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PARLA CON NOI: UN CENTRO ANTIVIOLENZA DI DONNE PER LE DONNE

1. Un Centro antiviolenza nato dal femminismo

I Centri antiviolenza in Italia sono nati con oltre dieci anni di ritardo rispetto al nord Europa, infatti i primi centri risalgono ai primi anni Novanta. Oltre a essere servizi per le donne che hanno subìto violenza hanno voluto essere luoghi di partecipazione politica, di trasformazione culturale e sociale, di cambiamento del ruolo delle donne nella società. Il centro antiviolenza, forte della sua base di conoscenza del fenomeno e del legame con il movimento delle donne e del femminismo, ha voluto essere autonomo nella gestione e nella progettualità, ma inserito in una rete territoriale che potesse prendersi carico del problema della violenza maschile contro le donne.

Quando abbiamo fondato la nostra associazione a Bologna, Casa delle donne per non subire violenza9, oramai 30 anni fa, il tema della violenza domestica non era una questione dibattuta. Si parlava di stupro e di violenza sessuale10, ma il maltrattamento non doveva essere neppure nominato in quanto significava mettere in discussione il concetto di famiglia.

Il silenzio delle donne e il tabù della violenza in famiglia sono stati infranti con la nascita dei centri antiviolenza. Il femminismo, dal quale i primi centri antiviolenza sono nati, voleva la libertà e l’autodeterminazione delle donne, la parola delle donne, i diritti delle donne. Questi erano i principi che ci hanno guidato fin dall’inizio. A Bologna abbiamo aperto nel 1989 il centro antiviolenza insieme alla casa rifugio, primo in Italia con questa configurazione. A tale apertura era legato un importante finanziamento del Comune di Bologna erogato attraverso una convenzione, generosa e complessa, una delle prime in Italia che riconoscesse il lavoro svolto dalle donne fondatrici del progetto. Tale finanziamento poteva assicurare continuità e qualificare l’intervento a livello cittadino e provinciale.

Come a Bologna, molti centri antiviolenza sono stati fondati da donne che personalmente avevano vissuto la violenza domestica e volevano trovare soluzioni e strade per aiutare altre donne, le ‘nostre simili’: esisteva il concetto di sorellanza poi trasformato nella pratica dell’accoglienza. «Prendere in mano la propria storia e il proprio destino», questa è la politica dal ‘basso’ che consideravamo vincente per aiutare le donne. Ed è importante questo perché la metodologia adottata e la nostra pratica si fondava sul principio che tutte le azioni vengono intraprese solo con il consenso della donna coinvolta in prima persona.

La nostra pratica parte dallo stare con le donne e capirle, racco- gliere le loro storie senza dare alcun giudizio, garantire loro credi-

9 www.casadonne.it.

10 Vedi il famoso Processo per stupro del 1979, trasmesso in televisione e che vedeva come avvocata difensora della vittima Tina Lagostena Bassi.

bilità, possibilità di uscire dal silenzio. Anche per questo riteniamo che solo le donne possono lavorare in un centro antiviolenza come operatrici, volontarie, attiviste.

Questa nostra idea, condivisa già decenni fa nei paesi europei e non solo, ha avuto successo: molti centri dicono che non c’è biso- gno di cercare le donne, poiché esse arrivano da sole, appena apri un centro.

La lettura della violenza maschile contro le donne non è neutra, ma si basa sulla lettura della struttura di potere che esiste in questa società. Le donne che vengono accolte per noi non sono vittime e basta, ma sono donne in temporanea difficoltà, che con l’aiuto di altre donne possono uscire dalla violenza e prendere in mano la loro vita.

I centri antiviolenza, fondati dalle associazioni di donne, riten- gono che lo Stato deve garantire aiuto e combattere la violenza, ma attraverso il principio di sussidiarietà: non vorremmo, che lo Stato con i suoi servizi si occupasse direttamente dell’accoglienza delle donne perché non sarebbe più garantita la relazione diretta con le donne, base del nostro lavoro.

