INTERESSI DEGLI AMMINISTRATOR
2. Il secondo periodo dell’art 2391, co 3.
“In ogni caso sono salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione”.
Unico e solo aspetto della precedente disciplina del conflitto di interessi degli amministratori dall’intervento riformatore. È rimasta, infatti, immutata la disciplina dell’invalidità della deliberazione sugli atti compiuti con i terzi.
2.a. Analisi della disposizione.
Prima di tutto credo sia necessario indivduare la ratio di tale disposizione. All’uopo trovo utile testé riferire l’insegnamento del Minervini266, per il quale “gli atti compiuti in esecuzione della deliberazione sono gli atti compiuti da amministratori aventi la rappresentanza sociale”, nei casi in cui il potere di deliberazione è attribuito al consiglio di amministrazione, quale condizione prevista dalla legge, va aggiunto oggi267, per il valido esercizio del potere rappresentativo.
La norma si applicherebbe cioè in ipotesi in cui chi si trovi a trattare col rappresentante merita particolare tutela in quanto, da un lato, non sempre è in grado di controllare personalmente se le complesse regole del processo decisionale interno siano state rispettate e, dall’altro, può ragionevolmente
266MINERVINI, Gli amministratori di società per azioni, Milano, 1956, p. 125.
267ENRIQUES, Il conflitto di interessi degli amministratori di società per azioni, Milano, 2000, p. 397 ss.
99 attendersi che il vaglio di legittimità sulle delibere sia già stato doverosamente espletato dal rappresentante medesimo all’atto di darvi esecuzione.
Dubbio è, infatti, almeno per il caso delle deliberazioni consiliari, che l’ordinamento possa ritenere affidabile il controllo di legittimità della deliberazione da parte di chi è tenuto ad eseguirla, fino al punto di consentire al terzo di fare incondizionatamente affidamento su questo controllo.
Dunque, data la complessità della valutazione da parte del terzo circa la validità della deliberazione, una sufficiente ragione giustificatrice della disposizione in esame si può pacificamente rinvenire nella volontà di esimere il terzo dal rischio di errore insito in tale valutazione, fermo peraltro che sul terzo incombe invece il rischio dell’errore, anche scusabile, circa l’esistenza di una deliberazione (ex artt. 1393 e 1398, ult. parte).
Chiarito il punto, godiamo dei necessari presupposti per affrontare l’esegesi della disposizione.
- Si parla di diritti.
In merito all’espressione usata dalla disposizione è degno di nota, o almeno di richiamo, quell’orientamento dottrinario268 che ritiene, sia pure con specifico riferimento all’art. 2377, co. 6269, che la salvezza riguardi tutto i complesso delle posizioni giuridiche, attive e passive, scaturenti dall’atto stipulato dal terzo, ferma restando la possibilità di non avvalersi di tale globale salvezza quando il saldo dell’operazione conclusa con la società renda per lui più conveniente assoggettarsi agli effetti dell’annullamento.
Sorge la necessità di chiarire se la salvezza dei diritti sia subordinata o meno all’acquisto degli stessi a titolo oneroso. Pur nel silenzio del codice pare opportuno rispondere in senso negativo alla questione. Ciò ci sembra corretto
268 Ad esempio ENRIQUES, vd. cit. supra; SACCO, La buona fede nella teoria dei fatti
giuridici di diritto privato, Torino, 1949, p. 205 s.
269
“L'annullamento della deliberazione ha effetto rispetto a tutti i soci ed obbliga gli amministratori, il consiglio di sorveglianza e il consiglio di gestione a prendere i conseguenti provvedimenti sotto la propria responsabilità. In ogni caso sono salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione”.
100 ricordando che, per opinione ormai pacifica, gli artt. 2377, co. 6, e 2391, co. 3, non disciplinano una fattispecie analoga a quella prevista dall’art. 1445270, sicché sarebbe incongruo considerare il silenzio delle prime sul punto quale una mera svista.
- Si utilizza l’espressione buona fede.
Sorge il dubbio circa quale significato attribuirle. In merito è, per vero, da riscontrare un’identità di vedute circa il suo oggetto, ossia il vizio della deliberazione271, mentre non vi è accordo in dottrina sul problema se sia sufficiente la buona fede pura e semplice, a prescindere dall’eventuale colpa del terzo nell’ignorare il vizio della deliberazione ovvero se soltanto la buona fede incolpevole consente al terzo di non subire gli effetti dell’annullamento.
