• Non ci sono risultati.

Gli aspetti procedimentali e processuali

LA GIURISPRUDENZA DELLE SEZIONI CENTRALI DI APPELLO E DELLA SEZIONE GIURISDIZIONALE DI APPELLO PER LA REGIONE SICILIA

2 Gli aspetti procedimentali e processuali

In materia di notizia specifica e concreta di danno si è definitivamente consolidata la giurisprudenza sull’art. 51, I e II comma, del c.g.c.

In materia, la sentenza n. 231 del 2020 della I Sez. centrale ha distinto chiaramente le notizie di stampa, prodotte dalla Procura, al fine della prova del danno all’immagine e la “notitia damni” necessaria per l’instaurazione del procedimento erariale.

Al riguardo si è sottolineato che non occorre che la notitia damni sia completa e, cioè, individui tutti gli elementi necessari ai fini dell’esercizio dell’azione di responsabilità contabile.

Il legislatore, infatti, ha previsto che la “notitia damni” costituisca solo il presupposto, da cui prende le mosse l’attività istruttoria del P.M. contabile naturalmente destinata ad individuare tutti gli elementi rilevanti ai fini dell’esercizio dell’azione di responsabilità, in coerenza, del resto, con la ratio sottesa alla previsione introdotta dall’art. 17, comma 30-ter, del D.L. n.

78/2009 ed ora trasfusa nell’art. 51, primo comma, cod. giust. cont., che, in conformità all’insegnamento del Giudice delle leggi, ha inteso escludere che il P.M. desse corso ad indagini

“ad explorandum”, intese a prendere notizia di eventuali fattispecie di responsabilità amministrativa, a prescindere da una ben individuata notitia damni.

Ad avviso della sentenza delle Sezioni Riunite 3 agosto 2011, n. 12 e del sopravvenuto art. 51 c.g.c., l’intervento del P.M. contabile è a “tutela dell’interesse generale oggettivo della regolarità della gestione finanziaria e patrimoniale dell’ente territoriale” (Corte cost., sent. n.

89/2017).

Il pubblico ministero è parte del giudizio sin dall’avvio della fase istruttoria e qualora, dall’esame degli atti ricevuti dalla Sezione del controllo, emergano violazioni idonee ad arrecare pregiudizio alla finanza pubblica, è legittimato a dar corso all’attività istruttoria finalizzata a verificare la fondatezza della notizia di danno (III Sez. centrale, sent. n. 92 del 2020).

Sempre con riferimento alla notitia damni, come specificato dalla III Sez. centrale (sent.

n. 92/2020), con riferimento particolare al giudizio di parificazione del rendiconto delle Regioni, l’intervento del pubblico ministero contabile è previsto a “tutela dell’interesse generale oggettivo della regolarità della gestione finanziaria e patrimoniale dell’ente territoriale” (Corte cost., 27 aprile 2017, n. 89), egli è parte del giudizio sin dall’avvio della

128

fase istruttoria e qualora, dall’esame degli atti ricevuti dalla Sezione del controllo, emergano violazioni idonee ad arrecare pregiudizio alla finanza pubblica, è legittimato a dar corso all’attività istruttoria finalizzata a verificare la fondatezza della notizia di danno.

Per la sentenza n. 47/2020 della III Sez. centrale, conformemente al costante orientamento contabile, nel solco della sentenza n. 513/2002 della Corte costituzionale e delle Sezioni Riunite (sent. n. 5/2002/QM), la mancata comunicazione dell’avvenuta proroga del termine per il deposito dell’atto di citazione non costituisce causa di nullità dello stesso. È stato, infatti, escluso che il segmento procedimentale antecedente all’atto introduttivo del processo abbia natura processuale, con conseguente non necessità del contraddittorio sul punto e attesa la possibilità di proporre reclamo.

È stata, altresì, ribadita la genericità, con conseguente inammissibilità del gravame, nel caso di proposizione di motivi sulla generica inosservanza delle norme sulla quantificazione delle spese di lite, dovendosi specificare le singole voci errate ovvero l’erroneità della statuizione di condanna (Sez. II centrale, sent. n. 161/2020). La medesima decisione ha, inoltre, statuito la carenza di interesse, in parte qua, dell’impugnazione che lamenti il mancato esame, da parte del giudice di primo grado, del merito del giudizio, qualora in tale sede l’appellante avesse eccepito, in via preliminare, la prescrizione.

