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La quaestio iuris della rendicontazione regionale: gli arresti della Corte costituzionale

LE PIÙ SIGNIFICATIVE PRONUNCE DEL 2020 RESE DAL GIUDICE DELLE LEGGI E DAL SUPREMO CONSESSO DI LEGITTIMITÀ NELLE MATERIE DI

3. La quaestio iuris della rendicontazione regionale: gli arresti della Corte costituzionale

In ordine all’ordinamento contabile regionale e, più in particolare, alla vicenda relativa al termine di approvazione del rendiconto della Regione Valle d’Aosta, merita menzione la sentenza n. 250/2020 del 26.11.2020, pronunciata dalla Corte costituzionale su impugnazioni proposte in via principale dal Governo avverso diverse disposizioni legislative della Regione autonoma Valle d’Aosta.

La Consulta, intervenuta sul punto di diritto, mentre ha respinto, ritenendone l’infondatezza, le censure proposte avverso le altre disposizioni impugnate72, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 6, della L.R. 24 aprile 2019, n. 4, che ha differito

72 Il Governo aveva, inoltre, censurato: - l’art. 1, comma 4, della L.R. n. 1 del 2019, che, nell’inserire il comma 5-bis all’art. 6 della L.R. 24.12.2018, n. 12, ha attribuito agli enti locali la facoltà, per l’anno 2019, di «avvalersi di personale a tempo determinato o con convenzioni ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa nel limite del 70 per cento della media della spesa sostenuta nel triennio 2007/2009 per le medesime finalità, in riferimento all’art. 117, commi secondo, lettera l), e terzo, della Costituzione, che riserva alla competenza esclusiva dello Stato la materia dell’ordinamento civile, in quanto violerebbe il divieto per le pubbliche amministrazioni di stipulare contratti di collaborazione coordinata e continuativa a decorrere dal 1° luglio 2019, previsto dal combinato disposto dell’art. 7, comma 5-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e dell’art. 22, comma 8, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, nonché il comma 6 del medesimo art. 7 del d.lgs. n. 165 del 2001, che stabilisce i presupposti di legittimità richiesti per la stipula da parte delle pubbliche amministrazioni di contratti di lavoro autonomo, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., avuto riguardo alla competenza statale in materia di coordinamento della finanza pubblica, in quanto non contempla il rispetto del limite del 50 per cento della spesa sostenuta per le stesse finalità nell’anno 2009, stabilito dalla norma interposta di cui all’art. 9, comma 28, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78. Le censure sono state disattese dal Giudice delle leggi che ha individuato la finalità perseguita dal legislatore regionale in quella di consentire per l’anno 2019 agli enti regionali di avvalersi di personale ricorrendo ad alcune tipologie flessibili di rapporto di lavoro, tra le quali i contratti di collaborazione coordinata e continuativa, entro determinati limiti di spesa, ma pur sempre nel rispetto delle condizioni e dei requisiti previsti per la stipula di tali contratti dal legislatore nazionale, ivi compreso, pertanto, il rispetto del suddetto termine del 30 giugno 2019 ed ha ritenuto che il parametro interposto costituito dall’art. 9, comma 28, del D.L. n. 78 del 2010, non sia direttamente applicabile alla Regione Valle d’Aosta, “atteso lo specifico quadro regolatorio in materia di concorso della medesima Regione all’assolvimento degli obblighi derivanti dalle misure di coordinamento della finanza pubblica stabilite dalla normativa statale”; - l’art. 6, settimo comma, della L.R. n. 4/2019, nella parte in cui conferma quanto previsto dall’art. 6, comma 5-bis, della L.R. n.