Secondo una parte della dottrina, la risposta potrebbe venir resa più agevole dall’esistenza nell’ordinamento di una regola generale, applicabile in ogni caso in cui la legge non disponga espressamente in senso diverso; regola che statuirebbe, secondo alcuni, la sufficienza della buona fede pura e semplice272 e, secondo altri, all’opposto, la necessità dell’assenza di colpa273, o perlomeno di colpa grave. L’orientamento dominante274 si pone invece nel senso che non sia possibile trarre dall’ordinamento univoche indicazioni per concludere a favore dell’esistenza di una regola generale in un senso o nell’altro, e che, di conseguenza, la soluzione vada data caso per caso, prendendo in considerazione
270
“L'annullamento che non dipende da incapacità legale non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di annullamento”.
271 Vd. ad es. ASCARELLI, Fideiussione; conflitto di interessi e deliberazione del consiglio;
oggetto e capacità sociale, in Riv. Società, 1959, p. 743; ANGELICI, Amministratori di società, conflitto di interessi e art. 1394 cod. civ., in Riv. Dir. Comm., 1970, I, p. 109.
272Vd. GIAMPICCOLO, La buona fede in senso soggettivo nel sistema di diritto privato, in Riv.
Dir. Comm., 1965, p. 335 ss., ivi alla p. 353.
273 Vd. BIGLIAZZI GERI, Abuso dei poteri di rappresentanza e conflitto di interessi, in VISINTINI (a cura di), Rappresentanza e gestione, Padova, 1992, p. 154 ss.
274 Vd. ad es. ZANARONE, L’invalidità delle deliberazioni, in COLOMBO e PORTALE ( a cura di), Trattato delle società per azioni, Torino, 1994, p. 362.
101 la ratio di ciascuna disposizione e gli interessi che con essa si intendono contemperare .
Escluso che utili indicazioni siano ricavabili dal sistema, è necessario far ricorso all’interpretazione logica275.
Ora, sul presupposto che la ratio dell’art. 2391, co. 3, viene individuata nell’esigenza di tutelare il terzo dal rischio di errore, in cui può incorrere nel giudizio sulla validità della deliberazione, si tratta di stabilire se l’ordinamento intenda tutelare soltanto l’errore incolpevole ovvero anche quello gravemente colpevole, o, infine, l’errore puro e semplice.
In sintonia con la dottrina276, si può considerare eccessivo concedere una tutela al terzo che si estenda fino al punto di proteggerlo oltre ogni modo: anzitutto, può considerarsi che, tra gli interessi in gioco, nei casi in cui è applicabile il terzo comma dell’art. 2391, non vi è soltanto quello della società a non vedersi vincolata in presenza di una deliberazione invalida e quello del terzo a confidare invece sulla validità del contratto stipulato, ma vi è anche l’interesse pubblico o comunque indisponibile, in base al quale l’ordinamento ha, per ipotesi, posto inderogabilmente la delibera consiliare quale presupposto per il valido esercizio del potere deliberativo.
In conclusione, sembra corretto ritenere che per buona fede debba intendersi non l’ignoranza pura e semplice del vizio, ma l’ignoranza che non sia accompagnata da colpa grave.
Per quanto riguarda lo strumentale quanto delicato problema di definire la parte sulla quale incombe l’onere della prova dello stato soggettivo del terzo, anche qui, in mancanza di una regola generale, va risolto alla luce dei principi generali in materia di onere della prova. Così la buona fede dovrà dunque esser provata dall’attore se costituisce un fatto costitutivo, dal convenuto, se, viceversa, costituisce un fatto impeditivo.
275 GIAMPICCOLO, La buona fede in senso soggettivo nel sistema di diritto privato, in Riv.
Dir. Comm., 1965, p. 351.
276ENRIQUES, Il conflitto di interessi degli amministratori di società per azioni, Milano, 2000, p. 413 s.
102 - La disposizione si riferisce ai terzi.
È essenziale capire perà a chi in concreto ci si riferisce. Dottrina e giurisprudenza tendono ad offrire un’interpretazione restrittiva della norme che fanno salvi i diritti acquistati dai terzi nei confronti della società in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione. Così, non sarebbero terzi ai fini delle norme in questione277 i soci278, gli amministratori ed i sindaci279. Anche se, per vero, alcuni ritengono di dover distinguere a seconda dei casi in cui questi soggetti agiscono in quanto tali ovvero come un qualsiasi terzo.
