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I casi di maggiore ricorrenza e attualità

LA GIURISPRUDENZA DELLE SEZIONI CENTRALI DI APPELLO E DELLA SEZIONE GIURISDIZIONALE DI APPELLO PER LA REGIONE SICILIA

3 I casi di maggiore ricorrenza e attualità

Senza pretesa di esaustività, stante la congerie delle fattispecie esaminate da tutte le Sezioni di appello, si riportano i casi ritenuti di particolare rilevanza sia per l’importanza delle questioni trattate che per la loro novità interpretativa o fattuale.

Numerosi i casi relativi a responsabilità derivante dall’omessa autorizzazione di incarichi esterni, con conseguente responsabilità per la percezione indebita di emolumenti dovuti per attività svolta in esclusiva ovvero per l’omesso riversamento dei compensi all’amministrazione di appartenenza, ai sensi dell’art. 53, commi 7 e 7-bis, del d. lgs. n. 165 del

134 2001.

Con riguardo ai docenti universitari, la decisione n. 160/2020 della II Sezione centrale ha statuito che solo dall’entrata in vigore della legge 30 dicembre 2010, n. 240 (c.d. “Gelmini”) e, cioè, dal 1° gennaio 2011, le attività dei professori a tempo definito non sono soggette ad autorizzazione preventiva, mentre l’obbligo di comunicazione è rimesso agli statuti ed agli ordinamenti interni agli atenei, discendendo direttamente, tale possibilità, dalla scelta di un rapporto non esclusivo con l’università.

In ogni caso, anche nella normativa previgente, per lo svolgimento di attività libero-professionale occorreva l’opzione, da parte del personale docente universitario, per il regime a tempo definito, con conseguente applicazione in assenza di tale scelta del restrittivo limite previsto dall’art. 1 d.l. n. 57 del 1987.

Con decisione della medesima Sezione II n. 147/2020, è stato, altresì, ribadito che la responsabilità di cui trattasi è risarcitoria ma tipizzata, essendo ben distinti il dovere di esclusività del rapporto del pubblico dipendente con l’amministrazione datrice di lavoro, derogabile mediante l’autorizzazione di quest’ultima, nonché la violazione dell’obbligo di riversamento del compenso da parte dell’indebito percettore, per cui si realizza una netta separazione e un’inevitabile autonomia tra l’azione che l’amministrazione può intraprendere per il recupero dell’aliunde perceptum e quella che può essere promossa dal p.m. contabile.

In tale materia è stata esclusa valenza positiva al silenzio serbato dall’amministrazione di appartenenza su domande di dipendenti su prestazioni o incarichi esterni, dovendosi ritenere, invece, che la disciplina contenuta nei commi 7 e ss., dell’art. art. 53 T.U.P.I, espressamente attribuisce al silenzio della P.A., datrice di lavoro, il valore di rigetto dell’istanza e non di assenso, che riguarda solo gli incarichi conferiti da enti pubblici e non privati (cfr. comma 10)150.

Sempre in materia di incarichi svolti senza autorizzazione, è stato ritenuto che l’art. 72, comma 7, della legge n. 448 del 1998, nella parte in cui sanziona con la risoluzione del rapporto di lavoro e la restituzione dei proventi tra un minimo e un massimo nel caso di conflitto di interessi o di situazioni che comunque implichino forme di concorrenza sleale, riguarda il rapporto tra medico e azienda sanitaria ed è distinta rispetto all’azione per il risarcimento del danno erariale.

150 Sentenze, tra le altre, della I Sezione centrale: n. 4 del 10.1.2020; n. 36 del 3.3.2020; n. 49 del 18.3.2020; n.

260 del 12.10.20; Sez. III centrale, nn. 75 e 103/2020; Sez. App. Sicilia, n. 49/2020.

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La struttura sanitaria, che non abbia risposto all’istanza di autorizzazione del medico all’esercizio di attività libero-professionale extramuraria, non concorre con il sanitario nella realizzazione dell’evento dannoso, essendo addebitabile esclusivamente a costui la scelta, contra legem, di intraprendere l’attività vietata, percependo le indennità di esclusiva non dovute (II Sez. centrale, sent. n. 147/2020).

