Per sindromi extrapiramidali si intendono essenzialmente il Morbo di Parkinson, caratterizzato essenzialmente da ipocinesia/bradicinesia (riduzione/rallentamento dei movimenti), tremore e rigidità ed i
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192Attività fisica e prevenzione dell’Ictus
Vi sono evidenze che dimostrano come l’attività fisica riduca il rischio di ictus in modo statisticamente significativo in maniera direttamente proporzionale alla sua frequenza ed alla sua durata nel tempo. Sulla base di questi presupposti, a seconda degli studi eseguiti, la probabilità di ictus risulta ridotta dal 20 al 50%. Non vi sono invece dati univoci sulla correlazione tra attività fisica e riduzione della mortalità dovuta ad ictus. Indubbiamente una parte dei vantaggi dell’esercizio fisico deriva non solo dal controllo dell’ipertensione e dell’iperlipemia ma anche dalla riduzione (aggregabilità piastrinica, fibrinogeno) o dall’aumento (colesterolo HDL, sensibilità all’insulina e tolleranza al glucosio) di altri fattori coinvolti nell’aterogenesi.
Attività fisica nel soggetto colpito da ictus
Nella fase immediatamente successiva all’insorgenza di ictus, specie quando gli esiti neurologici sono importanti (emiplegia, deficit della sensibilità e dell’equilibrio, anosognosia ovvero perdita della consapevolezza dei danni subiti, deficit cognitivo, instabilità emotiva) il soggetto viene di solito sottoposto a trattamento riabilitativo (fisiokinesiterapia, idrokinesiterapia, eventuale logoterapia o terapia del linguaggio); spesso, l’insorgenza di complicazioni costringe il soggetto ad una immobolità prolungata che aggrava i deficit preesistenti attraverso l’atrofia muscolare da non uso o provoca lesioni permanenti (es. lesioni del nervo sciatico, popliteo esterno o tibiale anteriore in seguito a degenza in rianimazione). E’ particolarmente importante l’attenzione a preservare le funzioni fino dalla fase acuta, cercando di evitare quelle complicazioni che possono impedire in futuro anche il semplice cammino. La lesione distrugge un certo numero di cellule cerebrali ed anche se il cervello è organizzato per aree in grado di controllare certe attività, è necessario utilizzare le capacità del SNC di creare compensi che permettano di riacquisire alcune delle funzioni perdute. Questo può essere ottenuto attraverso una serie di stimolazioni che si avvalgono di tecniche precise, anche se molti modelli di recupero sono empirici, essendo a noi ancora sconosciuto il funzionamento di certi meccanismi del SNC. Tuttavia, lo studio della neurofisiologia ci fornisce molte conoscenze che costituiscono una base culturale per comprendere l’efficacia della riabilitazione e dell’attività motoria in questo campo. Nella seconda fase è importante continuare l’attività fisica per preservare o migliorare le funzioni; alcune evidenze scientifiche hanno dimostrato che le recidive di
ictus si riducono nei soggetti che continuano e intensificano l’attività fisica. La deambulazione può essere facilitata da ausili, particolarmente utili nell’indebolimento della dorsiflessione e dell’extrarotazione della caviglia, poichè l’asimmetria del movimento aumenta il costo energetico e la frequente residua spasticità produce movimenti a scatti, con aumento del fabbisogno di O2 che può raddoppiare. Un allenamento di tipo
aerobico, almeno 3 volte alla settimana, migliora la capacità aerobica, la forza e l’equilibrio, mentre esercizi aerobici e contro resistenza sono in grado di migliorare la capacità di salire le scale del 37% (Wannamethee e Shaper, 1992; Potempa et al, 1995; Shinton e Sagar, 2000; Gjellesvik, 2012; Galea, 2012; Roos et al, 2012; Van Swearingen, 2012).