12/2018, per contrasto con l’art. 2 dello statuto speciale per la Valle d’Aosta e con l’art. 117, terzo comma, Cost., in riferimento alla competenza statale in materia di coordinamento della finanza pubblica: censure disattese dalla Corte costituzionale con il richiamo alle considerazioni esposte con riferimento alla norma confermata; - l’art. 2 della medesima L.R. 1/2019, che differisce di un anno, ovvero al 2021, il triennio di operatività (2018-2020) della disciplina relativa alle progressioni verticali previsto dall’art. 22, comma 15, del d.lgs. n. 75 del 2017, per contrasto con gli artt. 117, secondo comma, lett. l), 3, 51, primo comma e 97 quarto comma. Cost. poiché prevede una disciplina delle progressioni di carriera del personale regionale (nella specie, le cosiddette progressioni verticali tra le aree mediante concorsi interamente riservati) difforme per durata a quanto contemplato dall’art. 22, comma 15, del d.lgs. n. 75 del 2017. introducendo una disciplina di favore per il personale della sola Regione autonoma Valle d’Aosta in violazione del principio di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione e di accesso al pubblico impiego mediante concorso: la censura è stata disattesa dalla Corte costituzionale che ha ritenuto che la disposizione impugnata non incida sulla struttura della disposizione statale, ovvero sui requisiti per accedere alle progressioni verticali né sul procedimento previsto, limitandosi a differirne l’operatività di un anno (differimento causato da problemi organizzativi riscontrati in sede attuativa della disposizione statale) e non costituisca una violazione della competenza statale in materia di «ordinamento civile», bensì esercizio della competenza regionale in materia di ordinamento e organizzazione degli uffici, volto ad adattare a specifiche motivate esigenze l’assetto normativo dettato dall’ordinamento statale con l’art. 22, comma 15, del d.lgs. n. 75 del 2017, adeguando il periodo di vigenza da esso previsto alla peculiare situazione verificatasi nell’ambito regionale.

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al 31 maggio 2019 il termine di approvazione da parte degli enti locali regionali del rendiconto della gestione dell’esercizio finanziario 2018.

Nel dettaglio, disattese le eccezioni di inammissibilità proposte dalla Regione resistente, la Corte costituzionale ha “evidenziato che la scansione temporale degli adempimenti del ciclo di bilancio, dettati dalla normativa statale, risulta funzionale a realizzare la unitaria rappresentazione dei dati della contabilità nazionale, e si impone anche alle Regioni a statuto speciale, in quanto parti della “finanza pubblica allargata” e che, in questa prospettiva, il differimento del termine di uno degli adempimenti cardine di tale ciclo, quale è l’approvazione del rendiconto della gestione, non configura uno scostamento meramente formale, atteso che

«la sincronia delle procedure di bilancio è collegata alla programmazione finanziaria statale»

e alla redazione delle connesse manovre finanziarie, operazioni che richiedono la previa conoscenza da parte dello Stato di tutti i fattori che incidono sugli equilibri complessivi e sul rispetto dei vincoli nazionali ed europei”.

Muovendo da tali assunti giuridici, l’Alta Corte ha specificato che “la tempistica dettata dal legislatore statale per l’approvazione dei documenti di bilancio, nel costituire elemento coessenziale per il conseguimento dell’indicato obiettivo, è sottratta alla possibilità di interventi anche da parte delle Regioni a statuto speciale” e “ciò al fine di evitare una nuova frammentazione del quadro regolatorio, che la competenza esclusiva assegnata allo Stato in sede di riforma della Carta costituzionale ha inteso superare allo scopo di assicurare un contestuale, e dunque efficace, monitoraggio degli andamenti della finanza pubblica”, osservando, altresì, come “il rilievo dell’ottemperanza del termine annuale dettato dalla disciplina statale per l’approvazione del rendiconto trova implicita conferma nel principio contabile generale costituito dalla “annualità” dell’approvazione dei documenti di bilancio, sia di previsione che di rendicontazione, contemplato all’Allegato 1 del d.lgs. n. 118 del 2011, come affermato dall’art. 3 del medesimo decreto legislativo”, per cui “non rileva, dunque, che lo scostamento stabilito dalla disposizione impugnata sia di un solo mese”.

Con la riportata pronuncia, il Giudice delle leggi ha, inoltre, disatteso l’assunto della difesa regionale per cui in ragione della specifica funzione del rendiconto, quale strumento che consente al corpo elettorale di verificare l’attuazione del programma proposto dagli amministratori, non sarebbe ravvisabile un interesse costituzionalmente rilevante alla relativa approvazione sincronica, che non sarebbe “strumentale e servente rispetto al coordinamento della finanza pubblica”, come invece nel caso dell’approvazione del bilancio preventivo.

