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Aspetti Fisiopatologici dell’Ictus nella Patologia Aterosclerotica dei Vasi CerebroAfferent

L’ictus ischemico rappresenta l’80% di tutti gli ictus. La causa più frequente è l’ischemia cerebrale legata alla occlusione di una arteria per formazione di trombi su preesistenti lesioni aterosclerotiche; molti studi sono stati effettuati nella ricerca identificativa di modelli di “placca a rischio” e di correlazione tra lesioni vascolari e situazioni cliniche. Raggiunta una quasi certezza sul piano anatomopatologico, la patogenesi può essere spesso ricondotta a quella dell’infarto miocardico acuto (IMA) e dell’angina

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malformazioni arterovenose, uso di droghe, contraccettivi orali. In 1/3 dei casi non è possibile identificare una causa.

Il fumo ed il consumo di alcool e l’iperomocisteinemia hanno un ruolo importante come FDR ed allo stesso modo i difetti delle proteine C ed S (inibitori fisiologici della coagulazione). Un ruolo rilevante del polimorfismo della protrombina G20210A e del fattore V di Leiden è dimostrato nelle trombosi venose cerebrali in donne che assumono la pillola. Da tutto ciò si desume la presenza di un numero tutt’altro che trascurabile di forme idiopatiche (di cui non si è individuata la causa).

Ictus nell’anziano

Il rischio cresce in maniera sostanziale con l’aumentare dell’età come confermato dallo studio di Framingham. Basse concentrazioni di vit B12 e

di folati sono correlate con un maggior rischio di ictus, che nel caso dei folati può essere correlato ad elevati livelli di omocisteina plasmatica. La resistenza alla proteina C attivata è un fattore predittivo di attacco ischemico transitorio (TIA).

In pazienti anziani senza eventi ischemici cerebrali nell’anamnesi, la probabilità di ictus aumenta parallelamente al peggioramento della funzione cognitiva, che è indipedente da altri FDR ed associato a depressione; il deterioramento cognitivo sembra rappresentare anche un fattore predittivo sfavorevole di morte per ischemia cerebrale. La fibrillazione atriale è da considerarsi un importante FDR per ictus ischemico (embolia).

Ictus PostOperatorio

Un intervento di chirurgia generale è seguito da ictus in una certa percentuale (0,082,9%) dei casi. Il rischio aumenta in presenza di storia di malattia cerebrovascolare, BPCO (broncopatatia cronica ostruttiva) e AOCP (arteriopatia ostruttiva cronica periferica).

Ulteriori studi sono necessari per chiarire: 1. Le categorie di soggetti a maggior rischio 2. Le procedure chirurgiche a maggior rischio 3. Le strategie profilattiche più adeguate.

Aspetti Fisiopatologici dell’Ictus nella Patologia

Aterosclerotica dei Vasi CerebroAfferenti

L’ictus ischemico rappresenta l’80% di tutti gli ictus. La causa più frequente è l’ischemia cerebrale legata alla occlusione di una arteria per formazione di trombi su preesistenti lesioni aterosclerotiche; molti studi sono stati effettuati nella ricerca identificativa di modelli di “placca a rischio” e di correlazione tra lesioni vascolari e situazioni cliniche. Raggiunta una quasi certezza sul piano anatomopatologico, la patogenesi può essere spesso ricondotta a quella dell’infarto miocardico acuto (IMA) e dell’angina

instabile: placca ateromasica complicata, a disposizione eccentrica, ricca di core ateromasico, con cappuccio sottile, ulcerazione e trombosi.

Negli ultimi 10 anni tuttavia gli elementi sopra descritti sono venuti a mancare. Tutto quello che conferiva alla placca il suo carattere di minacciosità è risultato essere possibile in una certa percentuale di casi ma non obbligatorio, ed identiche condizioni cliniche sono risultate essere sostenute da substrati di placca diversi. Allo stesso modo, identiche caratteristiche di placca sono risultate essere presenti in sindromi ischemiche diverse e persino in assenza di ischemia. Si è quindi aperto il grande capitolo della attivazione protrombotica e della flogosi. Questo in seguito al ritrovamento, nei pazienti con sindromi ischemiche acute, di markers di attivazione immunologica (e quindi procoagulante) e nella placca una situazione di flogosi. Oggi non vi è dubbio che la flogosi sia determinante nell’evoluzione della placca (placca biologicamente inattiva o meno attiva ed attiva). E’ altresì impensabile che la placca possa generare l’incremento degli indici di flogosi sistemica.

Numerose sono le segnalazioni di associazione e identificazione di genomi, o di parte di essi, di agenti infettivi quali Enterovirus, Citomegalovirus (HCMV), Herpes virus (HSV), Chlamydia pneumoniae (CP), virus dell’epatite C (HCV), Helicobacter pylori (HP). In particolare anticorpi (atc) anti CP sono significativamente associati all’insorgenza di TIA ed ictus. Gli agenti infettivi possono scatenare la flogosi nella placca oppure possono modulare: a) la trasformazione fenotipica delle cellule muscolari lisce; b) l’attivazione immunologcia delle stesse. Stabilita la presenza di agenti infettivi è necessario identificare i mezzi per capire il meccanismo da essi svolto nella progressione della malattia aterosclerotica ed è opportuno dare la priorità alla CP, essendo stata identificata in cellule monocitomacrofagiche.