Le nostre pratiche sono vincenti perché nei centri esiste per le donne un accesso diretto, l’anonimato, la conoscenza approfondita del fenomeno e delle sue dinamiche, la gratuità, la competenza ed esperienza delle operatrici e volontarie. Ogni donna deve essere creduta, presa sul serio. Non si danno giudizi sulla sua storia, sulle sue difficoltà, non viene segnalata per il suo comportamento cer- te volte ambiguo, né si giudica se il suo silenzio è durato troppo. Insieme alla donna si pensa alla sicurezza, alla incolumità sua e a quella dei/lle figli/e, come proteggersi e proteggere loro. Prima di tutto la donna deve sentirsi al sicuro e sottrarsi alla violenza e alle intimidazioni, poi potrà con serenità affrontare il suo percorso. La violenza non viene minimizzata ma la sua storia, il suo vissuto è importante anche se non ci sono segni visibili. Viene costruita una relazione con la donna in cui l’operatrice e volontaria rimane un passo indietro, non fa delle scelte per la donna, è alleata ma non si sostituisce a lei. L’operatrice è di parte: la responsabilità è di chi ha agito violenza e non della donna. Per questo è essenziale che nei centri vi siano solo operatrici donne, come parte della metodologia di accoglienza e della pratica dei centri.

Qualunque intervento di sostegno venga operato verso una donna - dal fornire informazioni all’offrire ascolto, dall’accoglienza all’ospitalità, alla valutazione del rischio, al supporto alla relazione madre-figli, alla ricerca del lavoro, alla denuncia, alla consulenza legale - è prima concordato dall’operatrice con la donna stessa, nel rispetto delle sue scelte. Si mette così in pratica quanto è emerso dai movimenti delle donne e si crea una vera relazione di aiuto tra donne, che diventa cruciale nei percorsi da attuare. In sintesi, ecco cosa offre la Casa delle donne per non subire violenza:

— colloqui di accoglienza, con la valutazione del rischio; — reperibilità h24 per l’emergenza;

— gruppi di autoaiuto e di sostegno; — informazione e consulenza legale;

— consulenza psicologica per situazioni gravi e sostegno alla rela- zione madre-figli;

— sportello lavoro; — ricerca abitazione;

— aiuto alle donne migranti (mediatrici culturali, etc.); — accompagnamenti sociali;

— ospitalità di emergenza, in casa rifugio e di secondo livello; — intervento per minori ospiti nelle case rifugio e vittime di vio-

lenza assistita;

— progetto per donne in uscita dalla tratta e della prostituzione coatta.

L’ospitalità per un centro antiviolenza è uno strumento neces- sario in quanto le donne chiedono di allontanarsi da situazioni pericolose e non hanno altre risorse immediate per trovare una abitazione sicura.

Ospitalità nella Casa delle donne per non subire violenza Posti letto

3 Case rifugio (medio termine) 21

3 Case di emergenza (breve termine) 17

9 Case di transizione (per madri-figli) + 1 per la tratta (lungo termine) 18

Casa per l’uscita dalla tratta 10

Totale 66

Oltre ai servizi rivolti alle donne vi sono alcune attività di rete strutturate:

— collegamento con il 1522 (numero verde nazionale); — partecipazione alla rete territoriale;

— partecipazione alla rete cittadina per gli interventi nelle scuole; — formazione di figure professionali, altri centri etc.;

— attività internazionali e di ricerca;

— attività di promozione e sensibilizzazione.

Nel nostro centro attualmente lavorano 18 operatrici pagate e assunte con contratto regolare e 30 volontarie, tra cui annualmen- te 7-8 giovani donne del servizio civile. La figura principale è l’ope- ratrice di accoglienza, formata sulla violenza contro le donne. La relazione che viene instaurata è la chiave di volta di ogni cambia- mento e il percorso di uscita dalla violenza ed ogni azione vengono intrapresi valutando i punti di forza della donna. Le volontarie e

attiviste aderiscono al progetto prestando il proprio contribuito gratuitamente in tutti gli ambiti di intervento dell’associazione11.