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Ha osservato, infatti, il Collegio costituzionale che “il rendiconto opera in termini di responsabilità degli amministratori per l’impiego di risorse finanziarie pubbliche nel rispetto dei canoni di legalità, efficienza, efficacia ed economicità della gestione amministrativa” e che

“in tal modo esso assicura certamente anche la funzione evidenziata dalla difesa regionale che, tuttavia, tralascia di considerare la connotazione e le implicazioni prettamente giuridiche del rendiconto, come strumento di verifica della regolarità dei conti e della correttezza delle spese effettuate dalle pubbliche amministrazioni, ai fini della chiusura del ciclo di bilancio attraverso il confronto con i dati previsionali”, rilevando che “la stessa magistratura contabile ha ripetutamente evidenziato che il rendiconto della gestione «rappresenta un momento essenziale del processo di pianificazione e di controllo sul quale si articola l’intera gestione dell’ente, in grado di contenere informazioni comparative e di misurare i valori della previsione definitiva confrontandoli con quelli risultanti dalla concreta realizzazione dei programmi e degli indirizzi politici, vale a dire dei risultati, valutandone gli eventuali scostamenti e analizzandone le ragioni»” e che “l’esigenza del rispetto del termine posto dal legislatore statale è tanto più evidente ove si consideri che dall’approvazione del rendiconto decorre quello di trasmissione dei dati da parte dell’amministrazione interessata alla Banca dati delle amministrazioni pubbliche (BDAP), di cui all’art. 13 della L. 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica)”, per cui “il rendiconto assume, nell’ambito dell’armonizzazione della finanza pubblica, rilievo analogo a quello del bilancio di previsione, operando sinergicamente con esso, nella comune funzione di complessiva legittimazione dell’operato dell’

amministrazione nell’ambito del ciclo di bilancio, e nel costituire la base per la costruzione dei dati nazionali utili alla programmazione finanziaria dello Stato, alla verifica dell’osservanza degli impegni assunti a livello nazionale ed europeo, alla determinazione delle conseguenti manovre di bilancio”.

Con riguardo, invece, alle altre questioni di l.c. sollevate in sede di parificazione dei rendiconti regionali e di province autonome, occorre, innanzitutto, prendere in considerazione le rimostranze che hanno investito il settore della finanza pubblica riconducibili al territorio nazionale della provincia autonoma di Trento, in ordine alla vicenda dei rimborsi delle spese legali in favore dei dipendenti.

In particolare, con sentenza n. 189/2020 del 31.07.2020, la Corte costituzionale ha disatteso, dichiarandole inammissibili e/o infondate, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 92 della L.P. Trento 29.04.1983, n.12, che disciplina il rimborso da parte della

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Provincia autonoma delle spese processuali sostenute dai suoi dipendenti, amministratori e incaricati per la difesa nei giudizi civili, penali, contabili e disciplinari in cui siano stati coinvolti in ragione del servizio, delle funzioni o dei compiti espletati, e dell’art. 18 della L.P. Trento n.

3 del 1999 – così come modificato dall’art. 28, comma 1, della L.P. Trento 22 aprile 2014, n. 1 – che, nel fornire l’interpretazione autentica del richiamato art. 92, prevede che quest’ultimo

«s’interpreta nel senso di riconoscere il rimborso anche delle spese legali, peritali e di giustizia sostenute per la difesa nelle fasi preliminari di giudizi civili, penali e contabili; s’interpreta, inoltre, nel senso che il rimborso delle spese legali è riconosciuto anche nei casi in cui è stata disposta l’archiviazione del procedimento penale o del procedimento volto all’ accertamento della responsabilità amministrativa o contabile».

Le censure de quibus sono state sollevate dinanzi alla Consulta costituzionale dalle Sezioni Riunite di controllo per la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, in quanto emerse in sede di esame del rendiconto generale della Provincia autonoma di Trento per l’esercizio finanziario 2018.