In materia di violazione del principio di omnicomprensività della retribuzione, la III Sez. centrale, con sentenza n. 65/2020, ha analizzato la fattispecie relativa ad ipotesi di responsabilità amministrativo-contabile connessa alla illegittima erogazione, in favore di direttore generale e segretario generale, di emolumenti aggiuntivi, quali componenti del nucleo di valutazione.

Il Collegio si pone e risolve, positivamente, il problema dell’applicabilità del predetto principio alle figure peculiari, come il direttore generale (“Pertanto, il direttore generale, pur essendo investito di compiti e funzioni che valgono a conferirgli una posizione differenziata rispetto a quella degli altri dirigenti, è esso stesso un dirigente (in questi termini, Cass. civ., SS.UU., sent. n. 13538 del 12 giugno 2006)”) ed il segretario generale (“condividendo la prospettazione accusatoria, deve, pertanto, ritenersi che anche i compensi corrisposti, nella sua qualità di componente del nucleo di valutazione, al segretario generale, costituiscano una duplicazione di retribuzione in quanto remunerative, non di funzioni aggiuntive ma, di compiti già rientranti tra quelli propri d’istituto e nelle attribuzioni dirigenziali, vale a dire danno erariale”).

La Sez. App. Sicilia, con sentenza n. 21/2020, ha ritenuto che, in analoga materia, la richiesta di condanna per l’intero importo delle retribuzioni percepite non potesse essere accolta, tenuto conto delle utilità tratte dalle prestazioni lavorative regolarmente rese dal docente.

D’altra parte, però, la domanda ha meritato accoglimento limitatamente alle quote di retribuzione percepite dal professore a titolo di indennità per il regime di docenza a tempo pieno, atteso che, in relazione a tali specifiche quote, può affermarsi che sia effettivamente venuto meno il rapporto sinallagmatico (cfr. anche, della stessa Sez. Sicilia, sent. n. 49/2020).

Nello stesso senso, la medesima Sez. App. Sicilia (sentt. nn. 64 e 65/2020) ha accolto l’appello di parte privata, su analoga fattispecie, ritenendo l’assenza di elemento psicologico, attesa la natura di consulenza scientifica degli incarichi in esame e la conoscenza dell’Ateneo di appartenenza del docente appellante.

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Molto numerosi i giudizi in materia di indebita percezione di contributi statali, regionali e comunitari. Con particolare riferimento ai finanziamenti a carico del Fondo Europeo Agricolo di Garanzia (F.E.A.G.A.) erogati dall’AGEA, è stata ribadita la necessità di dimostrazione, da parte del richiedente, della disponibilità dei fondi in qualità di proprietario ovvero in forza di contratti per il godimento dei beni (affitto, locazione, comodato) o della costituzione di diritti reali.

Infatti, l’art. 9 del D.M. 20 marzo 2015 si è limitato ad introdurre una presunzione nell’accertamento della detenzione del titolo da parte del produttore o del legittimo possesso delle aree dichiarate, che non costituisce, in alcun modo, il superamento del predetto principio, attesa la disciplina comunitaria per il riconoscimento delle sovvenzioni in agricoltura (regolamenti CE n. 1251/1999, n. 1782/2009, 73/2009), per la quale il presupposto indefettibile è la disponibilità di terreni.

Gli Stati membri, al riguardo, sono legittimati ad introdurre precisazioni in ordine alle prove da fornire a sostegno di una domanda di aiuti, facendo riferimento a prassi abituali sul loro territorio nel settore dell’agricoltura, relative al godimento e all’utilizzazione delle superfici foraggere, nonché ai titoli da produrre a proposito di tale utilizzazione, ma devono garantire che le domande di aiuto siano corredate degli elementi o documenti al fine di localizzare e misurare ciascuna parcella agricole. L’esistenza di un titolo valido non può ritenersi surrogabile con equipollenti, che sfuggirebbero a qualsivoglia tipologia di controllo (II Sez. centrale, sentt. nn. 118/2020; 151/2020; 154/2020).

Sempre in materia di indebita percezione di contributi agricoli relativi alle domande di aiuto per le campagne 2007/2013 ed alle istanze per le misure derivanti dal Piano di Sviluppo Rurale (PRS) Sicilia per le medesime annualità, va segnalata la sentenza della Sez. App. Sicilia n. 1/2020.

Il PM contabile ha contestato all’appellante di aver dichiarato falsamente la disponibilità di alcuni fondi rustici, supportata da contratti di locazione stipulati con soggetti che, tuttavia, risultavano deceduti in data anteriore alla decorrenza dei rispettivi atti (appello rigettato)151.

Con sentenza n. 10/2020, la Sez. App. Sicilia ha ritenuto, rigettando l’appello, che un finanziamento pubblico doveva considerarsi illecitamente percepito, essendo emersa un’articolata trama fraudolenta, appositamente finalizzata a rappresentare fittiziamente all’amministrazione erogatrice la sussistenza di situazioni aziendali e l’esecuzione di

151 Nello stesso senso, Sez. App. Sicilia, sentt. n. 24/2020, n. 29/2020 e n. 61/2020.

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adempimenti previsti nel programma imprenditoriale approvato, in realtà inesistenti (solidità patrimoniale e finanziaria della ditta e dei suoi soci, apporto di adeguate risorse finanziarie da parte dei soci per la realizzazione degli investimenti preventivati), nonché l’effettuazione di spese (per acquisti di un immobile industriale, di impianti ed attrezzature varie ecc.).

In materia di contributi a emittente televisiva, in ipotesi di condanna in primo grado di una emittente al risarcimento del danno erariale, nei confronti del Ministero dello Sviluppo Economico, derivante dalla percezione di contributi finanziari all’emittenza, ex art. 45, co. 3, L. n. 448/1998 parzialmente indebiti, in quanto fondati su dichiarazioni dell’impresa non veritiere in ordine ai dati di fatturato e di personale impiegato, la Procura, invocando una nozione rigorosa e formale di fatturato, contestava che l’emittente avesse indicato, nelle domande per la relativa concessione, un fatturato superiore a quello effettivamente prodotto, ricomprendendovi, in specie, anche quello proveniente da attività non televisive (forniture di calendari, sponsorizzazioni, depliants pubblicitari, cessione di attrezzature elettroniche).

La tesi dell’appellante è che, in presenza di un paradigma legale di riferimento, vada data preferenza alla nozione di fatturato complessivo. In tale fattispecie, ad avviso del collegio d’appello, la lettera del regolamento e, più in generale, lo spirito complessivo del sistema agevolativo, volto ad incentivare l’attività effettivamente svolta dalla singola emittente, impongono di identificare il parametro valutativo del fatturato, richiamato dal D.M. 292/2004, con quello relativo all’attività propriamente televisiva posta in essere dalle emittenti e non ad altra o diversa attività (così, Sez. III centrale, sent. n. 99/202).

Interessanti considerazioni in tema di danno all’erario comunitario sono state svolte dalla Sez. II centrale d’appello con sentenza n. 313 del 30.12.2020, ove si è chiarito che “deve ritenersi che l’intero ammontare del finanziamento percepito dalla società costituisca danno, in ragione del fatto che l’erogazione è stata basata su dichiarazioni intenzionalmente fraudolente e su documentazione risultata poi falsa. …. L’atto lesivo degli interessi finanziari della Comunità coincide, dunque, con una irregolarità nell’ambito della quale va ricompresa anche la frode, che altro non è che una irregolarità qualificata dall’intenzionalità dell’azione od omissione e dalle modalità di esecuzione: “ogni irregolarità comporta, in linea generale, la revoca del vantaggio indebitamente ottenuto, mediante l'obbligo di versare o rimborsare gli importi dovuti o indebitamente percetti (così testualmente, l’art. 4 del detto reg. CE). La gravità dei fatti contestati, sussumibili sotto l’ampia categoria delle “irregolarità” ma integranti la vera e propria frode, conferma che l’intero contributo deve essere revocato, con la

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consequenziale responsabilità per l’intero ammontare di quanto percepito”.

In materia di assenteismo, di particolare rilievo la decisione n. 146/2020 della II Sez.

centrale, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 61 del 2020, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’ultimo periodo del comma 3-quater dell’art. 55-quater del d.

lgs. n. 165 del 2001, nonché del secondo, terzo e quarto periodo del comma 3-quater dell’art.

55-quater del d. lgs. n. 165 del 2001 per contrasto con l’art. 76 della Costituzione.

Secondo la pronuncia, la sentenza non incide sull’art. 55-quinquies, se non limitatamente all’ultimo periodo, che rimanda al precedente art. 55-quater, comma 3-quater.

Di conseguenza, la previsione della risarcibilità del danno all’immagine, senza ulteriori specificazioni, è rimasta intatta.

Detta previsione, pur se coeva alla fattispecie prevista dall’art. 17, comma 30-ter del d.l.

n. 78 del 2009, convertito dalla legge n. 102 del 2009, presenta caratteri di specificità ed autonomia e non richiede la condanna penale, passata in giudicato, per uno dei reati previsti dall’art. 7 della legge n. 97 del 2001.

Infatti, nell’ipotesi di falsa attestazione della presenza in servizio, mediante alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente ovvero di giustificazione dell’assenza dal servizio, mediante una certificazione medica falsa o che attesti falsamente uno stato di malattia, viene in rilievo un apprezzamento specifico del legislatore in ordine alle conseguenze pregiudizievoli della condotta antigiuridica, tutelato anche mediante l’introduzione di una nuova norma penale incriminatrice.

Sempre attuale la materia del danno all’immagine, oggetto di controversia sia per quanto riguarda i reati-presupposto, dopo l’entrata in vigore del codice di giustizia contabile (anche alla luce delle numerose pronunce costituzionali al riguardo), sia in ordine alla nozione di “sentenza irrevocabile di condanna”, che è stata interpretata in maniera estensiva da alcune Sezioni regionali ed è giunta, nell’anno 2020, allo scrutinio in appello.

Sotto il primo profilo, la sentenza n. 66 del 2020 della Sezione III centrale152 ha respinto la tesi, prevalente in primo grado, secondo la quale il perimetro di applicazione dell’azione risarcitoria per il danno all’immagine sarebbe stato ampliato. Analizzando la natura del rinvio all’art. 7 della legge n. 97 del 2001, ad opera dell’art. 17, comma 30-ter del d.l. n. 78/2009 e sulla scorta della giurisprudenza costituzionale, si è concluso trattarsi di rinvio fisso o formale

152 La sentenza si segnala, altresì, per un’accurata esegesi dell’origine e della natura del danno all’immagine e dell’evoluzione normativa a partire dagli anni ’90 del secolo scorso.

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e non mobile (o dinamico o materiale). Di conseguenza, il legislatore avrebbe “incorporato”

nell’art. 17 comma 30-ter i casi di esercizio dell’azione erariale per danno all’immagine indicati nell’art. 7 della legge n. 97 del 2001, la cui intervenuta abrogazione, ad opera delle disposizioni transitorie del c.g.c., non avrebbe mutato il quadro normativo.

A sostegno di tale interpretazione, si è osservato che i principi e i criteri direttivi della delega legislativa, di cui all’art. 20 della legge n. 124 del 2015, non si riferiscono ad alcuna modifica sostanziale relativa all’estensione della risarcibilità del danno all’immagine.

Sotto il secondo profilo, la sentenza n. 298 del 2020, della II Sezione centrale, ha riformato, in parte qua, la decisione impugnata, che aveva ritenuto perseguibile anche il danno all’immagine arrecato all’amministrazione, a seguito della commissione del reato di corruzione, ancorchè il processo penale si fosse concluso con una sentenza di non doversi procedere per prescrizione.

