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Attività fisica e patologia articolare

La patologia articolare (PA) include forme degenerative come l'artrosi ed infiammatorie come l'artrite reumatoide. La PA include condizioni morbose che determinano disturbi a carico dell’apparato locomotore e dei tessuti connettivi dell’organismo. Queste costituiscono un insieme di patologie con una prevalenza tra le più alte nella popolazione del nostro paese. Attualmente ne sono affetti circa 11.000.000 italiani (il 20% della popolazione) e la grande maggioranza di questi sono anziani. Negli ultrasettantacinquenni questa patologia interessa il 68% delle donne e il 55,4% degli uomini; infatti, per cause ancora ignote, le donne sono colpite più degli uomini con rapporto 1:4. La PA è al secondo posto nelle patologie croniche dopo le malattie cardiovascolari e costituisce il 25% delle cause di invalidità nell’apparato pensionistico (alti costi diretti e indiretti). A differenza dell'invecchiamento fisiologico, che pure comporta una certa perdita di flessibilità articolare (senza tuttavia interferire con le attività della vita quotidiana), le PA sono caratterizzate da dolore articolare e da limitazione del movimento tali da interferire pesantemente sull'autosufficienza e sulla qualità della vita. La triade dolore, limitazione articolare e disabilità esprime in modo esaustivo questo concetto (Chow et al, 1987; Danneskiold et al, 1987; Minoe et al, 1989; Tork e, Douglas, 1989;

Ekdahl et al, 1990; Kirsteins et al, 1991; Shepard, 1997; Ettinger, 1998; Evans, 1999; Seeman, 1999; Deyle et al, 2000; Sharkey et al, 2000; Messier et al, 2000; Tierney et al, 2012; Austin et al, 2012).

Si tratta di patologie croniche, con andamento progressivo, caratterizzato da fasi di acuzie alternate a fasi di stato o di remissione, che costituiscono una delle cause più comuni di disabilità, soprattutto nelle età più avanzate. Fino a pochi anni fa si riteneva che le articolazioni affette da patologie degenerative o infiammatorie dovessero essere tenute a riposo per ridurne l’usura. Per questo motivo veniva sconsigliata qualsiasi forma di attività sportiva e, in molti casi, anche una attività fisica lieve fino alla immobilizzazione del paziente.

In realtà l’immobilizzazione comporta una maggiore riduzione della massa ossea e di quella muscolare, una più rapida perdita di forza, di flessibilità e di equilibrio. L’esercizio fisico regolare incide positivamente sul dolore, sulla flessibilità articolare e sulla disabilità. Oggi si consiglia ai soggetti con malattia in fase non acuta di praticare attività fisica; negli

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Attività fisica e patologia dell’apparato

locomotore

Attività fisica e patologia articolare

La patologia articolare (PA) include forme degenerative come l'artrosi ed infiammatorie come l'artrite reumatoide. La PA include condizioni morbose che determinano disturbi a carico dell’apparato locomotore e dei tessuti connettivi dell’organismo. Queste costituiscono un insieme di patologie con una prevalenza tra le più alte nella popolazione del nostro paese. Attualmente ne sono affetti circa 11.000.000 italiani (il 20% della popolazione) e la grande maggioranza di questi sono anziani. Negli ultrasettantacinquenni questa patologia interessa il 68% delle donne e il 55,4% degli uomini; infatti, per cause ancora ignote, le donne sono colpite più degli uomini con rapporto 1:4. La PA è al secondo posto nelle patologie croniche dopo le malattie cardiovascolari e costituisce il 25% delle cause di invalidità nell’apparato pensionistico (alti costi diretti e indiretti). A differenza dell'invecchiamento fisiologico, che pure comporta una certa perdita di flessibilità articolare (senza tuttavia interferire con le attività della vita quotidiana), le PA sono caratterizzate da dolore articolare e da limitazione del movimento tali da interferire pesantemente sull'autosufficienza e sulla qualità della vita. La triade dolore, limitazione articolare e disabilità esprime in modo esaustivo questo concetto (Chow et al, 1987; Danneskiold et al, 1987; Minoe et al, 1989; Tork e, Douglas, 1989;

Ekdahl et al, 1990; Kirsteins et al, 1991; Shepard, 1997; Ettinger, 1998; Evans, 1999; Seeman, 1999; Deyle et al, 2000; Sharkey et al, 2000; Messier et al, 2000; Tierney et al, 2012; Austin et al, 2012).

Si tratta di patologie croniche, con andamento progressivo, caratterizzato da fasi di acuzie alternate a fasi di stato o di remissione, che costituiscono una delle cause più comuni di disabilità, soprattutto nelle età più avanzate. Fino a pochi anni fa si riteneva che le articolazioni affette da patologie degenerative o infiammatorie dovessero essere tenute a riposo per ridurne l’usura. Per questo motivo veniva sconsigliata qualsiasi forma di attività sportiva e, in molti casi, anche una attività fisica lieve fino alla immobilizzazione del paziente.