L’organo di controllo, dubitando della legittimità costituzionale delle norme citate (che hanno consentito il pagamento di euro 146.176,08 a titolo di rimborso degli oneri sopportati dai dipendenti provinciali nell’ambito di procedimenti contabili definiti con l’archiviazione, ai sensi dell’art. 69 c.g.c. o di giudizi di responsabilità amministrativo-contabile conclusi con pronunce in rito) ha provveduto alla parificazione parziale del rendiconto, mentre ha sospeso il relativo giudizio con riferimento al capitolo per rimborso delle spese legali, rimettendo gli atti al Palazzo della Consulta per la soluzione della questione di legittimità costituzionale.

Nel dettaglio, le discusse disposizioni entrerebbero in collisione con il dettato costituzionale contenuto agli artt. 3 e 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto inciderebbero sulle materie «ordinamento civile», «giurisdizione e norme processuali» e

«giustizia amministrativa», cui sarebbe da ricondurre quella contabile e, nell’ampliare le ipotesi di rimborso rispetto a quanto previsto dal legislatore statale73, determinerebbero un aggravio della spesa, tale da incidere negativamente sugli equilibri di bilancio, in violazione degli artt.

81, 97, primo comma, e 119, primo comma, Cost.

Il Giudice delle leggi, ritenuta la rilevanza della questione74 e ravvisate nel

73 Cfr. gli artt. 3, comma 2-bis, del D.L. 23.10.1996, n. 543 convertito, con modificazioni, nella L. 20.12.1996, n.

639, 18, primo comma, D.L. 25.03.1997, n. 67, convertito, con modificazioni, nella L. 23.05.1997, n. 135, oggetto d’ interpretazione autentica a opera dell’art. 10-bis, decimo comma, D.L. 30.09.2005, n. 203 convertito, con modificazioni, nella L. 02.12.2005, n. 248, nonché l’art. 31, secondo comma, c.g.c. (D.Lgs. n. 174/2016).

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procedimento di parificazione tutte le condizioni necessarie per promuovere questioni di legittimità costituzionale in via incidentale75, evidenziato che nel caso di specie, la normativa censurata va identificata nell’art. 18, comma 1, della L.P. Trento n. 3 del 1999, il quale, presentandosi come disposizione di interpretazione autentica dell’art. 92, comma 1, della legge prov. Trento n. 12 del 1983, ma essendo cionondimeno innovativo, riconosce: a) «il rimborso anche delle spese legali, peritali e di giustizia sostenute per la difesa nelle fasi preliminari di giudizi […] contabili» (primo periodo); nonché, b) «il rimborso delle spese legali […] anche nei casi in cui è stata disposta l’archiviazione […] del procedimento volto all’accertamento della responsabilità amministrativa o contabile» (secondo periodo), e ritenute, di converso, inammissibili, per difetto di rilevanza nel giudizio a quo, le questioni relative all’art. 92 L.P.

Trento n. 12 del 1983, nel merito della questione di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 1, della L.P. Trento n. 3 del 1999, ha ritenuto che la stessa non sia fondata.

In proposito, premesso che “la disciplina del trattamento giuridico e economico dei dipendenti pubblici, anche delle Regioni e delle Province autonome, va ricondotta, per i profili privatizzati del rapporto, alla materia dell’ordinamento civile e quindi alla competenza

74 La Corte costituzionale ha disatteso preliminarmente l’eccezione della Provincia autonoma per cui la Corte dei conti avrebbe dovuto limitarsi alla verifica della corrispondenza tra i fatti gestionali esposti nelle scritture contabili e il rendiconto generale, anziché svolgere un controllo delle possibili illegittimità di voci di spesa connesse alla dedotta illegittimità costituzionale delle leggi che le hanno autorizzate. Ha evidenziato, in proposito, la Corte costituzionale come il procedimento di parifica sia “ascrivibile al novero dei «controlli di legittimità-regolarità delle sezioni regionali della Corte dei conti sui bilanci consuntivi degli enti territoriali»” (sentenza n. 101 del 2018). In tale sede, “la situazione è, dunque, analoga a quella in cui si trova un qualsiasi giudice (ordinario o speciale), allorché procede a raffrontare i fatti e gli atti dei quali deve giudicare alle leggi che li concernono”

