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Il rischio attribuibile a ciascun fattore tende a diminuire con l’età ed i fattori di rischio sono uguali sia nell’adulto che nell’Anziano (Levy, 1990; Niccoli et al, 2012); il rischio assoluto di malattia è maggiore nell’anziano. Tra i fattori di rischio possiamo distinguere i fattori di rischio in modificabili e non modificabili.

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localizzazione e della loro importanza ed in alcuni casi sono alterati i meccanismi deputati alla percezione del dolore (es. a causa della neuropatia diabetica). La CI può rimanere silente per anni e rivelarsi in occasione di un ECG, ECG da sforzo, scintigrafia miocardia o ecocardiografia (semplice o ecostress; per ecostress si intende l’esecuzione di un ecocardiogramma dopo somministrazione di una sostanza che permette di evidenziare zone di miocardio con alterazioni della cinetica secondarie a cardiopatia ischemica).

L’ischemia silente è più frequente di quanto si potrebbe pensare e se è relativamente possibile slatentizzarla nel giovane e nell’adulto, nell’anziano è più difficile, soprattutto nel sesso femminile, sia per i falsi positivi (alterazioni aspecifiche all’ECG, uso di farmaci, alterazioni elettrolitiche) che per i falsi negativi (difficoltà ad eseguire prove da sforzo di adeguata intensità: in questi casi è preferibile ricorrere alla scintigrafia con dipiridamolo e/o all’ecostress). La percentuale di soggetti che presenta una prova da sforzo positiva (sottoslivellamento del tratto ST) aumenta progressivamente con l’età. Molto spesso nell’anziano l’ischemia cardiaca rimane silente per la ridotta attività fisica, oppure (cosa assai frequente) per errore diagnostico (il dolore ischemico è spesso riferito a problemi articolari o gastrici). Non infrequentemente l’ischemia si manifesta in questi soggetti come insufficienza cardiaca congestizia, edema polmonare, sindromi neurologiche.

Alcuni studi (Ev. Based Cardiology, 2000), evidenziano che la prevalenza della CI oltre i 65 anni interessa il 20 % circa dei soggetti di sesso maschile, il 12% di sesso femminile; se a questi aggiungessimo il numero delle ischemie silenti, avremmo una percentuale significativamente più alta; il numero dei decessi si attesta su 58% negli uomini e 26% nelle donne. La CI è responsabile di circa 1/3 di tutti i decessi negli uomini anziani e nelle donne oltre i 65 anni di età (nelle donne prima dei 65 anni l’incidenza di CI è 56 volte inferiore rispetto al sesso maschile).

Nei soggetti più giovani la morte cardiaca è legata prevalentemente ad arresto cardiaco o fibrillazione ventricolare; nei soggetti più anziani la morte improvvisa è meno frequente. Il 75% degli ultrasessantacinquenni sopravvive al primo IMA ma con l’età aumenta la probabilità di morte: circa il 18% muore nell’anno successivo rispetto al 12% dei pazienti fra i 65 e i 75 anni.

Fattori di Rischio

Il rischio attribuibile a ciascun fattore tende a diminuire con l’età ed i fattori di rischio sono uguali sia nell’adulto che nell’Anziano (Levy, 1990; Niccoli et al, 2012); il rischio assoluto di malattia è maggiore nell’anziano. Tra i fattori di rischio possiamo distinguere i fattori di rischio in modificabili e non modificabili.

Fattori di rischio non modificabili:

 Età  Sesso

 Ereditarietà e familiarità  Razza

Fattori di rischio modificabili

 Lipidi plasmatici  Ipertensione  Diabete mellito  Fumo di sigaretta

 Dieta, ambiente e stile di vita  Aumento lipoproteina a  Aumento omocisteina  Vita sedentaria  Stress.

Età, Sesso, Razza, Ereditarietà

La valutazione dei singoli fattori di rischio è difficile, poiché molti sono intimamente correlati o coesistono. Infatti per quanto riguarda l’età l’80% dei soggetti che muoiono in seguito a CI ha superato i 65 anni, età in cui si associano frequentemente una ridotta tolleranza glucidica, l’ipertensione e l’iperlipemia. Nelle donne prima della menopausa la cardiopatia ischemica si manifesta eccezionalmente (effetto protettivo degli estrogeni) mentre tende ad avere una incidenza simile a quella degli uomini dopo i 65 anni; in America le donne hanno tuttavia una incidenza di coronaropatia assai maggiore rispetto a tutti gli altri paesi (Niccoli et al, 2012).