In realtà l’immobilizzazione comporta una maggiore riduzione della massa ossea e di quella muscolare, una più rapida perdita di forza, di flessibilità e di equilibrio. L’esercizio fisico regolare incide positivamente sul dolore, sulla flessibilità articolare e sulla disabilità. Oggi si consiglia ai soggetti con malattia in fase non acuta di praticare attività fisica; negli

stadi iniziali di malattia è possibile anche un’attività sportiva regolare, proseguendo eventualmente quella già praticata, con eventuali modifiche. Nelle fasi acute di malattia l’attività deve essere sospesa; nelle fasi di stato è indicata l’attività aerobica, applicando accorgimenti importanti per ridurre il rischio di trauma (modificare gli sport di gruppo per evitare il contatto fisico, evitare attività basate sulla velocità e sulla potenza ed effettuare sempre il riscaldamento prima di iniziare l’attività). E’ utile anche l’allenamento della forza a intensità lievemoderata, evitando i movimenti bruschi e le contrazioni eccentriche. E’ fondamentale rispettare gli orari dell’attività, stabiliti tenendo conto degli effetti della malattia nelle diverse fasi della giornata, soprattutto la rigidità mattutina e la stanchezza serale.

Artrosi

L’artrosi è la più diffusa delle PA. Si tratta di una patologia articolare cronica caratterizzata da lesioni degenerative e produttive della cartilagine articolare per la cui progressione, negli ultimi anni, è stato riconosciuto all’infiammazione un ruolo affatto trascurabile. L’artrosi è la malattia più diffusa nei paesi industrializzati e, in Italia, colpisce circa il 18% della popolazione (10,5 milioni di persone) con un rapporto donna/uomo di 5:3, con una prevalenza età correlata. L’eziologia è sconosciuta; la patogenesi è di tipo multifattoriale, includendo fattori esterni all’articolazione (principalmente il carico articolare) e fattori intrinseci all’articolazione di tipo anatomico e biochimico (incluse le caratteristiche della cartilagine). L’artrosi si differenzia dal processo di invecchiamento fisiologico soprattutto perché in quest’ultimo il contenuto di acqua a livello della cartilagine diminuisce, mentre nell’artrosi aumenta; inoltre sono peculiari dell’artrosi e non dell’invecchiamento fisiologico sia l’aumento degli enzimi degradativi che dei proteoglicani a livello della cartilagine, sia l’invasione articolare da parte di cellule del midollo osseo, che producono neocartilagine e osso (osteofitosi). Nell’artrosi si distingue una forma

primaria (in cui le articolazioni più interessate sono la colonna, l’anca, il

ginocchio e le mani) ed una forma secondaria (quando fattori estrinseci alla cartilagine possono essere individuati come causa di patologia) in relazione ad attività lavorative o sportive che sovraccaricano un determinato distretto articolare oppure a seguito di patologia (dismorfismi, fratture). La forma secondaria è spesso unidistrettuale e si può riscontrare anche in soggetti giovani.

L’ attivita sportiva ad alto impatto (che prevede salti o comunque un considerevole sovraccarico articolare) può predisporre ad artrosi localizzata (microtraumi, traumi e fratture), mentre l’attività fisica

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regolare a impatto basso o moderato riduce il rischio di obesità e previene l’artrosi: la mobilizzazione dell’articolazione ne favorisce infatti il trofismo. Gli esercizi di moderata intensità comportano rischio minimo di danno articolare ed hanno un effetto benefico sul dolore e sulla disabilità nel paziente artrosico.

L'artrosi è estremamente comune in età avanzata, ove può presentarsi con un ampio spettro di quadri clinici a seconda dell'interessamento prevalente a carico di una o più articolazioni e della compromissione articolare specifica; tuttavia generalmente è l’insorgenza del dolore che conduce all'osservazione del medico. Una grave artrosi dell’anca o del ginocchio, con marcata limitazione funzionale e dolore costante, spesso anche in condizione di scarico, viene oggi generalmente considerata di competenza chirurgica; nella colonna invece, il presidio terapeutico primario è rappresentato dalla rieducazione motoria, a meno che una grave artrosi, spesso associata ad una congenita riduzione dei peduncoli e alla comparsa di protrusioni discali o di ipertrofia ligamentosa porti all'instaurarsi di una stenosi del canale vertebrale con danno neurologico rilevante e progressivo. Al di là di questi casi, nella pratica quotidiana, si osserva una certa discrepanza tra il quadro clinico, particolarmente riguardo al dolore, e il quadro radiologico. Questo può essere spiegato considerando che la perdita di funzione legata all'artrosi, oltre alla riduzione del ROM legata alle modificazioni strutturali articolari, spesso si instaura quando la limitazione e il malallineamento articolare e l'aumento di tensione muscolare conseguente provocano dolore. In conseguenza a ciò, viene assunto un comportamento finalizzato ad evitare il dolore con frequente immobilizzazione, compaiono la rigidità e l’arofia muscolare da disuso. Il dolore, di natura meccanica è legato alle sollecitazioni che l'articolazione, danneggiata e spesso in cattivo allineamento posturale, riceve in rapporto al carico e alla sua anormale redistribuzione nella stazione eretta, nel movimento e nel sollevamento o spostamento di pesi: quindi non ha una correlazione diretta con le alterazioni radiologiche articolari. L’attività fisica indicata nell’artrosi in fase di stato è costituita da esercizi aerobici a basso impatto (è preferibile iniziare in scarico); per il potenziamento muscolare si possono utilizzare bande elastiche, piccoli pesi, pulegge (con attenzione particolare in quei casi in cui si associano patologie del rachide); molto importante è la componente dell’allenamento della flessibilità, valutando con cautela la progressione dello stiramento in rapporto alle eventuali modificazioni anatomiche che limitano il ROM articolare.

