• Non ci sono risultati.

La giurisprudenza della Corte di cassazione

LE AZIONI DI RESPONSABILITÀ CONNESSE AI PROFILI DI CORRUZIONE NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

1 La giurisprudenza della Corte di cassazione

1 La giurisprudenza della Corte di cassazione.

Nell’anno 2020, le Sezioni penali della Corte di cassazione hanno avuto, come negli anni precedenti, diverse occasioni per prendere in esame tematiche comuni o affini a quelle che caratterizzano la responsabilità amministrativo-contabile.

Nel presente paragrafo vengono illustrate alcune sentenze emesse, per lo più, in materia di delitti contro la pubblica amministrazione e, pertanto, riconducibili alla nozione di

“corruzione in senso lato” o maladministration, su cui si incentra il sistema delineato dalla l. n.

190/2012 e dalla legislazione che a essa ha dato attuazione.

Ciò allo scopo di porre in rilievo le tendenze interpretative che accomunano gli orientamenti della Corte di cassazione e della Corte dei conti ovvero di evidenziare le differenze tra le linee esegetiche dell’una e dell’altra, di regola, giustificate dalle peculiarità della materia penale e dei princìpi che la regolano.

Con riguardo ai delitti di corruzione in senso stretto, la Suprema Corte ha affermato che, ai fini dell’integrazione del delitto di corruzione in atti giudiziari, è indifferente che l’atto compiuto sia conforme o meno ai doveri d’ufficio, assumendo rilievo preponderante la circostanza che l’autore del fatto sia venuto meno al dovere costituzionale di imparzialità e terzietà soggettiva ed oggettiva, alterando la dialettica processuale (Cass. pen., Sez. VI, 11 febbraio 2020, n. 11626, la quale ha precisato che il reato è configurabile anche nella forma della corruzione susseguente).

Nel contempo, essa ha ritenuto che l’induzione indebita a dare o promettere utilità può essere, alternativamente, esercitata dal pubblico agente, mediante l’abuso dei poteri, consistente nella prospettazione dell’esercizio delle proprie potestà funzionali per scopi diversi da quelli leciti ovvero con l’abuso della qualità, consistente nella strumentalizzazione della posizione

176

rivestita all’interno della pubblica amministrazione, anche indipendentemente dalla sfera di competenza specifica (Cass pen., Sez. VI, 6 febbraio 2020, n. 7971, inerente a una richiesta di danaro, ritenuta integrare abuso della qualità, rivolta da un cancelliere agli amministratori di un’azienda coinvolta in un’indagine, accreditando loro la possibilità di incidere, come impiegato dell’ufficio, sui tempi e sugli esiti del procedimento).

Con riferimento, invece, al reato di abuso d’ufficio, è stato evidenziato che esso è integrato dalla condotta del responsabile di un ufficio pubblico, che ricorra arbitrariamente e sistematicamente alla collaborazione di personale esterno, pur potendo far fronte alle esigenze istituzionali attraverso il personale interno, arrecando vantaggio al privato cui conferisce incarichi retribuiti, sussistendo, in tal caso, il profilo della c.d. doppia ingiustizia (Cass. pen., Sez. VI, 6 febbraio 2020, n. 7972).

A tal proposito, si è ritenuto che l’ingiustizia del vantaggio patrimoniale procurato o del danno arrecato debba sussistere anche nel caso di violazione dell’obbligo di astensione (Cass.

pen., Sez. VI, 6 febbraio 2020, n. 12075). Si trattava, nella specie, dell’omessa astensione di un sindaco, che aveva preso parte alla delibera di Giunta di riconoscimento di un debito fuori bilancio, in favore di un’impresa, dalla quale era stato convenuto in giudizio, ai sensi dell’art.

191 T.U.E.L., per il soddisfacimento di un credito derivante dall’effettiva esecuzione di lavori pubblici, risultati utili per il Comune.

Alcune delle decisioni emesse hanno avuto per oggetto le modificazioni apportate all’ordinamento penale dalla legislazione dell’emergenza.

