3.1 Reazioni individuali alla crisi, mancanza di impegno collettivo, valorizzazione delle risorse territoriali
Dall’analisi delle interviste è emerso che le reazioni alla crisi e al restringimento di risorse sono prevalentemente di carattere individuale. Tra i professionisti intervistati, non vi è indifferenza rispetto all’attuale fase storica, tuttavia, di fronte alle difficoltà quotidiane e ad alcune carenze oggettive, le azioni per il cambiamento a livello di gruppo sono poche e i singoli reagiscono solo verbalmente e con strategie di adeguamento.
Più che altro c’è sempre qualcuno che reagisce a livello individuale. La mia esperienza di gruppo … no, non ci sono state azioni collettive, di protesta. (ED18)
Non azioni come gruppo, no. Sì, qualche commento, commenti che fai, commenti quando sai che c’è il periodo dei rinnovi [degli incarichi] … rispetto ai tagli di cui dicevo (…) quello sì, ma a livello personale, ma non azioni per fare qualcosa, per contrastare. (PS19)
È stato finora un … rendersi conto di difficoltà che possono nel futuro aumentare e quindi un … accontentarsi. Non è che non abbiamo fatto. Sicuramente non in maniera così incisiva. Non mi sento di dire che abbiamo fatto le BATTAGLIE per … . (AS41) Io mi adeguo, però nello stesso tempo cerco sempre di … cerco di non eliminare il problema e quindi ricordo a chi di dovere la difficoltà che c'è, nonostante il fatto che io tranquillamente mi adeguo […]. Cerco comunque di far presente le cose, non sempre, non insisto. (AS32)
Tra le diverse figure professionali, quelle dell’educatore e dello psicologo esprimono il fatto che non vi siano state prese di posizioni collettive, di gruppo. Tra gli assistenti sociali solo una minoranza degli intervistati mette in luce azioni a livello collettivo, ad esempio dell’Ordine degli assistenti sociali.
Io parlo del livello regionale, di come ci si sta muovendo. Io sono iscritta all'Albo degli assistenti sociali [….]. Si sta muovendo proprio in termini di denuncia di una situazione sempre più difficile, sempre più iniqua e sempre di maggior ingiustizie, iniquità, di mancanza di opportunità uguali per tutti. Sicuramente su queste cose … non so se si fa abbastanza, se si fa troppo poco … nel senso che negli uffici raramente si spiega
questo, però mi pare che il nostro Ordine si sta muovendo, non c'è indifferenza, molte iniziative si stanno iniziando a fare, rispetto a quelle cose stanno prendendo delle iniziative. (AS12)
È prevalente invece la constatazione di una scarsa capacità di iniziativa sui temi relativi alle politiche sociali, alle ristrutturazioni e alle conseguenze di queste sul settore penitenziario. Sebbene in alcune realtà territoriali vi siano state negli anni mobilitazioni su specifici problemi, ad esempio carenze di spazi o di personale, con azioni sindacali, pare carente un senso di comunità professionale che elabori proposte e prenda posizioni a livello di gruppo.
[C’è] una certa stanchezza, una certa difficoltà ad andare oltre al lamento, al dire “vabbè”, ma questo … capiamo cosa sta succedendo, ma non abbiamo la forza, la capacità di andare oltre, di proporre qualcosa. (AS13)
Non c'è una comunità professionale, anche all'interno di uno stesso ufficio, come questo […], ognuno ha la convinzione di lavorare da solo, la convinzione di essere un individuo solitario che si smazza qualsiasi cosa e quando proprio non ne può più si confronta con la collega d'ufficio, piuttosto che fa la segnalazione, mai scritta, alla direzione o al diretto superiore. Però poi per il resto tutto continua ad andare come è sempre andato. (AS14)
La reazione della comunità professionale … certamente rispetto alle ultime cose c’è stata reazione da parte di qualche collega, però poca … poca. […] Ma … ormai c’è rassegnazione, la gente secondo me non ha più voglia. (AS2)
Non ho proprio visto un’elaborazione comune, riunirsi in gruppo, parlarne, no. Alla fine queste cose si sono subite, si subiscono quotidianamente. Non qui, ma in altri servizi mi sembra che alcuni … diventano quasi arrendevoli. Io non so se si sono fatte riunioni, io non ho sentito nulla. (AS31)
Va anche ricordato, a fronte di queste attuali tendenze, che negli anni una parte degli assistenti sociali del settore giustizia si è impegnata in esperienze di sensibilizzazione, informazione, interventi pubblici, diffusione di conoscenza sulle tematiche del servizio sociale nel settore penitenziario, attraverso convegni, studi, documenti. Anche se ora interrotta, proprio in ragione di una minore sensibilità e capacità d’iniziativa di cui si è appena detto, l’esperienza del Coordinamento Assistenti Sociali Giustizia (CASG) è stata estremamente significativa, anche rispetto alla letteratura specifica che è stata prodotta
su argomenti quali: carcere e territorio, complessità del servizio sociale nel sistema giustizia, giustizia riparativa (Cellentani, Piromalli, 1996; Muschitiello, Neve, 2003; Ferrario, Muschitiello, 2004; Trecci, Cafiero, 200731). Gli assistenti sociali, pertanto, sono stati in grado di valorizzare, nell’ottica della multidimensionalità che caratterizza la loro professione (Dal Pra Ponticelli, 1987; Sicora in Dal Pra Ponticelli, 2005), anche attività di studio, di rilevazione di risorse nei territori, di proposta.