Tuttavia, se questa soluzione può, in qualche misura, giustificarsi in relazione all’art. 2377, co. 6280, nel quale, nella prima parte, si dispone che l’annullamento abbia “effetto rispetto a tutti i soci”, non se ne comprendono le ragioni per le quali essa dovrebbe valere pure per l’art. 2391, co. 3. In effetti, l’elemento cardine di questa disposizione non è tanto da rinvenire nella posizione di terzietà di chi viene in contatto con la società, bensì nell’ignoranza non dovuta a colpa grave del vizio della deliberazione281. Ecco, partendo da tal presupposto, fermo restando che la società stessa non potrà giovarsi della buona fede dei propri rappresentanti statutari, non si vede per quale motivo porre l’amministratore o il sindaco, che ben possono ignorare senza colpa l’invalidità della deliberazione, in posizione deteriore rispetto agli altri terzi con cui la società contratti, se non, tutt’al più, sotto il profilo del giudizio circa la sussistenza o meno della colpa
277 DI AMATO, Problemi preliminari sulla disciplina dei limiti ai poteri di rappresentanza
degli amministratori di società per azioni, in Giust. Civ., 1973, IV, p. 211 ss.
278 ZANARONE, L’invalidità delle deliberazioni, in COLOMBO e PORTALE ( a cura di),
Trattato delle società per azioni, Torino, 1994, p. 362.
279
FERRO-LUZZI, La conformità delle deliberazioni assembleari alla legge e all’atto
costitutivo, Milano, 1976, p. 113.
280 Opportuno menzionare il fatto che anche l’articolo testé menzionato è stato oggetto di riforma, pertanto l’Enriques, nell’enucleazione della sua tesi, faceva riferimento al vecchio art. 2377, co. 3.
281ENRIQUES, Il conflitto di interessi degli amministratori di società per azioni, Milano, 2000, p. 417 ss.
103 grave282, giudizio che per tali soggetti potrà esser più rigoroso, data la loro posizione di insider.
2.b. Applicabilità della disposizione.
Il punto merita, a mio avviso, un’attenzione particolare.
Il disposto in discorso si applica agli “atti compiuti in esecuzione della deliberazione”.
Con il recepimento della prima Direttiva in materia di società283, l’ambito di applicazione dell’art. 2391, co. 3, si è, però, alquanto ristretto a causa dell’irrilevanza esterna, che da questa direttiva discende, della dissociazione per statuto dei poteri deliberativi e rappresentativi. Così, la disposizione in esame può trovare applicazione nei soli casi in cui venga annullata ex art. 2391, co. 3, primo periodo, una deliberazione consiliare prevista dalla legge come condizione per la sussistenza dei poteri rappresentativi in capo all’amministratore rappresentante.
È però bene chiarire che, per far valere nei confronti del terzo in mala fede il vizio della deliberazione, occorre che questa sia stata annullata o perlomeno tempestivamente impugnata, poiché, in mancanza, l’invalidità sarebbe sanata ex tunc e diverrebbe del tutto irrilevante la conoscenza che il terzo avesse avuto del vizio della stessa, quindi la sua mala fede. Pertanto, sarà inopponibile ex art. 2391, co. 3, il vizio della deliberazione nella circostanza in cui quest’ultima non venga impugnata, sia pure in via d’eccezione entro novanta giorni dalla data in cui è stata presa.
Inoltre, non pare che l’annullamento della deliberazione comporti di per sé, come effetto riflesso, l’invalidità dell’atto esterno: quando è invalida la deliberazione,
282 In senso analogo ANGELICI, Note in tema di rapporti contrattuali tra soci e società, in
Giur. Comm., 1991, I, p. 689.; MUSSO, La rilevanza esterna del socio nelle società di capitali,
Milano, 1996, p. 181 ss.; PISANI MASSAMORMILE, I conferimenti nelle società per azioni:
acquisti “pericolosi”, prestazioni accessorie, Milano, 1994, p. 201 ss.
283
104 che costituisce il presupposto perché il rappresentante sia legittimato ad esercitare i propri poteri in relazione ad un determinato atto, quest’ultimo si rivela non già annullabile per conflitto di interessi, bensì inefficace in quanto compiuto dal rappresentante senza poteri. Come tale, esso sarà suscettibile di ratifica da parte della società mediante una nuova deliberazione non affetta da vizio ex art. 2391, co. 3.
