LA GESTIONE DEI FONDI EUROPEI E DEI CONTRIBUTI PUBBLICI
2 Le conferme della giurisdizione contabile nella giurisprudenza della Corte di cassazione
Oramai la Corte di cassazione è pacificamente orientata a riconoscere la giurisdizione del Giudice contabile anche nei confronti di soggetti privati, persone fisiche o giuridiche, beneficiari finali dei finanziamenti, nonché degli amministratori delle società percipienti.
Si registra, pertanto, una rarefazione dei ricorsi su tale questione di giurisdizione e, conseguentemente, delle pronunce delle Sezioni Unite della Corte regolatrice sul tema dei fondi europei.
L’orientamento è sostanzialmente consolidato, già a seguito della pronuncia delle Sezioni Unite n. 20701 del 10 settembre 2013. Infatti, in virtù del principio di assimilazione, in base al quale la tutela degli interessi europei deve essere la medesima di quella riservata agli interessi pubblici nazionali175, esso risulta direttamente applicabile ai danni inferti ai fondi UE, essendo stato ciò ribadito anche recentemente dalla Suprema Corte (Cass. SS.UU. n. 30526 del
173 Cfr. art. 2, lettera b).
174 All’art. 4, par. 2, lettere da d) a g).
175 Il principio risultava già recepito dalle Sezioni Unite penali (sent. 1235/2010) ed è stato richiamato nella pronuncia n. 20701/2013, che in forza dello stesso ha affermato che “gli interessi finanziari europei sono assimilati a quelli nazionali, con la conseguenza che gli Stati sono tenuti ad agire con gli stessi mezzi e adottando le stesse misure previste dal diritto interno per la protezione dei medesimi beni giuridici, attivandosi, dunque, la giurisdizione della Corte dei conti in tutte le fattispecie di protezione del bilancio della Comunità europea dalle frodi, avendo la Corte di Giustizia specificato che detto obbligo degli Stati necessariamente ricomprende ogni azione di diritto amministrativo, tributario o civile, diretta a riscuotere o a recuperare risorse ovvero obbligazioni comunitarie conseguite o per converso eluse in modo fraudolento, nonché ad ottenere il risarcimento del danno”.
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In particolare, si è confermato che è configurabile un rapporto di servizio tra la pubblica amministrazione erogatrice di contributo e il soggetto privato che, ponendo in essere i presupposti per l’illegittima percezione del finanziamento o disponendo della somma erogata in modo diverso da quello preventivato, abbia frustrato lo scopo perseguito dall'amministrazione, distogliendo le risorse conseguite dalle finalità cui erano preordinate.
La giurisprudenza di legittimità ha tenuto, ulteriormente, a precisare che, ai fini del radicamento della giurisdizione della Corte dei conti sul danno erariale, a seguito della illecita percezione del contributo pubblico, risulta decisiva la natura del danno conseguente alla mancata realizzazione degli scopi perseguiti con la contribuzione, non avendo rilevanza né la qualità del soggetto che gestisce il denaro pubblico, il quale ben può essere un soggetto di diritto privato destinatario della contribuzione, né il titolo in base al quale la gestione del pubblico denaro è svolta, che può consistere in un rapporto di pubblico impiego o di servizio, ma anche in una concessione amministrativa o in un contratto di diritto privato.
Tra le ormai poche decisioni che, nel 2020, hanno dato luogo alla conferma di tali arresti da parte del giudice di legittimità, merita di essere segnalata l’ordinanza n. 7009 dell’11 marzo 2020, che espressamente li applica al regime di set-aside in agricoltura, in cui si ribadisce che l’agenzia AGEA, nello svolgimento dei compiti di somministrazione dei contributi, anche in questa particolare funzione della regolazione della produzione agricola, associa alla realizzazione del relativo programma tutti i soggetti inseriti nelle attività preparatorie e di finalizzazione esecutiva, sicché anche i percettori senza titolo dei relativi fondi, per il concreto impegno alla illecita fruizione degli stessi, assumono la “qualità di parte di un rapporto di servizio”.