Oggi queste attività sono poco presenti, tuttavia, di fronte alla carenza di risorse e di intervento del settore pubblico, si registrano anche idee per azioni concrete dei professionisti del servizio sociale, tese alla ricerca di soluzioni nuove. Queste fanno leva sulla creatività, sulla volontà di sperimentare percorsi innovativi, che coinvolgano per esempio soggetti del territorio nuovi, anche nel privato.
Sulla deriva del welfare io non sono tra quelli che dice “basta tagli” e quindi non c’è altro di cui parlare […]. Secondo me il fatto che nei servizi sociali ci sono meno soldi sarà una risorsa, perché quando hai meno soldi, hai la pancia vuota, tendi a farti venire delle idee. (AS38)
Oggi siamo in una situazione in cui non so quanto, quante saranno le risorse disponibili e questo è stato anche il motivo che ha spinto a individuare altre risorse. Noi come regione ci siamo rivolti alla fondazione Cariplo, che ha fatto questo grande bando, ovviamente un bando sperimentale, legato solo ad alcuni territori, quindi a tre territori, i più grossi come bacino d'utenza, ma ovviamente esclusi altri. Detto questo io credo che sia importante fare in modo che a fronte dell'esiguità di risorse disponibili si attivino anche altri canali, nel senso che il pubblico in questo momento è in oggettiva grande crisi, io credo che la carenza di risorse abbia spinto, sia stata un po' la molla che ha fatto cercare altrove e quindi il fatto di aver favorito anche delle sperimentazioni particolari in tutti gli ambiti […] cercando comunque di fare un'azione di sistema, non sporadica, il tentativo anche di rivolgersi ad altri meccanismi di finanziamento, ma facendo anche lì, dopo una fase abbastanza lunga di finanziamento di singoli progetti, cercando di fare un ragionamento un po' più di intervento
31 Questi riferimenti bibliografici sono relativi a testi contenenti gli atti di convegni nazionali organizzati dal CASG. Nel 2007 si è tenuto l’ultimo convegno del CASG prima della sospensione delle sue attività, dal titolo significativo “Dal penale al sociale: quale giustizia, quale pena, quali servizi”. Ricordiamo che anche l’Ordine professionale degli assistenti sociali ha svolto negli anni convegni sul servizio sociale penitenziario. Aggiungiamo infine che esiste ed è tuttora attiva una ricca fonte informativa, un blog consultabile in internet, specifico su tale ambito professionale: http://solidarietaasmilano.blogspot.it.
integrativo rispetto al pubblico. Allora questo sicuramente è un elemento (…) poi c’è stato, per quanto riguarda la mia persona, anche il piacere di sperimentare strade nuove, quindi di fronte alla carenza di risorse, la risposta individuale è stata “attiviamoci e cerchiamo altre strade, strade nuove”. Che poi è molto faticoso. (AS16) C’è quindi l’esigenza di sviluppare quella capacità, propria del servizio sociale, di integrare in una visione d'insieme l'intervento di aiuto-sostegno alla persona, la progettazione e organizzazione di servizi, lo sviluppo e l‘integrazione di diverse risorse del territorio. È, questa, un’esigenza diffusa principalmente gli assistenti sociali dell’Amministrazione penitenziaria, che negli anni hanno cercato di potenziare il loro lavoro con il territorio (una delle risorse del servizio sociale nel settore penitenziario, che riprenderemo più diffusamente nell’ultimo capitolo).
