questione della violenza di genere, spingendo a riflettere su come molteplici aspetti dell’identità si intersecano durante l’esperienza migratoria e a mettere a fuoco la specifica situazione di un gruppo

di donne particolarmente vulnerabile.

L’attenzione alle dinamiche di gerarchizzazione e vittimizza- zione differenziale all’interno della popolazione migrante non può però offuscare le macro-dinamiche di vulnerabilizzazione a cui tutta questa popolazione è sottoposta nei paesi di transito, anche se, come abbiamo visto, in maniera non omogenea. A questo pro- posito, le statistiche sulle migrazioni ci ricordano quanto l’attuale regime di controllo dei confini sia violento: le numerose morti e sparizioni avvenute negli ultimi anni ne sono solo la manifesta- zione più estrema. Jones (2016: 65) parla di «violenza strutturale del regime globale dei confini», che attraverso la chiusura delle frontiere a certe soggettività, piuttosto che ad altre, costringe alcu- ni gruppi all’immobilità, o a viaggiare percorrendo rotte estrema- mente pericolose. In tale contesto la scelta di ricorrere a trafficanti o contrabbandieri, le negoziazioni a cui le donne sono costrette du- rante i periodi di immobilità forzata all’interno dei campi informa- li, le violenze e umiliazioni affrontate durante i respingimenti ope- rati dalle polizie di frontiera e il malessere e lo stress causati dal condividere spazi percepiti come insicuri sono tutte situazioni di rischio e sofferenza direttamente collegate agli effetti di politiche – e necropolitiche - migratorie dirette ad una popolazione (migran- te) costruita in termini di ostilità e non-umanità (Mbembe, 2003) e destinataria non solo di iniziative di contenimento, deportazione, espulsione ma anche politiche di abbandono e inazione (Davies et al., 2017). Le politiche di irrigidimento ed esternalizzazione, e la criminalizzazione dei flussi migratori, hanno perciò rafforzato il controllo dei corpi delle donne migranti da parte di certi gruppi di uomini (Tyszler, 2019), ne hanno accresciuto la vulnerabilità, e hanno contribuito ad esporle a spazi marginali e percepiti come insicuri per periodi di tempo anche prolungati.

Ma la messa a fuoco di tali dinamiche di vittimizzazione non equivale allo sposare una visione vittimizzante e svilente dell’a- gency femminile nei contesti migratori. Infatti, nonostante sia in- negabile che lungo le rotte si registrino molti tipi di violenze con- tro le donne, va anche tenuto in considerazione che, nonostante le evidenti difficoltà, le donne rimangono comunque protagoniste dei fenomeni migratori, lungo rotte diverse, e per alcuni paesi il loro protagonismo è radicato in percorsi migratori anche molto consolidati nel tempo (Kastner, 2010). I loro progetti continuano ad operare nonostante politiche migratorie restrittive e la milita- rizzazione dei confini e, come nota Tyszler (2019), in un rapporto di continua resistenza rispetto ad essi. Le micro-strategie di resi- stenza e resilienza che le donne adottano per fronteggiare le varie situazioni di violenza e pericolo con cui devono confrontarsi sono numerose e variano a seconda del contesto. E infine questi viaggi, come evidenzia Mezzadra (2006), anche quando sono delle vere e proprie fughe da violenze di vario genere nei paesi d’origine, rap- presentano anche un’espressione di soggettività e di desiderio.