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I CICLI ECONOMIC

2 L’ANALISI DELLA CONGIUNTURA

2.1 LA CONSAPEVOLEZZA DELLA STORIA PRESENTE

La congiuntura è un concorso di vicende e di circostanze che determinano il compor- tamento ciclico del sistema economico. È però necessario riassumerle e mostrarle con delle rilevazioni statistiche; per questo si fa prima di tutto uso della variabile macroeco- nomica principale: il Prodotto Interno Lordo1 (PIL), a prezzi costanti. Le sue variazioni

annue, o trimestrali, più raramente mensili, sono rilevate dagli uffici nazionali di sta- tistica, e hanno un significato reale, di diminuzione, di aumento o di stagnazione dell’atti- vità produttiva, perché non comprendono le variazioni dei prezzi dei beni e dei servizi prodotti.

Si parla di avversa congiuntura nelle fasi decrescenti del ciclo, quando la domanda, la produzione e l’occupazione diminuiscono per almeno due trimestri consecutivi, e il sistema è in recessione; ma anche quando in una successione di anni i tassi di aumento del PIL si riducono via via, pur mantenendosi positivi. La congiuntura favorevole (espansione) corrisponderà all’inverso, cioè ad un aumento della domanda, della produzione e dell’occupazione o, in una serie di anni, al verificarsi di tassi di variazione positivi e crescenti (gli aumenti percentuali aumentano!). Stagnazione vorrà dire che il PIL varia di poco, indicativamente con tassi compresi tra –1% e +1%: variazioni che denotano quantomeno un incepparsi della vitalità del sistema che, se non arretra, non è comunque in grado di suscitare nuove opportunità nei mercati.

Due momenti sono poi l’oggetto di difficili previsioni: quelli in cui il ciclo si inverte e l’aumento della produzione finisce dando origine a una recessione; e quello in cui finalmente si ritorna alla crescita del PIL (la ripresa).

L’analisi della congiuntura consiste nell’illustrare lo stato dell’economia con opportuni indicatori, a partire dalle variazioni dell’attività produttiva. Richiede un confronto delle statistiche raccolte in un certo numero periodi: almeno i trimestri degli ultimi due anni, e la conoscenza dei più importanti avvenimenti che caratterizzano lo scenario nazio- nale e quello internazionale.

All’impresa non interessano i singoli dati, quanto il loro significato, per capire che cosa accade e interpretarlo fino a confrontare i giudizi prevalenti degli esperti2 con i propri

programmi e prepararsi a reagire per difendersi o cogliere delle nuove opportunità.

1 Il PIL è la somma dei valori di tutti i beni e i servizi prodotti in una nazione in un periodo di tempo: di solito un anno o un trimestre.

2 Rapporti sulla congiuntura sono periodicamente pubblicati dalla Banca d’Italia (bollettini mensili), dall’OECD (Organiz- zazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) e dal Fondo Monetario internazionale (FMI) che pubblica due volte all’anno il World Economic Outlook, con previsioni per l’anno in corso e per quelli immediatamente successivi. Tutte le pubblicazioni sono reperibili nei rispettivi siti.

Per questi fini è importante conoscere la storia recente dell’economia della propria nazione, almeno nei suoi tratti essenziali. Se ne dà qui una sommaria dimostrazione e si mostrano, nella figura che segue, come si presentano i cicli dell’economia italiana, quando si considerino le variazioni annue percentuali del PIL reale (cioè non provocate da aumenti o diminuzioni dei prezzi dei prodotti). Nell’esaminare il grafico, i cicli si vedono dunque come aumenti dei tassi di variazione del PIL nelle fasi di espansione e come diminuzioni nelle fasi che sono dette di recessione.

Non è difficile notare gli andamenti regolari della congiuntura fino all’inizio degli anni ‘70, con il famoso ciclo che fu detto “miracolo economico”, tra la seconda metà degli anni ‘50 del secolo scorso e la seconda metà del decennio successivo. Non è invece confortante notare che nella lunga serie degli anni illustrata, una diminuzione annua del PIL accadde per la prima volta solo nel 1975, per effetto della prima crisi provocata dalla crescita dei prezzi del petrolio nell’autunno del ‘73. In anni più recenti, invece, nonostante il ritorno a una certa regolarità, nei due cicli degli anni ‘80 e ‘90, il PIL annuo si ridusse ben due volte, e cadde poi in modo ben più rilevante nel 2008 e nel 2009, per la crisi finanziaria mondiale, dalla quale il sistema economico italiano mostra di non essersi ancora ripreso.

Italia tassi annui % di variazione del Prodotto Interno Lordo a prezzi costanti

La palese incertezza degli ultimi anni indurrebbe a esaminare meglio i dati, scomponendo quelli annuali in dati trimestrali (il PIL è rilevato dall’ISTAT anche in periodi così brevi). Tuttavia non è questa le sede di una discussione sui possibili sintomi della tanto sperata ripresa. Si tratta soltanto di invitare chi legge a percepire l’importanza del riflettere sul presente in una prospettiva che sappia comprendere e giudicare il passato. Così, per esempio, è essenziale notare che tassi di crescita come quelli degli anni ‘60 non sono ripetibili. Allora il sistema produttivo doveva compiere le principali trasformazioni che lo hanno reso competitivo con quello delle altre nazioni. Nel presente invece le imprese operano in uno scenario in cui le nazioni ricche crescono a tassi ben più ridotti e sui mercati occorre faticosamente conquistarsi un

ruolo di rilievo, con innovazioni proprie e mutamenti di strategia che mettono a prova le abilità degli imprenditori, ben più di quanto accadesse nei decenni precedenti.

2.2 I FENOMENI CHE CARATTERIZZANO GLI SCENARI DELL’ECONOMIA

Gli economisti non possono prevedere il futuro. