I dati normativi e le osservazioni che precedono inducono alcune riflessioni sugli aspetti ordinamentali dell’impatto che la legislazione emergenziale ha prodotto (produce, e produrrà) sull’assetto delle funzioni di questa Corte, in particolare di quelle giurisdizionali.
Detto impatto, infatti, sembra obiettivamente valicare l’ambito di effettiva incidenza dell’emergenza in corso sui poteri del giudice contabile.
La pandemia da Coronavirus, come e più intensamente di altri eventi calamitosi e/o eccezionali, ha determinato e continuerà a determinare, quantomeno nel breve periodo, effetti senza precedenti sui complessivi equilibri economico-finanziari del nostro Paese che, in termini di finanza pubblica, si sostanziano nell’assunzione di oneri rilevantissimi di durata pluriennale.
Oneri, a fronte dei quali, d’altro canto, lo Stato è chiamato a profondere, attraverso tutti i suoi apparati amministrativi, centrali e territoriali, uno straordinario e decisivo impegno organizzativo e gestionale, che consenta di superare, in via definitiva, annose e strutturali inefficienze ed inadeguatezze.
Come noto, infatti, l’Unione Europea ha varato un piano di investimenti e finanziamenti destinati a fronteggiare le conseguenze economiche dell’epidemia, al quale gli Stati membri sono chiamati ad accedere mediante la presentazione di progetti di sviluppo di medio-lungo periodo, che possano costituire solide fondamenta per una duratura ripresa dei rispettivi sistemi produttivi, nel segno, in particolare, di modelli socio-economici sostenibili ed eco-compatibili (c.d. Recovery Fund).
Lo Stato, dunque, dopo aver elaborato tali programmi ed averne ottenuto l’approvazione in sede europea, dovrà seguire attraverso le sue articolazioni lo svolgimento degli stessi, in particolare assicurando la puntuale destinazione ed impiego dell’enorme quantità di risorse acquisite. Tale impegno si somma, peraltro, a quello egualmente straordinario già conseguente alle numerose misure di intervento sui diversi settori produttivi, adottate a livello nazionale.
Orbene, in detto contesto, non appare possibile prescindere da un efficace apparato di controllo e verifica delle scelte dei decisori pubblici, quale presidio della corretta e proficua spendita di tutte le risorse de quibus.
Non può dubitarsi che anche la Corte dei conti sia chiamata ad offrire il proprio contributo, come invero è accaduto sempre nella pluridecennale storia del giudice contabile,
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che lo ha portato a confrontarsi con i tanti eventi straordinari di cui la storia italiana recente è stata costellata.
Scorrendo la banca dati delle sentenze si può compiere un viaggio attraverso tali fatti, avendo modo di ricostruire scenari operativi e criticità, che hanno segnato l’intervento delle autorità centrali e territoriali nei confronti delle collettività colpite. Dai terremoti del Belice e in Irpinia, a quelli che hanno colpito l’Abruzzo, l’Umbria e le Marche; dalle missioni italiane in luoghi di guerra all’emergenza rifiuti in Campania.
Una casistica che offre la plastica percezione dell’intrinseca complessità dell’azione pubblica nei contesti emergenziali e, nello stesso tempo, dell’indefettibilità della tutela giudiziaria erariale, attraverso la quale vengono in evidenza errori, irregolarità, violazioni (dolose o gravemente colpose) che hanno compromesso – quando non del tutto vanificato – l’impiego di finanziamenti pubblici per risanare i territori, sostenere le comunità, rilanciare le attività imprenditoriali.
Fenomeni patologici che, tuttavia, costituiscono anche un importante bagaglio di conoscenza – per l’interprete e, soprattutto, per il decisore pubblico – degli aspetti di maggiore difficoltà sia nella gestione immediata delle emergenze, che nell’attuazione delle misure di superamento delle stesse.