È ormai ampiamente condivisa anche l’inclusione, assieme ai fondi ricompresi in programmi e progetti (come è caratteristico per i fondi strutturali), delle erogazioni dirette tipiche del Primo Pilastro della Politica Agricola Comune (FEAGA, in particolare), che non vanno intesi come mero sostegno al reddito dell’agricoltore, data la connessione con precisi impegni di mantenimento di condizioni agroambientali che qualificano l’erogazione. Non è, quindi, configurabile un differente trattamento, in termini di giurisdizione, fra le erogazioni dell’UE dirette e indirette (si veda per tutte, in proposito, tra le pronunce dell’anno di riferimento, la sent. del 15/9/2020, n. 241 della Sezione Prima d’Appello).
Anzi l’estensione, in tali ambiti, della giurisdizione della Corte dei conti deve intendersi
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comprensiva anche delle spese dirette dell’UE (che non transitano neppure da agenti pagatori interni). Mentre era già da ritenersi perfezionata l’interpositio legislatoris, con la disposizione di cui all’ art. 1, comma 4, della legge 14 gennaio 1994, n. 20 (estensiva della giurisdizione anche all'ipotesi in cui il danno sia cagionato ad amministrazione diversa dall'ente di appartenenza del suo autore), la chiusura del cerchio giunge direttamente dai Trattati UE.
In base ad essi e, specificamente, agli artt. 47 del TUE e 335 del TFUE, si può ricomprendere nella categoria di persona giuridica pubblica l’Unione stessa, avendo l’effetto di configurare la specifica figura di danno erariale, costituita dalla frode che lede gli interessi finanziari eurounionali, che va a pregiudicare la portata e l'efficacia del diritto europeo.
Più interessante, nel periodo di riferimento della presente relazione, è stata la recente evoluzione della questione del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione, ai sensi dell’art. 267, comma 3, del TFUE.
Presso la Corte dei conti tale eventualità processuale si verifica, più di sovente, in ambito di giudizio pensionistico, ma è stata esaminata anche in sede di giudizio di responsabilità (con rigetto dell’istanza di rinvio pregiudiziale, da ultimo, Sez. Prima d’appello del 4/3/2020, n. 37;
Sez. Seconda d’app. con sent. del 30/1/2020, n. 17).
Nel 2020 si è, in proposito, resa evidente la criticità con riferimento alla particolare questione della possibilità delle Sezioni Unite della Cassazione di risolversi per il rinvio pregiudiziale, in sede di ricorso da una delle magistrature speciali, riguardo alla violazione dei limiti esterni.
Il fulcro della questione è, infatti, se l’omesso rinvio pregiudiziale possa essere considerato violazione dei limiti della giurisdizione.
Altro tema è se sussista l’obbligo di tale rinvio. La problematica è stata affrontata dal Supremo Consesso di legittimità, nella sentenza del 18 settembre 2020, n. 19598, in termini innovativi e, a prima lettura, divergenti rispetto alla pronuncia della Corte costituzionale n.
6/2018.
In sostanza, il giudice di legittimità ha sollevato una questione pregiudiziale, ai sensi dell’art. 267 TFUE ed ha rimesso gli atti alla Corte UE, perché ha ritenuto che “la possibilità di giudicare ammissibile il ricorso e dare corso all’esame nel merito dello stesso è ostacolata da una prassi interpretativa nazionale”, contraria al diritto UE, secondo la quale il mancato rinvio pregiudiziale non sarebbe sindacabile dalle SS.UU. nell’ambito dei limiti della ricorribilità per “questioni sulla giurisdizione”.
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Si osserva, innanzitutto, che è la prima volta che un giudice superiore si rivolge ad una corte internazionale per risolvere un contrasto con un altro giudice superiore. Il ricorso proveniva dalla Giustizia amministrativa, ma le parallele situazioni delle due giurisdizioni speciali interessate, la contabile e l’amministrativa, rendono significativa la questione anche nel presente plesso.