L’importanza della famiglia
La famiglia ha un grosso ruolo; basta pensare che oltre la gravità della lesione anche il numero dei figli correla con la malattia. Una famiglia eccessivamente protettiva è negativa e il sostegno deve essere dato ad un livello appena inferiore a quello delle capacità dell’individuo, cosicché rimanga lo stimolo a fare da solo. Una famiglia in disaccordo finisce per trasmettere al soggetto le proprie ansie e insicurezze. Non si deve mai dare l’impressione che il soggetto (inserito nella famiglia) rappresenti un peso, dando segni di aggressività per il tempo che si deve dedicargli, rischiando che questo atteggiamento incida negativamente sul recupero. Spesso (e questo si verifica soprattutto quando la persona colpita abita con uno dei diversi figli) le cose vengono viste in modo distorto da chi non coabita con il soggetto, che è portato, per ignoranza ed inesperienza, da un lato a minimizzare le fatiche necessarie all’assistenza, dall’altro a criticare l’operato dei familiari che lo assistono, soprattutto se non si raggiunge il recupero sperato. Si tende a non considerare che la terapia è utile ma con effetti spesso limitati, e che la possibilità di recupero dipende in gran parte dalla gravità della lesione. Molto frequentemente i parenti non riescono a capire questo concetto che è in parte comprensibile per la componente affettiva, ma c’è la tendenza a pretendere che tutti i soggetti colpiti da ictus possano migliorare, raggiungendo risultati sovrapponibili nell’autonomia.
Sindromi extrapiramidali e attività fisica
Per sindromi extrapiramidali si intendono essenzialmente il Morbo di Parkinson, caratterizzato essenzialmente da ipocinesia/bradicinesia (riduzione/rallentamento dei movimenti), tremore e rigidità ed i
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193parkinsonismi, nei quali la rigidità è minore ed il tremore è assente o molto lieve. (Numerose sono le evidenze degli effetti benefici dell’attività fisica in questa patologia (Liu e Lao, 2012; Li et al, 2012).
Il Morbo di Parkinson è la malattia più comune a carico del sistema extrapiramidale (prevalenza circa 100 casi per 100.000 e incidenza 20 casi per 100.000 ogni anno) ed è secondario ad una degenerazione del sistema nigrostriatale (substanzia nigra, putamen e lobo caudato) che si serve di due neurotrasmettitori, la dopamina e l’acetilcolina. Questo sistema è connesso al globo pallido ed al talamo, i quali hanno influenze dirette sulle attività motorie che originano dalla corteccia.
L’ipocinesia insorge lentamente assieme a movimenti involontari, prevalentemente a livello degli arti, del tronco e della muscolatura facciale, il tremore è un tremore a riposo con una frequenza di 35 cicli al secondo, assente o ridotto durante un’azione; la rigidità è prevalente a carico degli arti, tronco e muscolatura facciale, interessa in maggior misura i muscoli flessori determinando la tipica postura distonica in flessione del soggetto. Spesso è associato a demenza (5060% dei casi). Il parkinsoniano è un soggetto da seguire con molta attenzione per i rischi connessi all’attività motoria. Infatti spesso incorre in episodi sincopali e di ipotensione ortostatica; la tipologia del movimento con difficoltà a prendere l’avvio e ad alzare i piedi lo rende facile all’inciampo; la rigidità, la flessione del tronco ed i movimenti involontari contribuiscono a ridurre l’equilibrio (già compromesso dalla malattia e dalla postura del capo) e quindi a rendere più facili le cadute.
I soggetti in terapia con levodopa (sostanza che attraversa la barriera ematoencefalica e che viene trasformata in dopamina) possono inoltre presentare i seguenti effetti collaterali che aggravano i rischi dell’attività fisica:
fenomeni cosiddetti “onoff” caratterizzati da brusche oscillazioni della motilità che si possono verificare anche più volte nello stesso giorno; movimenti involontari;
episodi sincopali; ipotensione ortostatica; aritmie cardiache;
vomito e disturbi associati;
psicosi, allucinazioni, deliri, confusione mentale.
Attività fisica e disturbi cognitivi
È difficile stabilire con certezza gli effetti dell’esercizio fisico sulle performances mentali. Infatti le ricerche in questo settore sono molto eterogenee, sia per le casistiche con livello di forma fisica, età e stato di
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194parkinsonismi, nei quali la rigidità è minore ed il tremore è assente o molto lieve. (Numerose sono le evidenze degli effetti benefici dell’attività fisica in questa patologia (Liu e Lao, 2012; Li et al, 2012).