Così come, per converso, un omologo contributo conoscitivo consegue allo scrutinio giurisdizionale che neghi la sussistenza di profili di responsabilità erariale, poiché concorre a tracciare una griglia di parametri comportamentali che vanno a rappresentare, in concreto, la declinazione dei principi fondanti dell’azione amministrativa in detti peculiari contesti.
L’indefettibilità della presenza del giudice contabile nello sviluppo delle plurime e diverse fasi di gestione della crisi pandemica e, al contempo, di rilancio del sistema economico e produttivo nazionale si presenta ancorata, invero, alla funzione ordinamentale di tutore delle pubbliche finanze, che la Costituzione gli assegna e che ha trovato nel tempo approfondita esegesi ed ermeneusi nella giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di cassazione, oltre che nella dottrina e giurisprudenza contabile.
L’attribuzione alla Corte dei conti della giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica, infatti, è stata dal Giudice delle leggi sin da principio considerata come comprensiva, in primis, dei giudizi di conto e di responsabilità, nonché posta in immediata correlazione con l’attuazione dei canoni fondanti dell’azione amministrativa, di imparzialità e buon andamento:
<<…la giurisdizione contabile in senso stretto e la giurisdizione della Corte dei conti sulle
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responsabilità in genere dei pubblici dipendenti per illecito di gestione … tendono a garantire l’interesse generale oggettivo alla regolarità della gestione finanziaria e patrimoniale dell’ente, evitando tra l’altro il sospetto di compiacenti omissioni o l’affermarsi di pratiche lassiste: in ottemperanza anche al duplice principio della “imparzialità” e del “buon andamento” dell’amministrazione, di cui all’art. 97 della Costituzione>> (sent. n. 68/1971).
Così come nel tempo si è posto in rilievo come la nozione di contabilità pubblica, declinata nella forma plurale delle sue possibili manifestazioni (“materie”), esprimesse un legame ordinamentale diretto tra gli art. 100 e 103 Cost., ovverosia tra le funzioni di controllo e giurisdizionali del giudice contabile, poiché entrambi strumentali alla tutela degli interessi obiettivi della pubblica amministrazione, statale, regionale e locale: con ciò riconoscendosi alla Corte dei conti il ruolo di organo posto al servizio dello “Stato-comunità” <<quale garante imparziale dell’equilibrio economico-finanziario del settore pubblico e della corretta gestione delle risorse collettive, sotto il profilo dell’efficacia, dell’efficienza e dell’economicità>> (ex pluribus, sent. n. 267/2006).
Nel descritto quadro ermeneutico-applicativo si inscrive l’affidamento, in sede giudiziaria, della cura degli interessi finanziari dei soggetti pubblici ad un Pubblico Ministero, cui è intestata la promozione dell’azione di responsabilità.
Al riguardo risultano, ancora una volta, di straordinaria chiarezza e attualità le affermazioni della Corte costituzionale, secondo le quali, da un lato, <<essendo ovvio che l’art.
103, comma secondo, della Costituzione, allorché ha riconfermata, e, secondo si ritiene da molti, anche ampliata, la giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica, ha richiamato tutto l’istituto così come esso era ed è regolato dalle norme relative, e nel quadro delle quali l’iniziativa del Procuratore generale si colloca come ovviamente necessaria per evitare lassismi e contrasti di posizioni e di interessi: relativamente ai quali, anche sul piano giuridico, ricorrerebbero notevoli difficoltà per una diversa regolamentazione>> (sent. n.
211/1972: enfasi aggiunta); e, dall’altro, <<Il Procuratore Generale della Corte dei conti, nella promozione dei giudizi, agisce nell’esercizio di una funzione obiettiva e neutrale. Egli rappresenta l’interesse generale al corretto esercizio, da parte dei pubblici dipendenti, delle funzioni amministrative e contabile, e cioè un interesse direttamente riconducibile al rispetto dell’ordinamento giuridico nei suoi aspetti generali e indifferenziati; non l’interesse particolare e concreto dello Stato in ciascuno dei settori in cui si articola o degli altri enti pubblici in relazione agli scopi specifici che ciascuno di essi persegue, siano pure essi
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convergenti con il primo>> (sent. n. 104/1989: enfasi aggiunta).