Per quanto riguarda la razza è ben noto che alcune popolazioni eschimesi non soffrono di malattia coronarica, dato prevalentemente correlato alla dieta a base di pesce ricco di acidi grassi poliinsaturi della serie omega 3, che hanno funzione protettiva; anche il popolo Masai ha una bassa incidenza di coronaropatia nonostante la dieta ricca di grassi saturi, ma questo può essere dovuto oltre che alla razza ed all’alimentazione, all’intensa attività fisica di questo popolo.

Indubbia è l’influenza dei fattori eredofamiliari; evidenze scientifiche dimostrano che figli di coronaropatici hanno una maggiore incidenza di malattia, specialmente se ne sono affetti entrambi i genitori.

Lipidi Plasmatici: gli studi sull’influenza dell’aumento del colesterolo

plasmatico sono controversi per gli anziani rispetto agli adulti e studi attendibili dimostrano che il suo trattamento riduce il rischio di malattia coronarica dal 25 al 30% in 5 anni (Malenka e baron, 1988, Hall e Luepker, 2000); un aumento della lipoproteina a si associa ad una aumento della malattia aterosclerotica ma la maggior parte degli studi

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sono stati compiuti in soggetti < ai 60 anni (Berg et al, 1994; Danesh et al, 2000). Ipertensione: questa aumenta con l’età con una prevalenza oltre i 65 anni del 50% nella donna e del 30% nell’uomo. L’ipertensione sistolica rappresenta un fattore di rischio maggiore per morbilità e mortalità rispetto alla diastolica. Nei soggetti anziani alcuni hanno dimostrato una indiscussa associazione con la CI (Langford et al, 1986; Niccoli et al, 2012).

Diabete Mellito: nel diabete mellito, che si associa ad aterosclerosi

precoce, la mortalità per malattie cardiovascolari è doppia rispetto alla popolazione non diabetica ed è frequente l’ischemia silente. Gli studi di Framingham hanno dimostrato come a seconda dei livelli glicemici il rischio di IMA può aumentare fino a 2 volte e ½ (Niccoli et al, 2012).

Fumo: rappresenta un rischio predittivo molto forte direttamente

proporzionale al numero di sigarette fumate, alla profondità dell’inalazione, al contenuto di nicotina e ad altri prodotti derivanti dalla combustione del tabacco. Il fumo abbassa il livello plasmatico delle lipoproteine HDL, aumenta l’ossidazione delle LDL ed i livelli plasmatici di fibrinogeno, favorisce la disfunsione dell’endotelio vascolare, inibisce le prostacicline e favorisce la produzione di trombossani. Si calcola che ogni sigaretta accorci la vita di 7 minuti (circa 4,9 anni di vita in meno per un soggetto che fuma 20 sigarette al giorno per 50 anni; 7,3 anni in meno per uno che ne fuma 30). La probabilità di morte per cause cardiache nei fumatori è doppia rispetto ai non fumatori sia nell’adulto che nell’anziano. L’incidenza dell’IMA è 5 volte superiore nei fumatori rispetto ai non fumatori (Rosenbertget al, 1985). Nella fascia d’età dai 60 ai 70 anni, benché inferiore rispetto alle età più giovanili, le crisi coronariche sono correlabili al fumo nel 50% dei casi; la morte improvvisa è da 2 a 4 volte più frequente nei fumatori e fino a 10 volte nelle donne che assumono la pillola.

Dieta, ambiente e stile di vita: interessanti sono le osservazioni che in

soggetti immigrati da paesi con bassa incidenza di CI, questa tende ad uniformarsi a quella del paese di residenza dopo alcuni anni, probabilmente in relazione a fattori ambientali, dietetici e ad abitudini di vita. Questo è particolarmente evidente nei giapponesi trasferiti in California, dove presentano tassi di mortalità sovrapponibili alla popolazione locale (Beilin, 1992; Yeo e Ramsay, 1992).

Obesità: sia nell’adulto che nell’anziano si osserva una correlazione tra

obesità ed aumento della mortalià legata a coronaropatia; è discusso il ruolo dell’obesità come fattore di rischio indipendente della cardiopatia ischemica, poiché spesso si associa ad ipertensione (Reisin et al, 1978; lavie e Messerli. 1986), iperlipemia e diabete (Tran e Weltman, 1985; Shimokata et al, 1989).

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sono stati compiuti in soggetti < ai 60 anni (Berg et al, 1994; Danesh et al, 2000). Ipertensione: questa aumenta con l’età con una prevalenza oltre i 65 anni del 50% nella donna e del 30% nell’uomo. L’ipertensione sistolica rappresenta un fattore di rischio maggiore per morbilità e mortalità rispetto alla diastolica. Nei soggetti anziani alcuni hanno dimostrato una indiscussa associazione con la CI (Langford et al, 1986; Niccoli et al, 2012).