Diversa è, invece, la situazione che riguarda l’atto esterno compiuto dall’amministratore in violazione degli obblighi a lui imposti dall’art. 2391, co. 1, sulla base di una deliberazione del consiglio di amministrazione. Qui, dottrina e giurisprudenza dominanti sostengono l’applicabilità, in alternativa tra loro, delle discipline del conflitto di interessi ex artt. 1394 ss. per quegli elementi del negozio rappresentativo che non siano stati definiti nella previa deliberazione, ed ex art. 2391, co. 3284 per gli elementi che siano invece stati predeterminati in sede collegiale.
Posizioni, però, criticabili, in quanto basate sul contestabile convincimento che l’impugnazione dell’atto interno possa di per sé portare all’annullamento dell’atto esterno285.
In ogni caso, seppur le differenze tra le due discipline siano riconosciute ed inconfutabili, la più compiuta argomentazione286 a favore della tesi dominante vi perviene facendo leva sul preteso obbligo di esecuzione della deliberazione consiliare, anche se invalida, che gravi sull’amministratore rappresentante, obbligo che eliminerebbe il nesso di causalità psicologica necessario affinché sia configurabile un conflitto di interessi. Ora, l’amministratore rappresentante non ha, in realtà, alcun obbligo incondizionato di eseguire la deliberazione consiliare invalida, bensì il potere-dovere di non darvi esecuzione se, così facendo, può
284 Anche se, è bene ricordarlo, l’art. 2391 c.c. è oggi rubricato come “interessi degli amministratori”, quindi non necessariamente in conflitto.
285ENRIQUES, Il conflitto di interessi degli amministratori di società per azioni, Milano, 2000, p. 396 ss.
286ANGELICI, Amministratori di società, conflitto di interessi e art. 1394 cod. civ., in Riv. Dir.
Comm., 1970, p. 109; SOLIMENA, Il conflitto di interessi dell’amministratore di società per azioni nelle operazioni con la società amministrata, Milano, 1999, p. 178 ss.
105 eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose. Dunque, se l’amministratore conclude il negozio rappresentativo, lo fa a seguito di una propria valutazione discrezionale, e se è vero che la stessa discrezionalità di valutazione è condizione necessaria e sufficiente per la stessa configurabilità di un conflitto di interessi, allora deve riconoscersi la rilevanza di quest’ultimo anche in presenza di una previa deliberazione sociale che determini il contenuto del negozio, perlomeno quando essa sia invalida ex art. 2391, co. 3. Caduta la premessa, cade anche la conseguenza dell’inapplicabilità alla fattispecie di cui si tratta dell’art. 1394. La soluzione per la quale gli artt. 1394 e ss. non subiscono alcuna deroga ad opera dell’art. 2391, co. 3, in relazione al rappresentante sociale in conflitto di interessi, pare inoltre più coerente con la regola dell’irrilevanza esterna della dissociazione tra poteri, deliberativo e rappresentantivo, che dalla predetta prima Direttiva discende. Nel vigore di questo regime, sarebbe così incongruo riconoscere al terzo la possibilità di eccepire alla società la validità di un atto meramente interno come la deliberazione consiliare, del quale, al limite, egli poteva essere stato all’oscuro al tempo i cui concluse il contratto con la società. Opportuno sottolineare che ciò non significa che la previa deliberazione invalida ex art. 2391, co. 3 sia irrilevante ai fini della sorte dell’atto rappresentativo. Difatti, affinché il contratto concluso dal rappresentante in conflitto di interessi sia invalido, occorre, ai sensi dell’art. 1394, che la situazione di conflitto sia stata conosciuta dalla controparte o che perlomeno sia stata da questa riconoscibile con un minimo di accortezza.
Può, infatti, darsi il caso in cui il terzo sia a conoscenza di una deliberazione del consiglio che predetermini il contenuto del contratto da concludere. Se tuttavia egli non sa né può sapere, usando quel minimo di accortezza richiestogli, che la deliberazione, per ipotesi, era invalida, ciò sarà sufficiente per escludere che ricorrano le condizioni per l’annullamento del contratto per conflitto di interesse. Al contrario deve escludersi la buona fede del terzo che, conoscendo o potendo conoscere con un minimo di diligenza il conflitto di interessi, sia a conoscenza, oltre che della previa deliberazione di determinazione del contenuto del contratto,
106 dell’invalidità di questa deliberazione ex art. 2391, co. 3; va, inoltre, esclusa la buona fede del terzo che potesse conoscere questi fatti con un minimo di accortezza.