In materia di interesse ad agire della Procura regionale, la I Sezione centrale ha rilevato che l’emanazione del provvedimento di archiviazione disciplinare prima della proposizione dell’azione risarcitoria erariale priva la Procura dell’interesse ad agire, stante la sopravvenuta

“sanatoria” dell’indebito, poiché è la stessa amministrazione danneggiata, titolare dell’interesse finanziario tutelato in via mediata dal p.m., ad effettuare una valutazione postuma della debenza degli aiuti, pur inizialmente ottenuti irregolarmente, conferendo crisma di legalità alla materiale (sebbene non giuridica) disponibilità del terreno, perpetrata senza il contrario volere dei legittimi possessori, quale sopravvenuto e sostitutivo requisito per l’ottenimento dei benefici economici in questione. Di qui l’assenza di un esborso contra ius147.

Con riferimento alla validità dell’atto di citazione e ai rapporti con l’invito a dedurre, la giurisprudenza dell’anno trascorso ha confermato le ormai risalenti pronunce, che hanno limitato la sanzione della nullità ai vizi più gravi dell’“editio actionis”, tali da compromettere, in definitiva, il diritto di difesa, non rendendo possibile ricostruire l’oggetto e le ragioni di fatto della domanda e la corretta delimitazione del thema decidendum (II Sez.

147 Sez. I, sent. n. 156/2020.

129 centrale, sent. n. 155/2020).

È stato peraltro osservato (id. II Sez., sent. n. 45/2020) che il principio di sinteticità di cui all’art. 5 c.g.c. preclude al P.M. il riversamento integrale delle risultanze degli accertamenti istruttori nell’atto di citazione, imponendogli una rappresentazione riassuntiva degli stessi.

Quindi, il fatto che non siano state riportate nella citazione tutte le circostanze fattuali, è coerente con l’architettura del giudizio contabile delineata dal codice.

Il principio è stato ulteriormente richiamato nella decisione della medesima Sezione II n. 257/2020, per la quale “La tecnica redazionale improntata al canone della sinteticità è imposta anche al giudice, i cui atti sono espressamente contemplati come soggetti all’indicato principio generale. Inoltre, l’esigenza di sinteticità è ribadita, al fine di sottolineare l’imperatività del principio, con riferimento alla motivazione della sentenza (art. 17, comma 1, norme di attuazione del c.g.c.) che deve consistere nella «concisa esposizione dei fatti decisivi e dei principi di diritto su cui la decisione è fondata». Ebbene, la scelta legislativa di modellare l’architettura della motivazione sul canone della sinteticità esclude che, allorquando i profili di gravame rappresentino la riproposizione di contestazioni già introdotte a contrasto della prospettazione elaborata nell’atto di citazione, possa farsi luogo al convogliamento nella decisione di secondo grado di tutto il condivisibile percorso argomentativo meticolosamente svolto dal primo giudice”.

In ordine al litisconsorzio, la decisione n. 44/2020 della II Sezione centrale ha posto in rilievo che, nel caso di concorso causale colposo, si applica il principio di parziarietà di cui all’art. 1 della legge n. 20 del 1994, mentre sotto il profilo processuale si è in presenza di un litisconsorzio facoltativo proprio ai sensi dell’art. 103 c.p.c.

In tali ipotesi, il giudice può disporre la separazione nel caso in cui la prosecuzione comporterebbe rallentamenti per salvaguardare la ragionevole durata del processo, ex art. 111 Cost. e 6 CEDU. Tali approdi sono stati confermati dalla successiva giurisprudenza, per la quale

“la sussistenza di più corresponsabili non impone al giudice l’integrazione del contraddittorio ma soltanto di tener conto, nella determinazione del danno, dell’efficienza causale di ciascuna condotta al fine eventualmente di distribuire l’entità del danno tra costoro, come peraltro precisato all’art. 83 c.g.c.” (III Sezione centrale, sent. n. 237/2020).

In numerose sentenze, ormai da tempo, è stato adottato il principio c.d. “della ragione più liquida”, elaborato dalla Corte di cassazione, per il quale, derogando alla disciplina dell’art.

276 c.p.c. e 101, comma II, c.g.c., è possibile l’esame immediato di un motivo di merito,

130

suscettibile di assicurare la definizione del giudizio, anche senza valutare la fondatezza o meno di questioni pregiudiziali o preliminari.

Tale modus procedendi è stato giustificato con il principio di economia processuale e della ragionevole durata del processo. Peraltro, è da notare che, nel giudizio contabile, la conclusione nel merito, nel caso di assoluzione, comporta la rifusione alla parte privata delle spese di giudizio e, quindi, detto principio, a differenza che nei ricorsi per cassazione, comporta conseguenze rilevanti.