La Corte centrale ha sottolineato la natura di norme eccezionale dell’art. 17, comma 30-ter del d.l. n. 78/2009, poi abrogato per effetto dell’art. 1, comma 1, lett. g), Allegato 3 delle norme transitorie del codice di giustizia contabile. Alla stregua di tale interpretazione, ancorata al “significato proprio delle parole secondo la connessione di esse” e dall’intenzione del legislatore, il perimetro di azionabilità del danno all’immagine non è suscettibile di interpretazioni estensive o di analogia, per la preclusione dell’art. 14 delle preleggi.

In tale contesto, deve escludersi che la sentenza declaratoria della prescrizione se, da un verso, non può essere considerata di assoluzione, neppure può ritenersi equivalere ad una sentenza irrevocabile di condanna. Infatti, non sempre l’accertamento della causa estintiva importa accertamento dei fatti. Anzi, nel giudizio penale, l’obbligo di immediata declaratoria di una causa di estinzione del reato previsto dall’art. 129, comma 1, c.p.p., impedisce al giudicante di proseguire oltre nella delibazione del materiale di causa.

Il giudice di appello ha anche negato la compromissione dei valori costituzionali dell’art. 103, comma 2 e dell’art. 97 della Costituzione, a seguito della prescelta ermeneusi, proprio alla luce della copiosa giurisprudenza costituzionale intervenuta nella materia.

È, invece, ormai consolidata la giurisprudenza che ritiene equiparabile a sentenza irrevocabile di condanna quella di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 c.p.p.

Sempre in materia di danno all’immagine, si segnala la sentenza n. 148 del 2020 della II Sezione centrale, che ha fatto il punto su alcuni ulteriori aspetti, in particolare, ribadendo che

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la locuzione dell’art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78 del 2009, convertito dalla legge n. 102 del 2009, nella parte in cui fa espresso riferimento a “dipendenti” delle P.A., non ha affatto un valore esclusivo, né esprime una scelta restrittiva del legislatore che, al contrario, ha dettato una disciplina generale che comprende sia dipendenti che amministratori pubblici.

Ciò alla luce della giurisprudenza costituzionale, per la quale la responsabilità amministrativa, nel cui ambito si iscrive quella per il danno all’immagine, non richiede necessariamente l’esistenza di un rapporto di impiego o la qualità di dipendente, ma il semplice inserimento nell’organizzazione della pubblica amministrazione con lo svolgimento di funzioni proprie della stessa amministrazione.

Sotto il profilo probatorio, la configurazione del danno all’immagine non elide il ricorso alla prova presuntiva di cui all’art. 2729 c.c., per cui possono essere valutati tutti gli indizi gravi, precisi e concordanti che lasciano inferire che tra le conseguenze negative di un illecito penalmente rilevante, ampiamente prevedibili e presumibili alla stregua dell’id quod plerumque accidit, vi sia l’offuscamento dell’immagine e del prestigio della P.A. interessata.

Alla Procura contabile non rimane altro che fornire, alla stregua di quanto accertato dai giudici penali, elementi indizianti di una condotta foriera di un danno non patrimoniale, quali la posizione funzionale dell’autore dell’illecito, la sua gravità, l’utilità tratta dal dipendente infedele, la negativa impressione suscitata nell’opinione pubblica per effetto del clamor fori e/o dello strepitus iudicii.

Sullo stesso argomento, la Sez. II centrale, con sentenza n. 289/2020, ha evidenziato come, nelle ipotesi di falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente ovvero di giustificazione dell'assenza dal servizio, mediante una certificazione medica falsa o che attesti falsamente uno stato di malattia, viene in rilievo, oltre ad una disciplina procedimentale particolare, un apprezzamento specifico del legislatore in ordine alla conseguenze pregiudizievoli della condotta antigiuridica, correlato, inoltre, al rafforzamento della tutela degli interessi retrostanti, mediante l’introduzione di una nuova norma penale incriminatrice.

La disposizione dell’art. 55-quinquies del decreto legislativo n. 165 del 2001 va riguardata quale norma speciale rispetto all’art. 17, comma 30-ter, sicché, alla stregua del principio che regola la successione delle leggi nel tempo, la risarcibilità del danno all’immagine, in ipotesi di assenteismo fraudolento, opera indipendentemente da qualsivoglia condizione sostanziale o processuale non espressamente posta dalla norma che si considera.