Tratto caratterizzante la funzione ordinamentale della magistratura contabile risulta essere, dunque, la salvaguardia della destinazione delle risorse pubbliche alle diverse e molteplici finalità, che i pubblici poteri sono chiamati a perseguire nell’interesse della comunità amministrata: in tali termini essa è posta dalla Costituzione “all’interno” di quella che può definirsi la relazione finanziaria tra lo Stato (in ogni sua declinazione soggettiva ed operativa) e i cittadini, fondata su uno dei principi cardine della “nostra” Repubblica, ovverosia il dovere di tutti di contribuire al sostenimento delle spese pubbliche, secondo le proprie possibilità, posto nell’art. 53 Cost. (“Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”).
Una “relazione finanziaria” che risulta, altresì, definita dai principi che presiedono alla formazione dei bilanci pubblici, declinati negli artt. 81 e 119 Cost. e che, a ben vedere, rappresenta uno dei profili qualificanti del modello di democrazia configurato nella Carta costituzionale.
Un segno tangibile di tale assetto istituzionale e valoriale, nonché del suo significato giuridico dinamico, va riscontrato non solo nell’evoluzione concettuale in senso oggettivo del rapporto di servizio, quale cardine della promovibilità dell’azione di responsabilità erariale, che ha portato ad affermare la centralità dell’impiego di pubbliche risorse rispetto alla qualificazione soggettiva dell’agente, bensì anche nella rinnovata attenzione che il Giudice delle leggi ha riservato, nell’ultimo decennio, ai molteplici e complessi aspetti della formazione e gestione del bilancio, del quale è stata codificata (o meglio, ribadita) la natura di primario bene pubblico, in quanto strumento giuridico-economico di bilanciamento tra i diversi livelli di interessi presenti nella comunità amministrata.
Del pari, si inscrive coerentemente nel delineato perimetro l’ulteriore principio, riconosciuto dalla stessa Corte costituzionale, secondo cui <<la imputazione della responsabilità ha come limite minimo quella della colpa grave (prevista, in via generale, insieme all'imputazione per dolo)>> (sent. n. 340/2001).
La titolarità e l’esercizio di pubblici poteri, infatti, costituiscono la sede “operativa” di realizzazione dei plurimi fini che lo Stato e gli altri centri di governo sono chiamati a perseguire con le risorse attinte dalla collettività, sicché è assolutamente naturale che ad essi sia correlata l’assunzione della responsabilità per gli atti e le attività in cui si traducano.
Nei descritti termini il medesimo Giudice aveva, in precedenza, ritenuto ragionevole la
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scelta del legislatore di innalzare la soglia di perseguibilità per colpa alla colpa grave, giudicandola rispondente <<alla finalità di determinare quanto del rischio dell’attività debba restare a carico dell’apparato e quanto a carico del dipendente, nella ricerca di un punto di equilibrio tale da rendere, per dipendenti ed amministratori pubblici, la prospettiva della responsabilità ragione di stimolo, e non di disincentivo>> (sent. n. 371/1998).
La responsabilità amministrativa, dunque, nella descritta equilibrata conformazione, si pone come elemento costitutivo e qualificante della posizione giuridica dell’operatore pubblico, sicché appaiono poco persuasivi gli assunti secondo cui la scarsa produttività degli apparati pubblici sarebbe riconducibile ad un suo impatto condizionante.
Invero, proprio le tante fattispecie scrutinate dal giudice contabile evidenziano come, in misura prevalente, essa sia piuttosto il frutto di problemi di organizzazione degli uffici e di distribuzione delle competenze, che finiscono per favorire la propensione ad evitare e/o procrastinare le decisioni49. Il contenzioso erariale, d’altro canto, offre evidenza di significativi danni conseguenti, in pari misura, a condotte illecite attive ed omissive, per lo più connotate dall’elemento psicologico della colpa grave, con ciò risultando confermate la ragionevolezza ed indefettibilità della suddetta soglia di responsabilità.