C’è stato anche da parte nostra … il disegnare, ipotizzare, realizzare quella che è la rete sociale del territorio, collaborare affinché questa rete avesse effettivamente corpo, con gli altri uffici, enti del volontariato, enti del terzo settore, anche enti finanziatori, come la fondazione Cariplo, la fondazione Moneta e altri. Ecco, dico, questa rete sociale ha cominciato a guardare anch’essa all’interno del nostro lavoro e ha cominciato a capire cosa c’è dentro. (AS9)
3.2 Politiche sociali e settore penitenziario: un percorso complesso di apertura all’esterno
A fronte delle rappresentazioni di carenze oggettive e delle reazioni, anche costruttive, alle difficoltà presenti oggi per le professioni di aiuto nel settore penitenziario, occorre sottolineare una visione più ampia e di lungo periodo. Ciò può aiutare a collocare meglio mutamenti e condizioni attuali rilevati dalla ricerca empirica. I testimoni privilegiati e i professionisti con maggiore anzianità, in particolare coloro che si sono trovati a lavorare negli anni immediatamente successivi all’introduzione dell’Ordinamento Penitenziario, constatano il legame che storicamente si è venuto a creare tra politiche sociali e settore penitenziario.
Da un posizionamento strano, chiusa dall'interno di un'istituzione totale, ho attraversato tutti i mutamenti sociali e politici. E in questa regione [si riferisce alla Lombardia], devo dire è stata una delle prime, le politiche sociali a un certo punto hanno incominciato attraversare anche il nostro settore. Ricordo, il primo decennio della mia attività professionale, il carcere era completamente avulso da qualsiasi
coinvolgimento delle politiche sociali, quindi eravamo estremamente chiusi, autoreferenziali e quindi anche l'offerta era proprio autoreferenziale. E quindi questo processo io lo vedo ed è stato un processo lento, perché parliamo di 30 anni, però se penso da dove siamo partiti, dove siamo arrivati … sicuramente c'è stato un grosso investimento in un certo periodo di anni e adesso è come se, in una situazione di crisi, c'è il momento della regressione, della flessione. (ED15)
Questo brano d’intervista richiama il superamento di interventi meramente di custodia e di gestione della separazione dei rei dalla società, avvenuto attraverso l’introduzione di politiche per l’inclusione. L’istituzione carceraria, da questo punto di vista, oggi è “meno totale” rispetto a 30 anni fa. Quella attuale può essere letta come una fase regressiva, di minore investimento sull’esterno. In generale si coglie una fase di “stallo”, dovuta ad un ripensamento sulla funzione della pena e, di riflesso, del rapporto tra questa funzione e le politiche sociali. Si registra tra i professionisti intervistati una situazione di attesa, in una fase storica che vede privilegiare politiche di “sicurezza”, finalizzate al contenimento di determinati fenomeni di criminalità, piuttosto che indirizzate al carcere e al sistema penitenziario come strumenti di reinserimento nella società. Ciò emerge anche dalle analisi che fanno riferimenti all’attuale fase politica che attraversa il nostro paese.
C’è difficoltà. Per esempio prima era molto più facile far valere … probabilmente la stessa idea del carcere era sentita dalla comunità come un settore, un ambito importante, alle quale anche le forze politiche davano attenzione. Oggi no. Pensa al discorso delle risorse, ai tentativi dello stesso capo del Dipartimento, che ha tentato di incidere nell’ambito della finanziaria, affinché comunque non ci fosse il blocco delle assunzioni, non ce l’ha fatta! Quindi questo la dice lunga ed è preoccupante. Questo anche in termini di investimento e di tagli. (AS27)
È sentito, evidentemente, un problema di scelte politiche “dall’alto”: vi sono differenze di idee all’interno delle stesse linee governative (il capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria è di nomina governativa). Si coglie, nelle rappresentazioni di diversi intervistati, un sorta di estromissione dall’agenda politica nazionale del settore penitenziario, avvenuta negli ultimi 10-15 anni.
Io ricordo, sarà stato 10-15 anni fa, c’era il governo Prodi […] c’era una diversa politica del carcere. Il carcere era un momento … si credeva nella fase di espiazione della pena, ma come fase rieducativa, come aggancio, come contatto. (PS20)
La rappresentazione di questa tendenza trova conferma nell’analisi di alcuni testimoni privilegiati.