Il rinvio pone alla CGUE tre quesiti: se la nozione di motivi «inerenti» ovvero
«attinenti» alla giurisdizione, ai sensi degli artt. 111, comma 8, Cost. e 362, comma 1, c.p.c., recepita dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 6 del 2018, sia compatibile con il diritto europeo, nella parte in cui essa pregiudica «l’uniforme applicazione del diritto dell’Unione e l’effettività della tutela giurisdizionale delle situazioni giuridiche soggettive di rilevanza comunitaria»; se non sia, invece, necessario superare quella nozione restrittiva ed ammettere i ricorsi per cassazione contro le sentenze del Consiglio di Stato, che abbiano violato il diritto europeo e che abbiano omesso il rinvio pregiudiziale alla Corte UE, ai sensi dell’art. 267 TFUE;
se, infine, sia compatibile con il diritto europeo l’orientamento del Consiglio di Stato sulla questione di merito.
Le prospettive di approfondimento sono molteplici e numerosi approfondimenti dottrinali sono stati avviati.
Per rassegnare sinteticamente le questioni aperte, sarà sufficiente considerare i seguenti aspetti: in primo luogo, non è chiaro quale sia l’effetto della violazione dell’obbligo di rinvio pregiudiziale, che potrebbe, in teoria, essere motivo di condanna per lo Stato membro; inoltre, si osserva che far rientrare la mancata sottoposizione della questione alla Corte di Giustizia dell’UE fra le questioni formalmente relative alla giurisdizione attribuisce alla CGUE la natura di “altra” giurisdizione; correlativamente, si potrebbe sostenere che è stata introdotta una qualificazione della CGUE quale “giudice naturale”176, al quale non è consentito sottrarre la cognizione della causa senza dar luogo ad un “diniego di giurisdizione”177; ne consegue, alla stregua di tali interpretazioni, la difficoltà di concepire sia la equiordinazione sia la subordinazione tra le Corti, europea e nazionale.
176 Ai sensi dell’art. 25 della Costituzione. Nella legislazione tedesca, ad esempio, essa è qualificata come “giudice legale”, sicché la sottrazione della questione ad essa è motivo di accesso diretto alla Corte costituzionale federale (Bundesverfassungsgericht), che è ivi non solo “Giudice delle leggi”, ma anche “Giudice dei diritti”.
177 Ciò, peraltro, in aperto contrasto con la pregressa e consolidata affermazione che “il potere interpretativo della Corte di Giustizia Europea non si sostituisce al giudice del caso concreto e permane in via esclusiva al giudice nazionale l’esercizio della funzione giurisdizionale” (Cass., SS.UU. Civ. del 5/7/2013, n. 16886), come recentemente richiamato in Corte dei conti - Sezioni Riunite con la sentenza n. 13 dell’11/5/2020.
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Occorrerà, infine, valutare se questa interpretazione evolutiva del concetto di giurisdizione, che consentirebbe alla Suprema Corte di sindacare non solo le norme che individuano “i presupposti dell’attribuzione del potere giurisdizionale”, ma anche quelle che stabiliscono “le forme di tutela”, attraverso cui la giurisdizione si estrinseca, non conduca ad una forzatura del sistema in aperta contraddizione con la richiamata sentenza n. 6/2018 della Consulta.
Occorre, infine, notare che lo stesso giudice di legittimità richiama un caso deciso dalla CGUE su questione analoga a quella del merito, rendendo per ciò stesso meno giustificabile un nuovo rinvio, data la presenza del precedente.
Si è anche notato che la Corte di cassazione non si è mai pronunciata, in termini di questione di giurisdizione, per ipotesi analoghe in senso lato, di mancata remissione alla Corte costituzionale in un giudizio svoltosi in una delle giurisdizioni speciali.
Il pronunciamento della Corte di Giustizia UE, se vorrà farsi carico ampiamente della questione, sarà sui vari punti estremamente interessante.