Proprio con riguardo all’abuso d’ufficio, va ricordato il d.l. 16 luglio 2020, n. 76, conv.

con l. 11 settembre 2020, n. 120, recante “Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale” ed in vigore dal 17 luglio 2020, che ha previsto numerose misure finalizzate a contribuire alla ripresa delle attività produttive e degli investimenti pubblici, nonché alla semplificazione e allo sviluppo tecnologico dell’attività amministrativa.

Oltre alle disposizioni in materia di responsabilità amministrativo-contabile (artt. 1, 2, 6 e 21) viene, qui, in rilievo l’art. 23, che ha modificato il delitto in questione (art. 323 c.p.), sostituendo alle parole “in violazione di norme di legge e di regolamento”, la locuzione “in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità”.

Come ha osservato il giudice di legittimità, la modifica investe solo uno dei due segmenti di condotta rilevanti ai fini dell’integrazione del delitto e, cioè, quello della violazione

177

di legge. Essa non interessa, invece, la posizione dell’incaricato di pubblico servizio, il quale ometta di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un proprio congiunto o negli altri casi prescritti.

Prosegue la Corte rilevando che, sulla base della modificazione, il delitto può oggi essere integrato solo dalla violazione di fonti primarie, con esclusione dei regolamenti attuativi, le quali abbiano, inoltre, un contenuto vincolante precettivo da cui non residui alcuna discrezionalità amministrativa.

Si tratta di una innovazione che il Supremo Consesso ritiene “di grande impatto”, la quale ha “notevolmente ristretto l’ambito di rilevanza penale del delitto di abuso d’ufficio con inevitabili effetti di favore applicabili retroattivamente ai sensi dell’art. 2, comma 2, cod. pen.”

(Cass. pen., Sez. feriale, 25 agosto 2020, n. 32174).

In materia di peculato, invece, la Corte regolatrice ha approfondito l’incidenza delle disposizioni che hanno ridefinito il ruolo degli esercenti attività alberghiere, quali incaricati della riscossione dell’imposta di soggiorno. Ha affermato, al riguardo, che integra tale reato la condotta del gestore di una struttura ricettiva, che ometta di versare al Comune le somme riscosse a titolo di imposta di soggiorno, pur realizzata prima delle modifiche introdotte dell’art.

180 del d.l. 19 maggio 2020, n. 34, convertito nella legge n. 77 del 20 luglio 2020, atteso che la novella non ha comportato una abolitio criminis, bensì solo un fenomeno di successione di norme extrapenali, incidenti su elementi normativi della fattispecie relativi alla qualifica soggettiva del gestore (Cass. pen., Sez. VI, 28 settembre 2020, n. 30227;nello stesso senso Id., 28 ottobre 2020, n. 36317).

Nella motivazione della decisione, il giudice di legittimità ha precisato che, a seguito della modifica normativa, il gestore è divenuto soggetto passivo dell’obbligazione tributaria, con diritto di rivalsa sul fruitore del servizio, sicché non può più considerarsi quale “agente contabile” con obbligo di rendiconto delle somme riscosse per conto dell’ente.

Al di là di questa specifica ipotesi, la giurisprudenza sul peculato – e sui suoi rapporti con gli altri delitti contro la p.a. – appare confermata dall’affermazione che l’utilizzo di denaro pubblico, per finalità diverse da quelle previste, integra il reato di abuso d’ufficio, qualora l’atto di destinazione avvenga in violazione delle regole contabili, sebbene sia funzionale alla realizzazione, oltre che di indebiti interessi privati, anche di interessi pubblici obiettivamente esistenti e per i quali sia ammissibile un ordinativo di pagamento o l’adozione di un impegno di spesa da parte dell’ente, mentre integra il più grave reato di peculato nel caso in cui l’atto di

178

destinazione sia compiuto in difetto di qualunque motivazione o documentazione ovvero in presenza di una motivazione di mera copertura formale, per finalità esclusivamente private ed estranee a quelle istituzionali.