In tema di intervento ad adiuvandum, la decisione della III Sez. centrale n. 116 del 2020 ha chiarito che la lettera dell’art. 85 c.g.c., non innovato sul punto dall’art. 45 del d. lgs. n. 114 del 2019, riferisce la notifica dell’atto di intervento alle “parti” e non alle parti costituite. Infatti, l’art. 170 prevede la notifica al procuratore costituito dopo la costituzione in giudizio di attore e convenuto, realtà che non può essere “predicata per l’interveniente che diviene parte soltanto al momento della notifica del proprio atto alle altre parti del giudizio e parte costituita col deposito dell’atto notificato nella segreteria della Sezione”. Si è concluso nel senso che la notifica è validamente operata alla parte personalmente.

In materia di esiti del giudizio, la decisione n. 101 del 2020 della III Sezione centrale ha ritenuto, applicando il noto principio elaborato dalla giurisprudenza civile della

“soccombenza virtuale”, che la cessazione della materia del contendere può atteggiarsi alla stregua di una causa estintiva del processo solo quando la pretesa dell’attore ovvero il bene della vita cui aspira, ha trovato piena e comprovata soddisfazione nel corso del processo, così da renderne del tutto inutile la prosecuzione stante l’oggettivo venir meno della lite. Ha così riformato la sentenza di primo grado che aveva condannato un convenuto, ancorché, previo esame del merito, avesse concluso per l’assenza di danno erariale.

In tema di valutazione degli atti e delle prove la giurisprudenza di appello ha ribadito che l’onere della prova della sussistenza del rapporto di servizio, della condotta antigiuridica, del nesso eziologico, dell’elemento psicologico e del danno erariale, e, se possibile, la sua quantificazione, spettano alla procura contabile.

Al contrario, l’esecuzione della prestazione contrattuale non rientra tra i fatti principali che il Pubblico ministero è tenuto a provare quali elementi costitutivi delle fattispecie di responsabilità amministrativa, quando si contesti la carenza di giustificazione della spesa per assenza degli atti del procedimento di liquidazione volti ad accertare l’avvenuta esatta ed integrale prestazione.

131

Pertanto, non si può addossare all’attore pubblico il carico di “provare che la prestazione non sia stata effettuata, o lo sia stata in maniera irregolare, senza violare il corrispondente principio di “prossimità alla prova” essendo le parti tenute a fornire ‘le prove che siano nella loro disponibilità’ (art. 94, c.g.c.) dei fatti principali su cui fondano domande e relative eccezioni, proprio per mitigare l’effetto distruttivo/impeditivo che l’applicazione del principio dell’onere della prova realizza in caso di c.d. prova del fatto negativo” (III Sez.

centrale, sent. n. 175/2020, che richiama precedenti)148.

È poi costante il riferimento all’utilizzazione degli elementi di prova raccolti in giudizi davanti ad altri plessi giurisdizionali, civili e penali, con particolare riferimento al giudizio del lavoro e a quello penale.

È stato così affermato, in materia di “danno indiretto” arrecato all’amministrazione, per effetto di condotte vessatorie che avevano cagionato la condanna per “mobbing”, che le dichiarazioni scritte di terzi assumono valore non di testimonianza ma di indizi, la cui utilizzazione non costituisce un obbligo, ma una facoltà del giudice. Inoltre, non essendo soggette al regime di cui all’art. 2702 c.c., esse devono essere confortate da elementi estrinseci, non contraddittorie e non contrastanti con altri elementi di prova ritualmente assunti nel processo civile (Sez. II centrale, sent. n. 213/2020, che approfondisce anche i concetti di

“mobbing” e “straining”).

La possibilità, da parte del giudice contabile, di utilizzazione degli elementi di prova tratti dalle indagini penali, anche se non concluse con sentenza dibattimentale passata in giudicato ovvero esitate nei giudizi alternativi al dibattimento, è ormai ius receptum.

La diversa finalità dei giudizi penale e contabile, attesa la differente valenza, anche costituzionale, dei valori in gioco (libertà personale e pretesa punitiva dello Stato nel processo penale e interesse dell’erario al risarcimento del danno, nell’altro) giustificano la differenziazione tra gli standard delle prove e dei mezzi di ricerca delle stesse, nonché la c.d.

“regola di giudizio”.

Pertanto, a differenza che nel processo penale, in quello contabile l’esito può essere determinato anche da presunzioni e da canoni di giudizio di natura probabilistica, essendo fondato sul “più probabile che non”. Sicché, l’estensione analogica di disposizioni del codice di procedura penale comporta un’operazione ermeneutica che si pone non in linea con il

148 Cfr. anche I Sezione centrale, sent. n. 49/2020 e n. 294/2020 sull’utilizzabilità di prove penali anche di tipo confessorio.

132

precetto dell’art. 3 della Costituzione, sottoponendo a una medesima disciplina due situazioni – tutela del patrimonio e tutela della libertà personale – ben differenti e distinte.