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Ne consegue che, ai fini dell’applicazione dell’art. 55-quinquies, si deve prescindere dai requisiti di cui all’art.17, comma 30-ter, del decreto-legge n. 78 del 2009, atteso che la norma non richiede, in particolare, l’accertamento, con sentenza definitiva, della ricorrenza di talune indefettibili fattispecie delittuose, lesive dell’immagine.

Peculiare è poi l’adesione della menzionata pronuncia all’isolato arresto della Corte di cassazione, Sez. III penale,153 secondo cui l’art. 17, comma 30-ter non avrebbe introdotto una riserva di giurisdizione esclusiva in favore del giudice contabile, in quanto si sarebbe limitato a circoscrivere oggettivamente l’ambito di operatività dell’azione, senza introdurre una preclusione alla proposizione della stessa dinanzi al giudice ordinario.

Infine, in ordine alla quantificazione, si è sottolineata l’importanza della posizione apicale dell’agente, avuto riguardo ad un’accezione di immagine intesa non come limitata al prestigio esterno dell’amministrazione, ma anche quale disdoro che dalle condotte illecite ritrae l’intero apparato burocratico.

Su tale tema, è interessante la decisione n. 59/2020 della Sezione II centrale, secondo cui non costituiscono causa idonea ad incidere sulla quantificazione del danno all’immagine la patologia psichiatrica ovvero situazioni di fatto (condizioni economiche precarie, presenza nel nucleo familiare di un figlio minore, pregresso lodevole servizio presso l’amministrazione del Ministero dell’interno), nel caso di danno arrecato a seguito della commissione continuata del delitto di cui all’art. 319-ter c.p., consistente nell’aver ripetutamente richiesto ed ottenuto, da parte di appartenenti alla Polizia di Stato, prestazioni sessuali da soggetti sottoposti al controllo della regolarità del permesso di soggiorno in Italia.

Con riferimento alla categoria del danno da disservizio, pur nella difficoltà di enucleazione e conseguente dimostrazione di tale tipo di danno, si annoverano numerose sentenze in materia. Tra tutte si segnala la decisione della Sez. III centrale n. 159 del 2020, che ha affermato una nozione lata di tale danno, inteso come “lesione al patrimonio inteso come complesso degli interessi pubblici dell’Amministrazione suscettibili di valutazione economica”.

È stato riconosciuto, così, il danno da disservizio conseguente all’esercizio illecito di pubbliche funzioni, altrimenti detto “danno da servizio apparente” o “disservizio in senso ampio”, caratterizzato dall’interruzione del rapporto di immedesimazione organica e dallo sviamento delle funzioni istituzionali a fini egoistici contrapposti a quelli perseguiti dall’ordinamento, che interrompe il sinallagma funzionale con riferimento all’intera

153 Cass., Sez. III pen., sent. 6.6.2017, n. 38932.

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prestazione resa che, per tale motivo, risulta “desostanziata”.

Al riguardo, la II Sez. centrale ha riconosciuto il danno da disservizio conseguente alla totale revisione della contabilità dei lavori appaltati, con conseguente attività ulteriore (sospensione di pagamenti e richiesta di emissione di note di accredito), con disarticolazione dei processi organizzativi e di funzionamento dell’amministrazione, mancata resa del servizio pubblico mediante sviamento della funzione pubblica asservita ad attività corruttiva154.

Inoltre, la decisione n. 157 del 2020 della Sezione II centrale ha riconosciuto il danno da disservizio quando, per riparare alle condotte illecite che hanno reso inattendibile la contabilità e lacunosa la relativa documentazione, questa sia costretta ad affiancare al servizio

Inoltre, la decisione n. 157 del 2020 della Sezione II centrale ha riconosciuto il danno da disservizio quando, per riparare alle condotte illecite che hanno reso inattendibile la contabilità e lacunosa la relativa documentazione, questa sia costretta ad affiancare al servizio

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