Su tale premessa, la Cassazione ha annullato con rinvio la condanna per peculato del presidente di un’azienda pubblica, rilevando che l’accertata violazione della normativa per la scelta della ditta appaltatrice e la mancata osservanza delle norme di contabilità, in assenza della prova della non corrispondenza dell’importo erogato al valore delle opere realizzate, avrebbero potuto integrare, al più, il reato di abuso di ufficio (Cass. pen., Sez. VI, 23 settembre 2020, n. 27910).

Di elevato interesse, per le evidenti assonanze con i giudizi di responsabilità dinanzi alla Corte dei conti per uso non consentito della carta di credito, è poi la decisione per la quale la prova dell’indebito utilizzo della carta, concessa per effettuare spese istituzionali, può desumersi, quanto meno a livello indiziario, dalla omessa o insufficiente rendicontazione delle spese sostenute dal pubblico agente, di cui non si fornisca una puntuale giustificazione neppure in sede processuale, atteso che tale condotta è altamente sintomatica dell’avvenuta appropriazione (Cass. pen., Sez. VI, 4 marzo 2020, n. 12087). Si trattava di un caso in cui l’amministratore di una società per azioni, con capitale interamente pubblico, aveva effettuato spese di importo cospicuo, mediante una carta di credito aziendale, anche in concomitanza di un viaggio privato all’estero e in prossimità della prevista interruzione del vincolo lavorativo, il che avrebbe impedito il recupero delle somme non rendicontate mediante compensazione con gli emolumenti dovuti.

Si è, poi, ribadito che non configura il delitto di peculato, bensì un mero inadempimento contrattuale, il mancato versamento al Comune appaltante, da parte della società incaricata del servizio di rimozione forzata dei veicoli in divieto di sosta, della quota pattuita in relazione alle somme coattivamente riscosse dai privati, a titolo di remunerazione del servizio prestato, in quanto il denaro non corrisposto non è qualificabile come “altrui” rispetto al soggetto obbligato (Cass. pen., Sez. VI, 13 ottobre 2020, n. 37674).

Appare opportuno segnalare, altresì, diverse decisioni che si sono soffermate sull’estensione delle qualifiche soggettive di pubblico ufficiale e di incaricato di pubblico servizio, non sempre coincidenti con la qualità di titolare di rapporto di impiego o di servizio con la p.a., che comporta il radicarsi della giurisdizione della Corte dei conti.

È stato, ad esempio, ribadito che riveste la qualifica di pubblico ufficiale il medico che

179

presta attività professionale presso una clinica convenzionata con il servizio sanitario nazionale, in quanto concorre a formare e a manifestare la volontà della pubblica amministrazione in materia di pubblica assistenza sanitaria, esercitando in sua vece poteri autoritativi e certificativi (Cass. pen, Sez. VI, 27 settembre 2020, n. 27766).

Allo stesso modo, si è ritenuto che il presidente di un’associazione di volontariato, facente parte del sistema integrato di protezione civile, riveste la qualifica di incaricato di pubblico servizio, con la conseguenza che la condotta di appropriazione di somme di denaro, erogate all’associazione dalla direzione regionale della protezione civile per il perseguimento delle finalità pubbliche del sistema, integra il delitto di peculato (Cass. pen., Sez. VI, 29 gennaio 2020, n. 14171).

Può, infine, essere utile segnalare una decisione, secondo la quale la causa di non punibilità prevista dall’art. 384, comma primo, c.p. (concernente la necessità di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore), trova applicazione anche nei confronti del pubblico ufficiale che ometta di denunziare un reato di cui, con ragionevole ed elevata probabilità, possa essere chiamato a rispondere a titolo di concorso (Cass. pen., Sez. VI, 2 luglio 2020, n. 21516).

È invece noto che, secondo la Corte dei conti, il rischio di essere convenuti in giudizio, per rispondere di un danno erariale, non esime l’agente pubblico dall’obbligo di denunciare il danno stesso al Procuratore regionale (art. 52 c.g.c.; cfr. Corte conti, Sez. riun. giur., 30 gennaio 2017, n. 2/QM).

Outline

Documenti correlati