Vari studi hanno dimostrato un’alta prevalenza di atc antifosfolipidi in pazienti con ictus ischemico e numerose ricerche associano leucociti e mediatori dell’infiammazione all’ ictus ischemico. I primi svolgono un ruolo determinante nel fenomeno del “noreflow” (mancata ripresa dello scorrimento a livello capillare) e il loro grado di accumulo è direttamente proporzionale all’estensione dell’infarto cerebrale.

Più rare (nell’adulto e nell’anziano) sono le forme secondarie ad emorragia, più frequenti negli ipertesi.

Prevenzione

La prevenzione si basa innanzitutto sul controllo dei fattori di rischio (FDR) modificabili, rappresentati da: ipertensione, fumo, diabete mellito

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ed iperlipemia. Per quanto riguarda l’ipertensione (i cui aspetti sono approfonditi nel capitolo dell’apparato cardiovascolare), dato il ruolo determinante come causa di ictus, l’esercizio fisico svolge un ruolo importante nella prevenzione primaria. Inoltre e’ necessario controllare la correlazione tra presenza di aterosclerosi cerebrale e coronarica e le loro espressioni cliniche (attacchi ischemici transitori, angina pectoris). Tutto ciò è particolarmente importante quando esiste una tendenza familiare, specie prima dei 45 anni, ai fenomeni ischemici. Anche la fibrillazione atriale non valvolare deve essere opportunamente considerata. Si devono tenere in considerazione la malattia vascolare dei piccoli vasi, le anomalie della coagulazione e l’iperomocisteinemia, responsabile di aterosclerosi precoce e di aumento della trombogenesi. Le famiglie con storie di ictus precoce e di malattia cardiaca hanno comunemente FDR predisponenti che possono essere identificati e trattati; infatti, nonostante molte predisposizioni siano genetiche, l’ambiente ne determina il peso. Anche il tipo di ictus deve essere diagnosticato con certezza per approntare le opportune misure terapeutiche attraverso TAC (tomografia assiale computerizzata) o RNM (risonanza magnetica nucleare). L’Ictus aterotrombotico legato a patologia delle grandi arterie, quello cardioembolico e quello lacunare sono le tre varietà comuni di ictus ischemico, difficilmente distinguibili clinicamente. Nelle patologie embolizzanti come nella FA cronica il doppler transcranico permette di identificare il passaggio di emboli asintomatici registrando segnali specifici; il colordoppler studia i tronchi sovraaortici con una certa precisione; l’angio RNM ci dà informazioni anche sul distretto vascolare intracranico e su eventuali circoli collaterali; l’ecografia transesofagea ci ha dimostrato come il 14% degli eventi ischemici cerebrali derivino da ateromi dell’arco aortico. Premesso che anche il calibro vascolare può essere considerato un FDR per l’aterosclerosi come descritto da Macchi e collaboratori e quindi per l’insorgenza di ictus, si è sempre attribuito un ruolo determinante, più in passato rispetto al presente, alla patologia carotidea, per la quale è necessario fare una serie di considerazioni. In primo luogo una gran parte di ictus ischemici secondari ad infarto cerebrale sono indipendenti dalla patologia ateromasica della carotide extracranica (sia per occlusione che per embolizzazione da essa determinate). Il concetto di placca a rischio è sempre più evanescente, tranne che per quelle lesioni che presentano sicura componente flogistica, denominate “attive” e che giustificano repentine evoluzioni con tendenza alle occlusioni. Gli studi NASCET (North American Symptomatic Carotid Endarterectomy Trial) ed ECST (European Carotid Surgery Trial) sono concordi nell’attribuire minor rischio di ictus nei pazienti con stenosi carotidea sintomatica sottoposti a TEA (tromboendoarteriectomia) e che il