Orbene, se si pongono in relazione alle direttrici interpretative offerte le disposizioni che, sinora, hanno interessato le funzioni della Corte dei conti all’interno della legislazione adottata per affrontare la pandemia da Covid-19, si avverte il senso di un disallineamento, che non appare sufficientemente bilanciato né giustificato dal contesto emergenziale in cui si inseriscono.
L’analisi dottrinale dell’impatto dello stato di necessità sul principio di legalità ha portato, tra l’altro, sulla scorta anche dello sviluppo di nuove categorie concettuali nell’ambito del diritto europeo (cfr. art. 191, co. 2, TFUE: “la politica dell’Unione… (omissis)… è fondata
49 L’ampio dibattito che, ormai da anni, la dottrina sta sviluppando in ordine ai fattori che impediscono all’apparato burocratico pubblico di assicurare adeguati livelli di efficienza ed efficacia della propria azione ed alle prospettive concrete di superamento degli stessi, sembra riproporre in chiave attuale il senso delle lucide riflessioni dedicate da Max Weber alla burocrazia, nell’apposita sezione della sua opera “Economia e Società”, intitolata “Essenza, presupposti e svolgimento del potere burocratico”: dal principio “delle competenze” a quello “della gerarchia degli uffici”, nel cui ambito però “la subordinazione gerarchica non vuol dire, almeno negli uffici pubblici, che l’istanza <superiore> sia abilitata a richiamare a sé gli affari dell’istanza <inferiore>. La regola è proprio l’opposto…”; dal “dovere di fedeltà di ufficio” che esprime la funzionalizzazione ad uno scopo oggettivo, ad “idee di valore realizzate in una comunità”, al carattere “professionale” dell’ufficio, alla necessità di uno stabile sistema di imposte per sostenere l’esistenza dell’apparato burocratico. Ma anche i profili degenerativi del potere burocratico: l’autoreferenzialità e la strenua difesa dei propri spazi, lo strumento del “segreto d’ufficio”: “Ogni burocrazia cerca di accrescere questa superiorità del sapere professionale mediante il segreto delle sue cognizioni e intenzioni. L’amministrazione burocratica è per tendenza un’amministrazione con esclusione della pubblicità.
La burocrazia protegge dalla critica, per quanto può, ciò che essa conosce e ciò che essa fa”.
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sui principi della precauzione e dell’azione preventiva…”), ad individuare uno strumento di possibile bilanciamento nel principio di precauzione, alla stregua del quale, in presenza di situazioni emergenziali, si rende necessario per il decisore pubblico compiere istruttorie più accurate di quelle effettuate in via ordinaria svolgendo, accanto alle normali verifiche sui dati giudicati rilevanti, lo scrutinio delle possibili implicazioni rischiose del ricorso a strumenti di amministrazione di tipo eccezionale.
Una prima espressione di tale principio si rinviene nelle affermazioni, quasi coeve, non solo della Corte di Giustizia, secondo cui “si deve ammettere che quando sussistano incertezze riguardo all’esistenza o alla portata di rischi per la salute delle persone, le istituzioni possono adottare misure protettive senza dover attendere che siano esaurientemente dimostrate la realtà e la gravità di tali rischi” (C. giust., 2.5.1998, C-157/96), ma anche della Commissione Europea (Comunicazione del 2 febbraio 2000) 50, secondo la quale, in attuazione dello stesso, si rende necessaria la previa identificazione di ogni effetto potenzialmente negativo derivante da un fenomeno, da un prodotto ovvero da un procedimento, prima di ricorrere a strumenti di amministrazione diversi da quelli utilizzati in via ordinaria per fronteggiare determinati rischi.
