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INTERSEZIONALE SULL’ESPERIENZA DELLE DONNE MIGRANTI NEI PAESI DI TRANSITO

1. Genere e migrazioni: la violenza contro le donne nei paesi di transito

1.1 La violenza di genere lungo la rotta balcanica

Nel 2015 la rotta balcanica occidentale ha svolto un ruolo chia- ve nell’ambito della cosiddetta crisi dei rifugiati con la creazione di un corridoio che permise a circa un milione di persone di rag- giungere i paesi dell’Europa occidentale. Ma la firma dell’accordo fra Unione Europea e Turchia nel 2016 ha decretato la chiusura di questa rotta e migliaia di persone sono rimaste bloccate in paesi di transito come Serbia e Bosnia ed Erzegovina. Inoltre, la progressi- va costruzione di barriere fisiche (ad esempio al confine unghere- se e a quello sloveno) ha costretto migranti e rifugiati a ricorrere a figure come gli smugglers2 e a percorrere vie sempre più pericolo-

2 Lo smuggling, o traffico di migranti, suole distinguersi dal fenomeno del tra icking, cioè della trat- ta delle persone. Quando si parla di smuggling infatti si indica una sorta di transazione commerciale in

se (Arsenijević et al. 2017; Santer e Wriedt, 2017).

Dopo il numero record di arrivi registrati nel 2015, attualmente l’importanza di questa rotta in termini numerici si è notevolmente ridotta (Frontex, n.d.-b). Ciononostante, la rotta balcanica ha con- tinuato a ricevere una certa copertura da parte dei media e delle organizzazioni non governative, soprattutto in relazione a diver- se forme di abusi e violenze perpetrate alle frontiere (InfoKolpa, 2018; No Name Kitchen et al., 2019; Oxfam, 2017). Ma se i confi- ni della rotta balcanica sono diventati sempre più violenti, ciò ha avuto un impatto specifico sulle donne in transito che è rimasto spesso poco esplorato (Freedman, 2016).

Le forme di violenza di genere documentate sono molteplici e vengono perpetrate da una serie di attori diversi. Tra quelle più diffuse, Freedman (2016) indica gli stupri, le aggressioni fisiche, le molestie sessuali, oltre alla violenza domestica e al sesso transa- zionale. La gamma di attori che le compie è variegata e include: i familiari delle migranti (quali mariti o fratelli); uomini coinvol- ti nell’esperienza migratoria con cui le migranti condividono una parte del tragitto; gli agenti delle forze di polizia; i contrabbandieri e i trafficanti che facilitano l’attraversamento delle frontiere (Fre- edman, 2016). Un altro aspetto molto grave che emerge da queste ricerche è la difficoltà per le donne sopravvissute a tali violenze di denunciare i propri aggressori: questo avviene per una serie di ragioni, come la volatilità dei contesti in cui si trovano e la priorità accordata al viaggio, la presenza di eventuali barriere linguistiche e sentimenti di vergogna, paura e stigma connessi alla violenza su- bita (Freedman, 2016).

Quando i perpetratori sono attori istituzionali, come per esem- pio agenti della polizia di frontiera, denunciare o riportare le violenze subite comporta delle difficoltà non trascurabili. Questo aspetto è particolarmente importante se si considera che il lavoro di molte organizzazioni lungo la rotta balcanica documenta come uomini, donne e minori vengano respinti (pushed-back) ai confini dagli agenti della polizia, spesso con l’impiego di pratiche violen- te. In particolare, secondo un rapporto di alcune organizzazioni di volontari (No Name Kitchen et al., 2018), le donne sono sia testimo- ni di tali atti, sia li subiscono direttamente: alcune, per esempio, vengono fatte spogliare durante le perquisizioni, e sono vittime di molestie davanti alle proprie famiglie. Queste violenze hanno un impatto psicologico molto rilevante e avvengono in contesti già estremamente precari e carichi di tensione.

La dimensione psicologica della violenza di genere è evidente anche in relazione a come le persone vivono alcuni spazi (Freed- man, 2016). All’interno delle infrastrutture dell’accoglienza – cam- pi governativi, hotel o accampamenti informali – vi sono aree

cui, a fini di lucro, uno smuggler facilita l’entrata non autorizzata di una persona all’interno del territorio di un paese. Ciò avviene con il consenso della persona il cui ingresso viene facilitato.

che spesso le donne percepiscono come insicure con un impatto significativo sulla loro vita quotidiana. Per Freedman (2016), la convivenza prolungata e la condivisione di alcuni spazi con uo- mini sconosciuti, vengono in generale percepite come una minac- cia e accrescono la percezione di insicurezza, soprattutto durante gli orari notturni, limitando per esempio i movimenti delle don- ne all’interno di tali strutture. In maniera simile, un rapporto di Amnesty International (2019) documenta come le migranti donne ferme in Bosnia ed Erzegovina accedano con difficoltà all’utilizzo di servizi come docce e bagni all’interno dei campi, perché anche laddove vi siano servizi igienici riservati alle famiglie, gli uomini che viaggiano soli se ne appropriano. Specialmente di notte, alcuni gruppi controllano tali aree dei campi e ne ostacolano l’utilizzo da parte di altre persone. La continua e prolungata esposizione a un ambiente percepito come ostile può provocare sensazioni di disa- gio, stress e malessere e persino impedire l’accesso ad alcuni servi- zi fondamentali. Si configura perciò come una ulteriore situazione di violenza con cui le donne migranti si trovano a confrontarsi.

Attraverso studi e report con un focus sulla violenza di genere, in questa sezione sono stati ricostruiti alcuni tipi di violenza fisica e psicologica che possono arrecare danno e sofferenza alle donne in transito. Tuttavia, la rotta balcanica non costituisce un’eccezio- ne in questo senso, pur sicuramente presentando alcune specifici- tà. Nella prossima sezione, l’attenzione verrà rivolta a un’altra rot- ta percorsa dalle e dai migranti in cammino verso l’Europa, quella del Mediterraneo occidentale. Anche in questo caso, le violenze di genere documentate sono molteplici e alcuni studi aiutano a far luce sulla peculiarità di tale contesto migratorio.

1.2 La violenza di genere lungo la rotta del Mediterraneo