(sentenza n. 226 del 1976), “[…], risolvendosi nel valutare la conformità degli atti che ne formano oggetto alle norme del diritto oggettivo (sentenza n. 89 del 2017). È evidente che, ove queste ultime siano costituzionalmente illegittime e tali siano dichiarate, il citato giudizio di conformità non possa avere esito positivo e, quindi, condurre alla «parificazione degli specifici capitoli del rendiconto regionale, dunque delle spese che su di essi gravano»

(sentenza n. 146 del 2019) e come nella fattispecie, infatti, il rimborso sarebbe avvenuto «senza fondamento normativo e senza valida copertura finanziaria, mancandone i presupposti legittimanti, con conseguente incidenza sull’equilibrio finanziario dell’ente. Tuttavia, la vigenza della legge […] imporrebbe alla sezione di controllo di validare il risultato di amministrazione, salva appunto la possibilità di sollevare la questione di costituzionalità»

(ex plurimis, sentenza n. 112 del 2020), onde la sussistenza della rilevanza”.

75 “…vale a dire: «a) applicazione di parametri normativi; b) giustiziabilità del provvedimento in relazione a situazioni soggettive dell’ente territoriale eventualmente coinvolte (ai sensi dell’art. 1, comma 12, del d.l. n. 174 del 2012), in considerazione della circostanza che l’interesse alla legalità finanziaria, perseguito dall’ente controllante, connesso a quello dei contribuenti, è distinto e divergente dall’interesse degli enti controllati, e potrebbe essere illegittimamente sacrificato, senza poter essere fatto valere, se il magistrato non potesse sollevare la questione sulle norme che si trova ad applicare e della cui conformità alla Costituzione dubita; c) pieno contraddittorio, sia nell’ambito del giudizio di parifica esercitato dalla sezione di controllo della Corte dei conti, sia nell’eventuale giudizio ad istanza di parte, qualora quest’ultimo venga avviato dall’ente territoriale cui si rivolge la parifica, garantito anche dal coinvolgimento del pubblico ministero, a tutela dell’interesse generale oggettivo alla regolarità della gestione finanziaria e patrimoniale dell’ente territoriale (art. 243-quater, comma 5, decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, recante “Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali”) (sentenza n. 89 del 2017)»” (sentenza n. 196 del 2018).

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legislativa statale esclusiva di cui all’art.117, secondo comma, lettera l), Cost.” e che “i profili

“pubblicistico-organizzativi” ad esso afferenti rientrano, invece, nell’ordinamento e organizzazione amministrativa regionale, e quindi nella competenza legislativa residuale delle Regioni prevista dall’art. 117, quarto comma, Cost.” e che, “infine, la disciplina della responsabilità amministrativa, nella quale i profili sostanziali della stessa sono strettamente intrecciati con i poteri del giudice chiamato ad accertarla, è materia di competenza dello Stato e non rientra tra le attribuzioni regionali”, e rilevato che, “nella disciplina oggetto di censura, viene in rilievo l’estensione della rimborsabilità delle spese per attività difensive svolte sia nelle fasi preliminari di giudizi civili, penali e contabili, sia nei procedimenti conclusi con l’archiviazione”, la Corte costituzionale ha ritenuto che la disposizione censurata introduce, per le categorie di giudizi e procedimenti espressamente indicati, una specifica disciplina del rimborso degli oneri della difesa, che attiene ai profili organizzativi dell’ente territoriale e che

“tale intervento attiene non al rapporto di impiego – e quindi alla competenza statale in materia di «ordinamento civile» – bensì al rapporto di servizio e si inserisce nel quadro di un complessivo apparato normativo volto a evitare che il pubblico dipendente possa subire condizionamenti in ragione delle conseguenze economiche di un procedimento giudiziario, anche laddove esso si concluda senza l’ accertamento di responsabilità”.