Un certo modello per un certo numero di anni l’abbiamo avuto, c’è stata una fase, anche non molto lontana in cui il Ministro della Giustizia operava concretamente di pari passo col Ministro della Salute, con il Ministro delle politiche sociali. Quando il Ministro della salute era la Bindi, e quello delle politiche sociali era la Turco, c’era uno scambio tra i Ministeri e col Ministro della Giustizia. E quindi qualcuno aveva una funzione trainante … ma perfino il Ministro degli Interni. Io ricordo la conferenza internazionale sulla droga. Napolitano era il Ministro degli Interni e si occupava di questi problemi. (TP1)
Ci sono anche valutazioni che individuano, da parte dell’amministrazione centrale statale, un’assenza permanente di progettualità. C’è sicuramente una spinta riformatrice, a cui appartiene anche la riforma penitenziaria del 1975, che è una fase di grande speranza fino alla legge “Gozzini” del 1986. Ad essa tuttavia non segue una reale politica di programmazione ed attuazione della normativa riformatrice, in particolare sul collegamento tra interno ed esterno.
La nascita dell'Ordinamento Penitenziario si colloca nella stagione delle grandi riforme … del diritto di famiglia, sanitaria, eccetera. La finalità delle riforma è un bel passo in avanti […]. La legge ci adegua all'Europa … è un passo in avanti, enorme, ma ad essa non segue la politica, come è stato per la riforma del diritto di famiglia. Segue l'attuazione della norma. L'attuazione di una norma non è detto che corrisponda sempre a una politica di programmazione di quella norma. […] Diciamo che c'è l'azione di spinta delle grandi riforme … quello che precede è stato per me il momento eroico, poi c'è il momento della grande speranza e della proposizione, l'espansione (…) e a mio avviso va fino all'86. Quando si arriva a questo punto sembrerebbe di aver piantato un chiodo nella montagna e dici “beh, adesso vado avanti” … no, si scende […]. È un problema politico, che si collega alla mancanza di politica nel penale-esterno da parte dell'amministrazione … proprio non è stata fatta. (TP5)
A fronte di questo, al di là delle dinamiche che riguardano l’amministrazione centrale dello Stato, l’attenzione alle tematiche penitenziarie è presente e risulta piuttosto sedimentata nelle specifiche realtà regionali. Viene sottolineato, ad esempio, come l’applicazione della legge nazionale di riforma dell’assistenza (legge n. 328/2000) abbia trovato applicazione in Lombardia anche mediante la previsione di finanziamenti specifici
per il settore penitenziario.
La legge quadro sull’assistenza che è quella che ha … ridisegnato in qualche modo l’organizzazione … è quella che ha istituito i piani di zona … almeno dal mio punto di vista in Lombardia è stata collegata con le politiche penitenziarie e quindi sta producendo anche delle interessanti modifiche rispetto a come i territori possono finanziare le azioni all’interno degli istituti, di tipo trattamentale. Però è una situazione molto specifica della Lombardia, non so quanto possa essere rappresentativa del livello nazionale. Però c’è stata una legge ad hoc (…) che ha istituito un fondo apposito per il penitenziario per il trattamento dei detenuti all’interno del carcere e all’esterno, per le misure alternative. Questa legge è stata accompagnata negli ultimi anni da tutto un lavoro di formazione, per cercare di fare in modo che questi finanziamenti venissero utilizzati a livello dei piani di zona … c’è stato tutto un lavoro … siccome i piani di zona il carcere lo ignoravano … c’è stata un’azione forte in collaborazione tra Regione, ASL e PRAP, per cercare di portare le decisioni che riguardavano il carcere nella dimensione territoriale, nella programmazione territoriale … dando anche finanziamenti ad hoc, perché altrimenti i finanziamenti nel welfare generale rispetto al carcere sarebbero stati pari a zero. (AS2)
Opportunamente viene rimarcata la specificità della regione Lombardia, ma va detto che lo sforzo di portare nella programmazione territoriale decisioni inerenti il settore penitenziario c’è anche nelle altre realtà prese in considerazione. Si pensi, ad esempio, all’esperienza richiamata da diversi intervistati del territorio piemontese dei Gruppi Operativi Locali (GOL), composti da operatori dell’Amministrazione penitenziaria, degli enti locali, dei servizi sociali e sanitari, del mondo del lavoro e del volontariato e coordinati da Province e Comuni. Obiettivo prioritario dei GOL, attivi già dagli anni’90, è una programmazione concordata sui temi della prevenzione della devianza, delle iniziative rivolte a persone in esecuzione penale, sia all’interno degli istituti che sul territorio, e sulle politiche tese al reinserimento sociale e lavorativo di detenuti ed ex detenuti32.