La questione, una volta che si imposti il problema in questi termini, è allora se al terzo che sia a conoscenza o che possa avere conoscenza, usando un minimo di accortezza, dell’invalidità della deliberazione la società possa opporre il conflitto d’interessi entro il termine quinquennale di prescrizione ovvero soltanto se abbia tempestivamente impugnato la deliberazione entro i novanta giorni previsti dall’art. 2391, co. 3.
Il punto è fortemente opinabile. Un criterio interpretativo potrebbe essere quello della coerenza rispetto alle soluzioni valide per i casi di rilevanza esterna della deliberazione ex art. 2391, co. 3, ovvero ex art. 2384, co. 2.
Come visto, in quei casi la tempestiva impugnazione della deliberazione è condizione per l’opponibilità ai terzi del relativo vizio.
È, però, da notare che nelle ipotesi citate l’inutile decorso del termine di impugnazione sana ex tunc il vizio del processo decisorio, cosicché, in mancanza di impugnazione, non vi è alcunché da opporre al terzo, anche se questi sia in mala fede o se agisca intenzionalmente a danno della società. Al contrario, nel caso ad esame, si ha per ipotesi un contratto concluso dal rappresentante in conflitto di interessi con la società e si tratta soltanto di stabilire se, al momento della conclusione del contratto, il terzo conoscesse o potesse conoscere questo conflitto d’interessi. Poiché la conoscenza o la conoscibilità del conflitto sussiste se il terzo, a conoscenza di una previa deliberazione sull’operazione, ne conoscesse o potesse conoscerne, con un minimo di accortezza, l’invalidità ex art. 2391, co. 3, dovrebbe, conseguentemente, esser del tutto irrilevante il fatto che la deliberazione sia poi stata tempestivamente impugnata da chi vi fosse legittimato.
Sulla base di tale considerazione possiamo affermare che il contratto concluso dall’amministratore rappresentante in conflitto di interessi, che sia stato preceduto da una deliberazione invalida ex art. 2391, co. 3, con la quale il
107 consiglio di amministrazione ne abbia predeterminato, in tutto o in parte, il contenuto, è annullabile anche per i contenuti coperti dalla deliberazione ai sensi non già del medesimo articolo bensì dall’art. 1394, pur quando la deliberazione non sia stata tempestivamente impugnata.
Diversa è, invece, la situazione che si ha in relazione ad un atto esterno compiuto da un amministratore in conflitto di interessi in assenza di una previa deliberazione.
L’ambito della disquisizione è chiaramente limitato alla posizione dell’amministratore unico interessato all’operazione ed amministratore munito di rappresentanza287, il quale, pur senza averne i corrispondenti poteri di gestione, compie un atto in conflitto d’interessi, o meglio, violando gli obblighi a lui imposti ex art. 2391, co. 1. Qui, dottrina e giurisprudenza sono pressoché concordi nel ritenere applicabili gli artt. 1394 e 1395 c.c. Non osta, infatti, l’eventuale qualificazione in termini di rappresentanza organica di questa figura di rappresentante.
Rimasta quindi senza seguito la tesi del Ferri288, secondo cui l’art. 1394 sarebbe inapplicabile all’amministratore rappresentante di società per azioni a causa dell’immedesimazione organica tra il primo e la seconda, con la conseguenza che non potrà esservi posizione di conflitto in quanto sarà la stessa persona giuridica ad agire per il tramite del suo rappresentante organico. Così, l’invalidità dell’atto esterno per conflitto di interessi potrebbe derivare soltanto, quale effetto riflesso dell’invalidità dell’atto interno ex art. 2391, co. 3.
Tale tesi viene contestata dall’orientamento dominante289, sulla base della considerazione che, oltre che da un rapporto d’ufficio, l’amministratore è legato alla società anche da un rapporto di servizio, in base al quale ha il dovere di agire
287 Con la Riforma del diritto societario del 2003 non è più annoverabile in questo discorso l’amministratore delegato, in precedenza ivi ricondotto.
288
FERRI, Fideiussioni prestate da società, oggetto sociale, conflitto di interessi, in Banca
borsa tit. cred., 1959, p. 983 ss.
289Vd. ad esempio ANGELICI, Amministratori di società, conflitto di interessi e art. 1394 cod.
108 nell’interesse della società stessa, ed in base al quale può legittimamente configurarsi un conflitto di interessi tra lui stesso e la società da lui rappresentata. Così l’abuso di rappresentanza non sarebbe altro che un inadempimento