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Attività riconducibili alla gestione delle misure alternative

2. Il servizio sociale nel settore penitenziario in Italia

2.3 Il servizio sociale nel settore penitenziario degli adulti: sintetica specificazione delle principali

2.3.2 Attività riconducibili alla gestione delle misure alternative

Particolarmente rilevante, nel complesso delle alternative al carcere, è l’art. 47 o.p. , che disciplina l’affidamento in prova al servizio sociale, la misura alternativa più “aperta”, con contenuti professionali propri dell’assistente sociale. Essa trae le sue caratteristiche fondamentali dal sistema della probation anglosassone, di cui si è detto, nato a fine ‘800 in USA e Gran Bretagna e poi sviluppatosi, nel corso del XX secolo, in quasi tutti i paesi occidentali. L’idea di fondo della probation, quindi anche dell’affidamento, è quella di sostituire - nei casi di pene relativamente brevi e secondo altre condizioni di legge - la pena detentiva in carcere con una prova all’esterno, durante la quale la persona che è stata condannata si impegni in un percorso di recupero sociale. Se il periodo della prova ha esito positivo, la pena viene estinta.

A differenza della nuova formulazione dell’art. 72 o.p. che abbiamo ricordato, nell’art. 47 l’espressione “servizio sociale” è sempre stata mantenuta, fin dalla formulazione originaria della legge. Le funzioni dell’assistente sociale dell’UEPE sono esplicitamente definite in termini di aiuto e controllo nei confronti della persona, da realizzare attraverso un lavoro di relazione rivolto anche alle reti primarie e secondarie: “il servizio sociale controlla la condotta del soggetto e lo aiuta a superare le difficoltà di adattamento alla vita sociale, anche mettendosi in relazione con la sua famiglia e con gli altri suoi ambienti di vita” (art. 47 o.p. , comma 9). Nell’affidamento, pertanto, l’assistente sociale svolge un ruolo di grande significato, “per la considerazione positiva che egli esprime nei confronti della persona dell’utente e delle sue capacità” (Breda, Sabattini, Coppola, 1999) e per i contenuti tecnico-professionali che caratterizzano il suo intervento, tra cui: i colloqui con l’affidato, l’analisi dei problemi che emergono nel corso della relazione, l’attivazione di capacità critiche della persona, il raccordo con i nodi delle reti che possono

avere un ruolo nella situazione seguita.

Anche nei confronti della magistratura di sorveglianza il servizio sociale svolge un ruolo importante, essendo chiamato, nella gestione dell’affidamento, a riferire “periodicamente al magistrato di sorveglianza sul comportamento del soggetto” (art 47 o.p., comma 10). Attraverso la scrittura professionale, nelle relazioni che periodicamente vengono inviate sull’andamento dell’affidamento, l’assistente sociale indubbiamente esprime potere ed autorità professionale. Oltre a mettere in luce gli elementi di progresso del percorso della persona seguita, di verifica delle attività finalizzate al reinserimento, in particolare quella lavorativa, egli può essere chiamato anche a riferire e segnalare su aspetti che possono configurarsi come violazioni delle prescrizioni da parte dell’affidato. Ciò che contraddistingue comunque la relazione del servizio sociale (differenziandola ad esempio dai rapporti scritti delle autorità di polizia) è l’obiettivo di non limitarsi alla comunicazione e descrizione di fatti, ma di offrire valutazioni di carattere professionale che consentano alla magistratura di sorveglianza di orientarsi al meglio, rispetto alle decisioni da prendere, anche di natura restrittiva (ad esempio sulla sospensione/revoca dell’affidamento).

Si può quindi affermare che la specificità dell’affidamento in prova al servizio sociale sta “nell’intenzione dell’autorità di stabilire con il condannato un rapporto nuovo, ispirato a una ragionevole fiducia, ove ai tradizionali controlli di polizia condotti in termini meramente oggettivi, (…) si sostituisce un controllo esercitato nell’ambito di un’azione più ampia, connotata essenzialmente dalla volontà di comprensione e di aiuto rispetto alle difficoltà soggettive in cui l’affidato si trova” (Ibidem, p. 288). Nell’affidamento in prova, cioè, il controllo della condotta e l’aiuto alla persona sono due aspetti integrati, insiti nel mandato attribuito al servizio sociale. Sono quindi estranei alla ratio di questa misura alternativa controlli sistematici e invasivi delle forze di polizia - sebbene essi, nella pratica, a volte avvengano -. D’altronde, una concezione di controllo come repressione, “come inibizione del diritto e di capacità di autodeterminazione dell’utente, (…) sarebbe incompatibile con i principi e la metodologia del servizio sociale” (Neve, in Ministero di Grazia e Giustizia, DAP, 1997, p. 66).

Dal punto di vista tecnico-professionale vi sono alcuni fattori di particolare rilievo ai fini della buona qualità degli interventi del servizio sociale nell’affidamento in prova, fra i quali sottolineiamo: una gestione della misura alternativa che rispetti al tempo stesso il criterio della massima comprensione della persona e quello del rispetto delle prescrizioni fissate dalla magistratura, una collaborazione tra servizio sociale e magistratura di

sorveglianza basata sul reciproco rispetto dei ruoli, una concreta integrazione del servizio sociale penitenziario con gli altri servizi istituzionali ed altri soggetti significativi del territorio a cui la persona fa riferimento (privato sociale, associazionismo, eccetera).