Il Morbo di Parkinson è la malattia più comune a carico del sistema extrapiramidale (prevalenza circa 100 casi per 100.000 e incidenza 20 casi per 100.000 ogni anno) ed è secondario ad una degenerazione del sistema nigrostriatale (substanzia nigra, putamen e lobo caudato) che si serve di due neurotrasmettitori, la dopamina e l’acetilcolina. Questo sistema è connesso al globo pallido ed al talamo, i quali hanno influenze dirette sulle attività motorie che originano dalla corteccia.
L’ipocinesia insorge lentamente assieme a movimenti involontari, prevalentemente a livello degli arti, del tronco e della muscolatura facciale, il tremore è un tremore a riposo con una frequenza di 35 cicli al secondo, assente o ridotto durante un’azione; la rigidità è prevalente a carico degli arti, tronco e muscolatura facciale, interessa in maggior misura i muscoli flessori determinando la tipica postura distonica in flessione del soggetto. Spesso è associato a demenza (5060% dei casi). Il parkinsoniano è un soggetto da seguire con molta attenzione per i rischi connessi all’attività motoria. Infatti spesso incorre in episodi sincopali e di ipotensione ortostatica; la tipologia del movimento con difficoltà a prendere l’avvio e ad alzare i piedi lo rende facile all’inciampo; la rigidità, la flessione del tronco ed i movimenti involontari contribuiscono a ridurre l’equilibrio (già compromesso dalla malattia e dalla postura del capo) e quindi a rendere più facili le cadute.
I soggetti in terapia con levodopa (sostanza che attraversa la barriera ematoencefalica e che viene trasformata in dopamina) possono inoltre presentare i seguenti effetti collaterali che aggravano i rischi dell’attività fisica:
fenomeni cosiddetti “onoff” caratterizzati da brusche oscillazioni della motilità che si possono verificare anche più volte nello stesso giorno; movimenti involontari;
episodi sincopali; ipotensione ortostatica; aritmie cardiache;
vomito e disturbi associati;
psicosi, allucinazioni, deliri, confusione mentale.
Attività fisica e disturbi cognitivi
È difficile stabilire con certezza gli effetti dell’esercizio fisico sulle performances mentali. Infatti le ricerche in questo settore sono molto eterogenee, sia per le casistiche con livello di forma fisica, età e stato di
salute differenti, sia per la diversità delle funzioni cognitive studiate e per i diversi metodi di valutazione di queste ultime (MMSE o Mini Mental State Examination; WAIS o Wechsler Adult Intelligence Scale, CST o Color Slide Test).
Numerose evidenze tuttavia confermano l’utilità dell’esercizio fisico (Clarkson e Hartley, 1989; Rogers et al, 1990; Chodzko, 1991; Yaffe et al, 2001; Winchester et al, 2012), prevalentemente aerobico, spesso anche di intensità molto lieve e di durata variabile (da pochi mesi a molti anni). Sono stati documentati:
minor rischio di sviluppare deficit cognitivi;
miglioramento della memoria operativa e delle capacità visuospaziali; maggior abilità a risolvere problemi nuovi e maggior rapidità di
risposta agli stimoli;
miglioramento dell’attenzione;
miglioramento dell’orientamento spaziotemporale; miglioramento della capacità di calcolo e della memoria a breve
termine;
miglioramento del linguaggio e della prassia costruttiva. Per spiegare questi effetti sono state formulate varie teorie, basate principalmente sul ruolo ricoperto dal documentato incremento del flusso ematico cerebrale e confermate da evidenze che dimostrano come il flusso ematico cerebrale, l’efficienza ed il trasporto dell’ossigeno sono ridotti nei soggetti sedentari; del resto sono noti gli effetti di riduzione dei neurotrasmettitori cerebrali durante l’ipossia. L’aumento di apporto ematico comporta anche un aumento dell’apporto glucidico, fondamentale per il metabolismo cerebrale.