Di fronte ad un dolore acuto, indipendentemente dalle alterazioni radiologiche sottostanti, non è consigliabile iniziare immediatamente una rieducazione attiva; in una prima fase si interviene sul processo

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regolare a impatto basso o moderato riduce il rischio di obesità e previene l’artrosi: la mobilizzazione dell’articolazione ne favorisce infatti il trofismo. Gli esercizi di moderata intensità comportano rischio minimo di danno articolare ed hanno un effetto benefico sul dolore e sulla disabilità nel paziente artrosico.

L'artrosi è estremamente comune in età avanzata, ove può presentarsi con un ampio spettro di quadri clinici a seconda dell'interessamento prevalente a carico di una o più articolazioni e della compromissione articolare specifica; tuttavia generalmente è l’insorgenza del dolore che conduce all'osservazione del medico. Una grave artrosi dell’anca o del ginocchio, con marcata limitazione funzionale e dolore costante, spesso anche in condizione di scarico, viene oggi generalmente considerata di competenza chirurgica; nella colonna invece, il presidio terapeutico primario è rappresentato dalla rieducazione motoria, a meno che una grave artrosi, spesso associata ad una congenita riduzione dei peduncoli e alla comparsa di protrusioni discali o di ipertrofia ligamentosa porti all'instaurarsi di una stenosi del canale vertebrale con danno neurologico rilevante e progressivo. Al di là di questi casi, nella pratica quotidiana, si osserva una certa discrepanza tra il quadro clinico, particolarmente riguardo al dolore, e il quadro radiologico. Questo può essere spiegato considerando che la perdita di funzione legata all'artrosi, oltre alla riduzione del ROM legata alle modificazioni strutturali articolari, spesso si instaura quando la limitazione e il malallineamento articolare e l'aumento di tensione muscolare conseguente provocano dolore. In conseguenza a ciò, viene assunto un comportamento finalizzato ad evitare il dolore con frequente immobilizzazione, compaiono la rigidità e l’arofia muscolare da disuso. Il dolore, di natura meccanica è legato alle sollecitazioni che l'articolazione, danneggiata e spesso in cattivo allineamento posturale, riceve in rapporto al carico e alla sua anormale redistribuzione nella stazione eretta, nel movimento e nel sollevamento o spostamento di pesi: quindi non ha una correlazione diretta con le alterazioni radiologiche articolari. L’attività fisica indicata nell’artrosi in fase di stato è costituita da esercizi aerobici a basso impatto (è preferibile iniziare in scarico); per il potenziamento muscolare si possono utilizzare bande elastiche, piccoli pesi, pulegge (con attenzione particolare in quei casi in cui si associano patologie del rachide); molto importante è la componente dell’allenamento della flessibilità, valutando con cautela la progressione dello stiramento in rapporto alle eventuali modificazioni anatomiche che limitano il ROM articolare.

Di fronte ad un dolore acuto, indipendentemente dalle alterazioni radiologiche sottostanti, non è consigliabile iniziare immediatamente una rieducazione attiva; in una prima fase si interviene sul processo

infiammatorio con farmaci e terapia fisica (ghiaccio, ultrasuoni, elettroterapia); talvolta sono necessari lo scarico o l'immobilizzazione temporanea (canadesi, corsetti, docce). Talvolta l'esercizio è possibile anche in fase acuta, specie se effettuato a carico ridotto ed in un ambiente caldo (idroterapia in vasche riscaldate) ottenendo come risultato il rilasciamento muscolare.

La rieducazione motoria segue un percorso finalizzato al recupero anche parziale della mobilità articolare, con mobilizzazioni prima passive, poi attive; per la risoluzione della contrattura muscolare vengono effettuati trattamenti fisioterapici o di medicina manuale insieme allo stiramento dei tessuti molli retratti; quindi è effettuato un riallenamento mirato al recupero della flessibilità, della coordinazione della forza e della resistenza, che può essere iniziato come primo approccio in fase subacuta o nel caso di soggetti con disturbi cronici. All'approccio specifico devono spesso essere associati, per una ottimizzazione del recupero funzionale, la rieducazione propriocettiva sensoriale, la rieducazione posturale e l’educazione ergonomica, con rivalutazione dell'ambiente, delle posture, degli stili di vita; quando necessario, si può ricorrere ad un adeguato utilizzo di ortesi (corsetto, bastone, splint etc.) e a modifiche ambientali.