La Consulta ha inteso, inoltre, specificare come “si tratta, invero, di finalità coerenti con la ratio della disciplina statale”, la cui realizzazione “può avvenire attraverso il riconoscimento del rimborso delle spese sostenute nell’ambito del giudizio di accertamento della responsabilità, ma ciò non esclude che le stesse possano essere perseguite anche mediante l’estensione del rimborso a oneri economici affrontati in fasi procedimentali distinte dal giudizio, ovvero in giudizi definiti per questioni preliminari o pregiudiziali, secondo quanto previsto dalla disposizione censurata, che riconosce il rimborso delle spese sostenute dai dipendenti provinciali per la difesa «nelle fasi preliminari di giudizi civili, penali e contabili»

nonché «nei casi in cui è stata disposta l’archiviazione», che, in quanto volta a soddisfare esigenze di sicuro rilievo pubblicistico, attinenti all’organizzazione dell’ amministrazione provinciale, secondo criteri di efficienza e qualità dei servizi, appare espressione della competenza legislativa primaria in materia di «ordinamento degli uffici e del personale», di cui all’art. 8, numero 1, dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, e non di quelle, evocate dal rimettente, che l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., attribuisce in via esclusiva al legislatore statale, ciò che, da un lato, impedisce, altresì, di ravvisare la lesione

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del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost.76, dall’altro comporta che, parimenti infondate, siano le questioni di legittimità costituzionale, «funzionalmente connesse» alle precedenti, sollevate in riferimento agli artt. 81 e 119, primo comma, Cost., ritenute parimenti non fondate, atteso che una volta riconosciuto che l’art. 18, comma 1, della L.P. Trento n. 3 del 1999 costituisce legittimo esercizio della potestà legislativa primaria di cui all’art. 8, numero 1, dello statuto di autonomia, ed in mancanza di censure attinenti al difetto di copertura degli oneri di spesa ad esso connessi, deve escludersi che da ciò sia conseguita una lesione dei parametri costituzionali evocati, così come, del pari, parimenti infondata, sarebbe la questione di legittimità costituzionale sollevata in riferimento all’art. 103, secondo comma, Cost., atteso che la disciplina provinciale in esame non interferisce con la competenza della Corte dei conti in ordine all’accertamento dell’an della liquidazione delle spese nell’ambito del giudizio contabile e del successivo rimborso al dipendente”.77

76 Principio la cui violazione, nella fattispecie, era stato dedotta dal giudice a quo in correlazione allo scopo, insito nelle materie di competenza esclusiva statale e segnatamente in quella dell’ordinamento civile, di garantire uniformità di trattamento sull’intero territorio nazionale.

77 Per connessione di argomento occorre menzionare la sentenza n. 267/2020 del 09.12.2020 con la quale la Corte costituzione ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, primo comma, del D.L. 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni, nella legge 23 maggio 1997, n. 135, nella parte in cui non prevede che il Ministero della giustizia rimborsi le spese di patrocinio legale al giudice di pace nelle ipotesi e alle condizioni stabilite dalla norma stessa. La questione di legittimità costituzionale della suddetta disposizione normativa è stata sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, primo comma, e 111, primo comma, Cost., dal T.A.R. per il Lazio in un giudizio promosso da un giudice di pace, assolto con sentenza definitiva da un’imputazione di corruzione in atti giudiziari

77 Per connessione di argomento occorre menzionare la sentenza n. 267/2020 del 09.12.2020 con la quale la Corte costituzione ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, primo comma, del D.L. 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni, nella legge 23 maggio 1997, n. 135, nella parte in cui non prevede che il Ministero della giustizia rimborsi le spese di patrocinio legale al giudice di pace nelle ipotesi e alle condizioni stabilite dalla norma stessa. La questione di legittimità costituzionale della suddetta disposizione normativa è stata sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, primo comma, e 111, primo comma, Cost., dal T.A.R. per il Lazio in un giudizio promosso da un giudice di pace, assolto con sentenza definitiva da un’imputazione di corruzione in atti giudiziari

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