Si può affermare che nelle aree considerate il legame tra il sistema penitenziario e istituzioni esterne è diffuso. Esso si realizza nell’ambito di un’apertura al territorio che
32 Politiche che hanno prodotto in Piemonte, fra l’altro, specifici strumenti normativi, come la legge regionale n. 45/1995 (“Impiego di detenuti in semilibertà o ammessi al lavoro all’esterno per lavori socialmente utili a protezione dell’ambiente”) e la legge regionale n. 28/1993 (“Misure straordinarie per incentivare l’occupazione mediante la promozione e il sostegno di nuove iniziative imprenditoriali e per l’inserimento in nuovi posti di lavoro rivolti a soggetti svantaggiati”).
vede l’impegno di diversi soggetti, che negli anni ha avuto un proprio sviluppo. Ciò si coglie in modo particolare nelle rappresentazioni dei professionisti con maggiore anzianità e che operano nelle realtà metropolitane.
Quello che secondo me rimane, al di là di questi momenti di flessione eccetera, e che si è sedimentato, attraverso questo processo culturale, è che il carcere non è un bene chiuso appartenente solo all'Amministrazione penitenziaria, ma tutti gli attori sono chiamati a concorrere a questo processo. (…) È vero che c’è una norma dell'ordinamento, però la norma era rimasta norma, noi siamo quelli che stiamo lì [si riferisce all’interno del carcere], ma chi deve ruotare attorno sono tutti gli altri. Questo secondo me è un processo culturale che si sente più sedimentato. E adesso (…) si muove intorno a questo anche un processo di natura economica, perché laddove gli enti, tutte le istituzioni hanno cominciato a … come dire … far scorrere flussi economici, è chiaro che si è introdotto, anche in questo quadro, questo sistema che ha generato lavoro, professionalità, specializzazione. Ecco, per esempio io sono entrata in un momento in cui quello che esisteva era il piccolo volontario, mosso da anima caritatevole e pia. Stop. Adesso siamo su un settore in cui il volontariato, il terzo settore, la società tutta ha delle grosse specializzazioni, adesso ognuno di loro ha un pezzo, una fetta, un investimento. (ED15)
4. Una sintesi tra scelte politiche, impegno a livello locale, motivazione individuale
In sintesi, da quanto analizzato finora, emerge che nell’attuale fase di crisi del welfare, il settore penitenziario si trova ai margini dell’agenda politica nazionale, ma è al tempo stesso impegnato, con un proprio ruolo, nel welfare locale. È un impegno che sembra consistere oggi nella difesa e nel consolidamento di alcune posizioni acquisite nel lungo periodo, ad esempio nell’ambito della programmazione territoriale e delle politiche sociali a livello locale.
Emerge anche che il legame tra politiche sociali e settore penitenziario passa attraverso il rapporto con il territorio, nei confronti del quale si coglie una progressiva apertura, che tuttavia appare ancora parziale e notevolmente differenziata rispetto alle realtà regionali, locali e alle articolazioni periferiche dell’Amministrazione penitenziaria. In proposito la ricerca empirica ha messo in evidenza come l’apertura al sociale può essere scarsamente presa in considerazione dalla stessa istituzione penitenziaria. Accade infatti
che questa possa essere poco interessata all’apporto che i diversi soggetti (istituzionali, del tessuto produttivo, del privato sociale, eccetera) possono dare al complesso del welfare, pur in presenza di un territorio ricettivo e sensibile.
Io ho vissuto quest’esperienza nell’ultimo anno, dove lavoravo la comunità [quella esterna al carcere] era molto partecipe, molto attenta, tradizionalmente attenta, interessata. Peccato che avesse una scarsa accoglienza da parte del carcere. […] Perché far entrare persone è sempre una cosa destabilizzante per un carcere, perché ai progetti si possono frapporre duemila difficoltà burocratiche, perché in fondo siamo