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ed iperlipemia. Per quanto riguarda l’ipertensione (i cui aspetti sono approfonditi nel capitolo dell’apparato cardiovascolare), dato il ruolo determinante come causa di ictus, l’esercizio fisico svolge un ruolo importante nella prevenzione primaria. Inoltre e’ necessario controllare la correlazione tra presenza di aterosclerosi cerebrale e coronarica e le loro espressioni cliniche (attacchi ischemici transitori, angina pectoris). Tutto ciò è particolarmente importante quando esiste una tendenza familiare, specie prima dei 45 anni, ai fenomeni ischemici. Anche la fibrillazione atriale non valvolare deve essere opportunamente considerata. Si devono tenere in considerazione la malattia vascolare dei piccoli vasi, le anomalie della coagulazione e l’iperomocisteinemia, responsabile di aterosclerosi precoce e di aumento della trombogenesi. Le famiglie con storie di ictus precoce e di malattia cardiaca hanno comunemente FDR predisponenti che possono essere identificati e trattati; infatti, nonostante molte predisposizioni siano genetiche, l’ambiente ne determina il peso. Anche il tipo di ictus deve essere diagnosticato con certezza per approntare le opportune misure terapeutiche attraverso TAC (tomografia assiale computerizzata) o RNM (risonanza magnetica nucleare). L’Ictus aterotrombotico legato a patologia delle grandi arterie, quello cardioembolico e quello lacunare sono le tre varietà comuni di ictus ischemico, difficilmente distinguibili clinicamente. Nelle patologie embolizzanti come nella FA cronica il doppler transcranico permette di identificare il passaggio di emboli asintomatici registrando segnali specifici; il colordoppler studia i tronchi sovraaortici con una certa precisione; l’angio RNM ci dà informazioni anche sul distretto vascolare intracranico e su eventuali circoli collaterali; l’ecografia transesofagea ci ha dimostrato come il 14% degli eventi ischemici cerebrali derivino da ateromi dell’arco aortico. Premesso che anche il calibro vascolare può essere considerato un FDR per l’aterosclerosi come descritto da Macchi e collaboratori e quindi per l’insorgenza di ictus, si è sempre attribuito un ruolo determinante, più in passato rispetto al presente, alla patologia carotidea, per la quale è necessario fare una serie di considerazioni. In primo luogo una gran parte di ictus ischemici secondari ad infarto cerebrale sono indipendenti dalla patologia ateromasica della carotide extracranica (sia per occlusione che per embolizzazione da essa determinate). Il concetto di placca a rischio è sempre più evanescente, tranne che per quelle lesioni che presentano sicura componente flogistica, denominate “attive” e che giustificano repentine evoluzioni con tendenza alle occlusioni. Gli studi NASCET (North American Symptomatic Carotid Endarterectomy Trial) ed ECST (European Carotid Surgery Trial) sono concordi nell’attribuire minor rischio di ictus nei pazienti con stenosi carotidea sintomatica sottoposti a TEA (tromboendoarteriectomia) e che il

grado di stenosi è direttamente proporzionale al rischio di ictus. La probabilità di ictus è anche proporzionale al numero di FDR presenti e di gran lunga più frequente nei pazienti sintomatici. Per quanto riguarda la TEA in pazienti asintomatici numerosi studi non ne dimostrano l’efficacia.

Di fondamentale importanza nella prevenzione dell’ictus ischemico è l’impiego dell’ecocolordoppler che è in grado di determinare non solo la percentuale di stenosi ma anche il lume residuo del vaso. Infatti poiché il calibro della carotide interna (CI) varia enormemente nel suo primo centimetro (dove si rilevano le maggiori percentuali di stenosi) da circa 3 a 6 mm è chiaro che una stenosi del 70% in una carotide interna di 6 mm di diametro con un lume residuo ampio ha tutt’altra valenza di una pari stenosi in una carotide interna di 3 mm, in cui il lume residuo è talmente esiguo da produrre deficit emodinamico ed incremento patologico delle velocità ematiche. Lo studio del lume residuo è particolarmente utile per stabilire quando inviare il paziente al chirurgo per una eventuale TEA. In quest’ottica è importante avere informazioni sulla possibilità di circoli collaterali a livello intracranico, sia attraverso il poligono di Willis che attraverso le anastomosi tra la CI e la carotide esterna (CE) omolaterali. E’ importante ricordare come i poligoni del Willis sono “normali” cioè come normalmente descritti nei testi classici di anatomia in meno del 50% dei casi, fenomeno che spiega, assieme allo sviluppo dei circoli collaterali tra la CI e la CE attraverso l’arteria oftalmica, sintomatologia diversa (o assente) a fronte del medesimo tipo di occlusione. Importante è anche ricordare che una buona percentuale di soggetti normali presenta kinking (inginocchiamento) della CI anche se questa condizione porta raramente ad una patologia.

Infine l’importanza e la varietà dei circoli collaterali è dimostrata dalla possibilità che anche arterie di piccole dimensioni come le arterie tiroidee superiori possano essere insolitamente in grado di “riabitare” le arterie carotidi controlaterali in seguito ad occlusione della carotide comune. Per la prevenzione farmacologica è dimostrato che la somministrazione di aspirina si associa ad una riduzione del rischio relativo (RR) di ictus e di morte vascolare nei soggetti colpiti da TIA o da ictus di origine non cardiaca. Una metanalisi condotta in soggetti con fibrillazione atriale non valvolare ha dimostrato la riduzione del RR di ictus l’efficacia degli anticoagulanti orali rispetto a placebo (riduzione del 64%) ed all’aspirina (riduzione del 48%). Anche gli acidi grassi poliinsaturi della serie omega 3 si sono dimostrati efficaci nel ridurre lo spessore degli ateromi soft a livello carotideo e quindi possono essere considerati assai utili nella prevenzione dell’ictus.

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