Differisce dall’affidamento in prova al servizio sociale a cui abbiamo fatto sin qui riferimento l’affidamento in prova “in casi particolari” (o “terapeutico”) (art. 94 testo unico 309/1990), che è riservato a soggetti tossico o alcooldipendenti che intraprendono o hanno in corso un programma di recupero. Si tratta di un’alternativa anch’essa concepita come una prova, che si svolge totalmente al di fuori del carcere e dunque con ampi margini di libertà per chi vi è sottoposto. Il ruolo dell’assistente sociale dell’UEPE, nel quadro di questa misura alternativa, si caratterizza per la stretta collaborazione con i servizi specializzati per le dipendenze, i SERT (o SERD, a seconda della denominazione data a livello regionale), afferenti alle Aziende sanitarie locali (ASL) e quindi al servizio sanitario nazionale. Questi servizi, in cui operano équipe multiprofessionali, composte da personale medico-sanitario, assistenti sociali, educatori, predispongono e seguono programmi di recupero, che perseguono finalità essenzialmente di carattere terapeutico-riabilitativo. I programmi si possono svolgere sia all’interno di comunità di recupero, che comunque prevedono contatti con l’esterno (più o meno ampi, a seconda della fase del programma e dal tipo di comunità), sia a livello ambulatoriale e quindi con contatti più diretti tra la persona e il suo territorio di riferimento. Mentre gli operatori del SERT seguono direttamente gli aspetti legati al percorso terapeutico, di cura dalla dipendenza, all’assistente sociale dell’UEPE sono affidate attività che riguardano maggiormente aspetti penali, in diretto collegamento con il magistrato di sorveglianza, al quale vengono trasmesse relazioni di aggiornamento e valutazioni riguardanti richieste, comunicazioni, osservazioni dell’utente inerenti il percorso di reinserimento sociale. L’assistente sociale, anche per questa tipologia di affidamento, svolge compiti di aiuto e controllo.

Come si vedrà in seguito nella presentazione di alcuni dati, l’affidamento “ordinario” (art. 47 o.p. ) e l’affidamento “terapeutico” (art. 94 testo unico n. 309/1990) rappresentano la parte numericamente prevalente delle misure alternative e dunque particolarmente rilevante per l’impegno del servizio sociale.

Oltre all’affidamento vi sono altre due misure alternative previste dalla legge, in cui il servizio sociale è chiamato a svolgere delle attività: la semilibertà e la detenzione domiciliare, disciplinata da una normativa complessa che ne prevede diverse tipologie (la più importante è quella disciplinata dall’art. 47ter o.p.).

carcere per svolgere “attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento nella società” (art. 48 o.p.). Per quanto riguarda il ruolo del servizio sociale vi sono delle differenze sostanziali rispetto all’affidamento. Tra quelle più rilevanti vi è quella legata al tipo di persone a cui al misura è rivolta. Mentre la semilibertà sopraggiunge più spesso nel corso dell’esecuzione penale in carcere, come beneficio concesso all’interno di un percorso trattamentale intramurario dopo che il soggetto ha scontato una parte di pena (stabilita per legge, in base a diverse variabili), l’affidamento riguarda persone che non sono più in carcere o che non vi sono mai state. Mentre l’affidato si trova in una condizione che ha ampi margini di libertà, il semilibero si trova in una situazione che è “a metà strada” tra la detenzione e la libertà. La semilibertà infatti è gestita al tempo stesso sia dagli operatori dell’istituto che dagli assistenti sociali dell’UEPE. Di conseguenza c’è “una integrazione operativa e una di distribuzione concordata degli interventi fra servizio sociale e istituto” (Breda, Sabattini, Coppola, 1999, p. 191-192) e la responsabilità di trattamento del semilibero resta affidata alla direzione del carcere. Queste differenze incidono sulle funzioni del servizio sociale, che comunque, anche nella semilibertà, integrano l’aiuto con il controllo.

Inizialmente concepita, con la legge n. 663/1986, come possibilità di detenzione attenuata per persone con particolari esigenze (legate ad esempio a condizioni di malattia), la detenzione domiciliare è una misura a cui la magistratura di sorveglianza fa sempre più ampio ricorso. È disciplinata da vari articoli di legge, che ne hanno progressivamente ampliato tipologia e possibilità di applicazione: rispetto alle altre misure alternative si rileva infatti, come si vedrà in dettaglio nel successivo paragrafo 4, che mentre il numero dei condannati in semilibertà si è attestato nel corso degli anni su livelli complessivamente stabili, quello dei detenuti domiciliari è cresciuto notevolmente, avvicinandosi a quello degli affidati. La detenzione domiciliare può essere concessa a condannati che si trovano in libertà o anche detenuti e consiste nello scontare la pena presso un domicilio o una struttura, sia pure con possibilità di uscire all’esterno - di solito per qualche ora, secondo le disposizioni fissate dalla magistratura di sorveglianza -. In letteratura si evidenzia come l’Ordinamento Penitenziario (in particolare all’art 47-ter o.p.) non faccia riferimento esplicito a contenuti rieducativi della misura alternativa (Ibidem): la detenzione domiciliare quindi pone notevoli limiti, per come è stata concepita dal legislatore, ad interventi di servizio sociale che siano effettivamente finalizzati alla risocializzazione del condannato; pur essendo comunque previsti dalla normativa e - dalla magistratura di sorveglianza che la applica - interventi di assistenza da parte dell’UEPE.

Questa misura si caratterizza per essere molto più restrittiva degli spazi di libertà, rispetto soprattutto all’affidamento. Per quanto riguarda il regime dei controlli, va precisato che per la detenzione domiciliare esso è di competenza diretta dell’Autorità giudiziaria, che lo attua attraverso la polizia giudiziaria (le forze di polizia).

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