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ATTORI E STRATEGIE DI INTERVENTO LEGATE AI CICLI ECONOMIC

Declino, crisi e insolvenza sono concetti che fanno parte del bagaglio terminologico tipicamente impiegato in scenari di crisi d’impresa e non sempre utilizzati propria- mente nel contesto a cui sono riferiti.

L’individuazione del momento in cui l’impresa entra in crisi è fondamentale poiché rappresenta il momento a partire dal quale i vari componenti degli organi di governo e di controllo della società devono adottare, rispettivamente, gli opportuni provvedi- menti per elaborare e avviare le politiche di risanamento e monitorare le azioni intraprese dal management.

L’individuazione temporale puntuale, sotto il profilo temporale, dello stato di crisi è determinante anche per l’attivazione delle procedure volte a scongiurare il fallimento. L’equivoco tra “crisi” e “insolvenza”, non infrequente nella prassi, può infatti compromettere in modo irrimediabile la possibilità di cogliere le opportunità “pre- fallimentari” offerte dalla legge, con conseguente grave pregiudizio della continuità dell’impresa e degli interessi dei vari stakeholders.

Nelle situazioni di crisi, diversi soggetti, coinvolti a vario titolo e quindi con ruoli diversi, condividono l’esigenza di percepire puntualmente e tempestivamente gli alert premoni- tori dello stato di crisi. Nel disegno di legge predisposto dalla c.d. “Commissione Rordorf” è affermato un principio generale volto ad individuare procedure di allerta tramite cui imporre agli organi di controllo societari, al revisore legale dei conti o alla società di revisione, l’obbligo di avvisare immediatamente l’organo amministrativo della società dell’esistenza di fondati indizi della crisi. Nel DDL si propone di apportare anche alcune modifiche al codice civile finalizzate ad affermare “[ ] il dovere per l’imprenditore e degli

organi sociali di attivarsi nel momento in cui sia stato rilevato uno stato di crisi ovvero la perdita della continuità aziendale, per l’adozione tempestiva di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento al fine del superamento della crisi ovvero per il recupero della continuità aziendale”.

Elaborare e attuare le strategie finalizzate ad affrontare e superare la crisi è dunque compito preminente e inderogabile dell’imprenditore e del suo management. Ciò richiede un’adeguata “cultura della crisi”, necessariamente diversa dalla “cultura aziendale” adottata in un contesto di “non sofferenza”, nel quale il management è sostanzialmente orientato alla performance aziendale in un’ottica di espansione e di sviluppo o anche solo di conservazione e di consolidamento dei risultati. Gli attori della gestione della crisi devono, invece, adottare comportamenti improntati a risolutezza e tempestività della loro azione, dovendo spesso segnare una soluzione di discontinuità con il passato.

Il fattore tempo è uno dei principali fattori chiave di successo nell’iter di risanamento di un’impresa in crisi. Il passaggio da una situazione di declino ad uno stato di crisi potrebbe essere solo una questione di tempo, peraltro anche molto breve; così anche il passaggio dalla crisi allo stato di insolvenza. Il management, dunque, come già osservato, deve essere capace di intervenire, cogliendo tempestivamente i rischi che minacciano l’azienda e approntando una strategia che sia adeguata a conferire stabilità all’impresa per superare la crisi e riassicurare in tal modo la continuità aziendale.

In letteratura esistono diversi modelli e schemi teorici che propongono strategie di risanamento costituite da un insieme di azioni impiegate allo scopo di interrompere il declino e favorire il ritorno all’economicità.

Un primo modello di strategia di risanamento è quello che basa la scelta degli interventi in relazione al posizionamento del business dell’azienda rispetto al punto di equilibrio. Trattasi del cosiddetto contingency approach proposto da Hofer. Se per esempio un’azien- da si presenta fragile sia sotto il profilo competitivo sia sotto il profilo operativo, le ipotesi percorribili sono o la messa in liquidazione o l’avvio di un turnaround strategico e operativo1.

In opposizione all’approccio basato sull’health strategica e operativa si pone il modello basato sulla quota di mercato e il grado di utilizzo della capacità produttiva. Ad esempio imprese con bassa utilizzazione della capacità produttiva prediligono la riduzione dell’at- tivo, laddove imprese con quote relativamente alte optano solitamente per la genera- zione di ricavi e la rifocalizzazione dell’attività2.

Un altro modello di intervento nella gestione della crisi (S. Slatter) propone dieci tipo- logie di action miste, con interventi sia strategici sia operativi, in cui le contingencies sono:

• le cause del declino e della crisi; • l’intensità della crisi;

• gli atteggiamenti e le aspettative degli stakeholers; • la storia pregressa dell’impresa;

• le caratteristiche del settore di attività;

• la struttura costi-prezzi delle aree di affari in cui opera3.

Il modello proposto da Hoffman si basa su un modello di turnaround, espressione di una combinazione di azioni operative (modifiche del business aziendale) e di azioni strategiche (cambiamento del tipo di business aziendale).

Gli studi più recenti in tema di risanamento seguono un’impostazione secondo la quale i processi di turnaround si basano sostanzialmente sulle seguenti fasi:

• la fase di retrenchment (ridimensionamento): l’obiettivo è quello di stabilizzare il declino e riavviare il cash flow. Le opzioni attuabili sono diverse: liquidazione, disinvestimento, aumento dell’efficienza operativa, eliminazione dei prodotti, riduzione del personale, ecc.;

• la fase di recovery: stabilizzata la fase di declino, si attua la strategia di rilancio attraverso adeguate politiche di investimento, introduzione di nuovi prodotti, ingresso in nuovi mercati, ecc.

1 Secondo Hofer il turnaround strategico comporta un cambiamento di strategia sulla base di tre opzioni: a) spostamento verso un raggruppamento strategico più ampio; b) cambio delle “armi competitive” e delle competenze-chiave per meglio competere nel raggruppamento attuale; c) spostamento verso un raggruppamento strategico meno ampio. Il turnaround operativo, prevede, invece, le seguenti opzioni: a) riduzione delle attività per imprese molto al di sotto del break even point (BEP); b) generazione di ricavi per imprese non distanti dal BEP; c) riduzione dei costi per imprese poco al di sotto del BEP. 2 Danovi A. “Crisi aziendali e processi di risanamento”, IPSOA, 2012, Milano.

Le possibilità di successo delle operazioni di turnaround sono strettamente legate al

management che le governa. I turnaround managers sono professionisti o, più

frequentemente, società specializzate. Generalmente l’attività dei turnaround manager si concretizza in un temporary management, con funzione in un intervallo temporale compreso tra un minimo di 6 ad un massimo di 24 mesi a seconda delle dimensioni aziendali e dalla complessità delle operazioni da compiere.

Le competenze del turnaround manager sono quelle tipiche di un buon manager (esercizio della leadership, propensione all’ascolto, capacità di motivare, orientamento al problem solving, indipendenza di giudizio, ecc.) a cui si affiancano professionalità con specifiche competenze in ambito giuridico, finanziario e amministrativo (dottori commercialisti e avvocati).