Il giudice contabile, a differenza di quello penale, può porre a fondamento della decisione indizi e/o prove raccolte in giudizi celebratisi innanzi ad altri plessi giudiziari, ivi comprese le c.d. prove atipiche o innominate, non sussistendo una norma di chiusura sulla tassatività tipologica dei mezzi di prova, come confermato dall’art. 94, comma 4, c.g.c.149 ad eccezione, tuttavia, del solo giuramento decisorio, come dispone espressamente l’art. 165, comma 2, c.g.c.

Nella specie, è stata ritenuta la non corretta applicazione, da parte del giudice di prime cure, delle regole di giudizio sopra richiamate, avendo ritenuto non sufficienti, al fine di provare lo svolgimento di attività extraistituzionale non autorizzata, incompatibile e remunerata, da parte dell’appellato, le dichiarazioni di persona indagata nel medesimo procedimento penale, davanti al P.M., confermate, in sede di audizione davanti al P.M. contabile, dalla dichiarante nonché da elementi documentali tratti dalle agende della medesima e dai tabulati e intercettazioni telefonici, nonché da operazioni di osservazione della Guardia di Finanza (e plurimis cfr. Sezione II centrale, sentt. nn. 165 e 166/2020).

È ormai approdo consolidato anche la valutazione della sentenza penale di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., alla stregua della giurisprudenza della Corte di cassazione, quale elemento di prova (ai sensi dell’art. 116 c.p.c. e 95 c.g.c.), che rientra nel perimetro valutativo del giudice contabile (e plurimis Sez. I centrale, sent. n. 231/2020).

Conformemente alla giurisprudenza civile, anche nel processo contabile la consulenza tecnica d'ufficio non è qualificata quale mezzo istruttorio in senso stretto, ma rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito, cui è rimessa la facoltà di valutarne la necessità o l'opportunità ai fini della decisione, nonché l’ambito di estensione.

La sua funzione è limitata alla valutazione di fatti di cui sia già pacifica la dimostrazione e non può essere disposta per soddisfare finalità esclusivamente esplorative. In sintesi, la consulenza tecnica di ufficio non può valere ad eludere l’onere di allegazione e di prova incombente sulle parti processuali, per la dimostrazione dei fatti posti a base delle pretese azionate (Sezione II centrale, sent. n. 157/2020).

Per chiarezza espositiva e rigore ermeneutico va poi segnalata la decisione della III

149 Il giudice contabile può disporre l’ammissione di ogni mezzo di prova, ad eccezione, tuttavia, del solo giuramento decisorio, come dispone espressamente l’art. 165, comma 2, c.g.c.

133

Sezione centrale n. 199/2020, con la quale, in materia di prova testimoniale, è stata affermata l’inammissibilità della relativa richiesta in appello, perché riguardava non fatti specifici, ma elementi irrilevanti nel processo, quali la dimostrazione della politica aziendale di una banca affidataria del servizio di tesoreria.

Inoltre, la prova testimoniale si palesava, altresì, inammissibile sub specie dei soggetti chiamati a deporre, dei quali non era stato dimostrato il potere di dichiarare la volontà negoziale della banca. Il mezzo istruttorio, in quanto generico e non riferito ad un caso specifico e concreto, è stato, pertanto, dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 244 c.p.c.

Parimenti inammissibile è stata ritenuta l’istanza di ammissione a prova testimoniale, avente ad oggetto l’esistenza di una procedura di evidenza pubblica “atteso che l’attività amministrativa procedimentalizzata deve essere adeguatamente formalizzata in atti che, con riferimento alla negoziazione in parola, mancano”.

Conferma gli approdi ermeneutici delle Sezioni Riunite della Corte dei conti sull’art.

106 c.g.c. e sul concetto di pregiudizialità/dipendenza tra due giudizi, con esclusione di ogni rapporto di pregiudizialità giuridica tra il processo penale e quello contabile, ma anche tra la causa pendente davanti alla Corte dei conti e quella davanti alla Corte EDU, la decisione n.

148/2020 della II Sezione centrale, conforme a molte altre.

Il risultato auspicato, in termini di revisione del processo penale, tuttavia, non impatta né sul rapporto “sincronico” tra le diverse giurisdizioni nazionali, regolato dall’istituto della sospensione nei termini di cui all’art. 106 c.g.c. e 295 c.p.c., né su quello “diacronico”, regolato dagli artt. 651 e ss. c.p.p., che delimitano il perimetro dell’efficacia nei giudizi civili e amministrativi delle pronunce penali, né tantomeno su quello, peculiare, regolato dall’art. 17, comma 30-ter citato, che subordina l’azione del p.m. contabile per danno all’immagine alla sentenza penale irrevocabile di condanna.

Outline

Documenti correlati