Le norme all’esame, intervenendo sui connotati strutturali della responsabilità erariale, attraverso la “selezione” di situazioni di immunità, operata “ratione materiae” ovvero secondo la tipologia delle condotte, determinano asimmetriche erosioni del perimetro della giurisdizione contabile, che non paiono idonee né funzionali a risolvere specifiche criticità indotte dalla crisi sanitaria, mentre incidono significativamente su uno degli elementi identitari e qualificanti dell’ordinamento delle pubbliche amministrazioni, come visto posto a presidio del vincolo teleologico che connota indefettibilmente la spendita delle risorse pubbliche.
Nei descritti termini esse sembrano porsi al di là anche della linea di bilanciamento dei
50 Si consideri, atto cit.: “Trovare il giusto equilibrio, in modo tale da pervenire a decisioni proporzionate, non discriminatorie, trasparenti e coerenti, che siano inoltre in grado di garantire il livello di protezione prestabilito, richiede un processo decisionale strutturato basato su informazioni particolareggiate e obiettive di carattere scientifico o di altro tipo. Tale struttura è fornita dai tre elementi dell'analisi dei rischi: la valutazione del rischio, la scelta della strategia di gestione del rischio e la comunicazione del rischio. […Omissis…] A livello comunitario, il solo riferimento esplicito al principio di precauzione è contenuto nel titolo dedicato all'ambiente del Trattato CE, e più in particolare l'articolo 174. Non bisogna per questo dedurne che il principio sia applicabile solo in materia ambientale (Allegato I, Rif. 2, 3 e 4). Anche se il principio è menzionato nel Trattato, esso non vi è definito. Come altre nozioni generali contenute nella legislazione, quali la sussidiarietà o la proporzionalità, spetta ai responsabili politici e, in ultima analisi, alle istanze giurisdizionali precisare i contorni di questo principio. In altri termini, la portata del principio di precauzione è collegata anche all'evoluzione giurisprudenziale che, in qualche modo, è influenzata dai valori sociali e politici che prevalgono in una società.
Non bisogna per questo concludere che la mancanza di definizione si traduca in una incertezza giuridica. La pratica acquisita in materia di ricorso al principio di precauzione dalle istanze comunitarie e il controllo giurisdizionale consentono, infatti, di attribuire una portata sempre più precisa a tale nozione”.
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principi di legalità e precauzione, laddove non risulta adeguatamente ponderato il rischio di compromissione della piena tutela della comunità nazionale, in ordine all’utilizzo della messe di ingenti risorse che sono e si renderanno disponibili per contrastare e superare gli effetti della pandemia sulla nostra economia.
Appare rilevante sul punto la previsione, inserita nel modello normativo di gestione del Recovery Plan, in corso di predisposizione da parte del Governo, di consolidamento per tutta la durata dell’attuazione del piano 2027, della limitazione della perseguibilità delle condotte attive alle sole ipotesi dolose, nel perdurare della piena responsabilità per quelle inerti od omissive.
Si ritiene di concludere le riflessioni, sin qui svolte, richiamando le acute notazioni di autorevole dottrina sugli effetti distorsivi che la paura e l’emergenza possono portare nella legislazione51 e, quindi, nell’ordinamento nel suo complesso, inducendo l’adozione di “misure legislative alle quali magari si pensava da tempo, ma che non si aveva il coraggio di proporre”.
S’introduce, in merito, il condivisibile concetto di “fobonomia” per esemplificare il
“valicamento” dello spazio fisiologico degli interventi normativi riconducibili a situazioni emergenziali, rinvenendone un’ipotesi proprio nell’art. 21 del D.L. n. 76 del 2020, rispetto alla quale rileva, altresì, che la Corte costituzionale ha riconosciuto che, in materia di responsabilità amministrativa, la discrezionalità legislativa non è senza limiti e, in questo caso, “tali limiti sembrano superati (perché la responsabilità erariale è preordinata alla garanzia di beni costituzionalmente rilevanti)”.
51 Si veda, Massimo Luciani, “Fobonomia”, in “Bilancio, comunità, persona” - n. 2/2020.
42 Capitolo III
LE PIÙ SIGNIFICATIVE PRONUNCE DEL 2020 RESE DAL GIUDICE DELLE