Diabete Mellito: nel diabete mellito, che si associa ad aterosclerosi

precoce, la mortalità per malattie cardiovascolari è doppia rispetto alla popolazione non diabetica ed è frequente l’ischemia silente. Gli studi di Framingham hanno dimostrato come a seconda dei livelli glicemici il rischio di IMA può aumentare fino a 2 volte e ½ (Niccoli et al, 2012).

Fumo: rappresenta un rischio predittivo molto forte direttamente

proporzionale al numero di sigarette fumate, alla profondità dell’inalazione, al contenuto di nicotina e ad altri prodotti derivanti dalla combustione del tabacco. Il fumo abbassa il livello plasmatico delle lipoproteine HDL, aumenta l’ossidazione delle LDL ed i livelli plasmatici di fibrinogeno, favorisce la disfunsione dell’endotelio vascolare, inibisce le prostacicline e favorisce la produzione di trombossani. Si calcola che ogni sigaretta accorci la vita di 7 minuti (circa 4,9 anni di vita in meno per un soggetto che fuma 20 sigarette al giorno per 50 anni; 7,3 anni in meno per uno che ne fuma 30). La probabilità di morte per cause cardiache nei fumatori è doppia rispetto ai non fumatori sia nell’adulto che nell’anziano. L’incidenza dell’IMA è 5 volte superiore nei fumatori rispetto ai non fumatori (Rosenbertget al, 1985). Nella fascia d’età dai 60 ai 70 anni, benché inferiore rispetto alle età più giovanili, le crisi coronariche sono correlabili al fumo nel 50% dei casi; la morte improvvisa è da 2 a 4 volte più frequente nei fumatori e fino a 10 volte nelle donne che assumono la pillola.

Dieta, ambiente e stile di vita: interessanti sono le osservazioni che in

soggetti immigrati da paesi con bassa incidenza di CI, questa tende ad uniformarsi a quella del paese di residenza dopo alcuni anni, probabilmente in relazione a fattori ambientali, dietetici e ad abitudini di vita. Questo è particolarmente evidente nei giapponesi trasferiti in California, dove presentano tassi di mortalità sovrapponibili alla popolazione locale (Beilin, 1992; Yeo e Ramsay, 1992).

Obesità: sia nell’adulto che nell’anziano si osserva una correlazione tra

obesità ed aumento della mortalià legata a coronaropatia; è discusso il ruolo dell’obesità come fattore di rischio indipendente della cardiopatia ischemica, poiché spesso si associa ad ipertensione (Reisin et al, 1978; lavie e Messerli. 1986), iperlipemia e diabete (Tran e Weltman, 1985; Shimokata et al, 1989).

Omocisteina: l’aumento di questo metabolita della metionina è associato

ad un aumento di incidenza di aterosclerosi e trombosi, anche se non sono stati chiariti i meccanismi molecolari del disordine metabolico (Bouschey et al, 1995).

Sedentarietà: gli effetti della sedentarietà sono paragonabili agli effetti

dell’ipertensione, dell’ipercolesterolemia e del fumo; i lavori sedentari predispongono alla malattia coronarica con un aumento della sua incidenza.

Stress: è molto difficile identificare e definire le reali situazioni di stress,

poiché questo si accompagna a situazioni sociali, lavorative e comportamentali non accettate oppure alla attività frenetica richiesta da alcuni tipi di lavoro tipica delle personalità iperattive; è spesso associato ad abitudini di vita ed alimentari non sane, al fumo, alla riduzione del sonno, all’uso di farmaci, di stimolanti, di alcool. Vi sono troppe variabili per attribuire validità agli studi scientifici, tra l’altro contrastanti, eseguiti fino ad ora e riteniamo giusto ricondursi ai singoli fattori di rischio facilmente identificabili. Una eccessiva stimolazione adrenergica può spiegare l’associazione tra eventi in grado di provocare intense reazioni emotive, IMA e morte improvvisa. Interessanti sono gli studi di Friedman che identificano nei soggetti con comportamento di tipo A (dotati di aggressività, esagerata competitività, stile di vita frenetico, sempre impegnati a raggiungere un numero illimitato di obiettivi nel più breve tempo possibile), uno sviluppo di malattia coronarica, considerato indipendente da altri fattori, da 1,5 a 4,5 volte maggiore rispetto ai soggetti con comportamento di tipo B (caratterizzati da atteggiamento più passivo e meno influenzato dall’emotività, dall’ambiente e dal lavoro). I soggetti di tipo A andrebbero incontro inoltre a maggior gravità delle lesioni coronariche ed a una più elevata incidenza di angor) anche a parità di altri fattori di rischio. Altri fattori di rischio per cardiopatia ischemica si possono considerare l’anemia grave ed alcuni disordini della funzione emostatica.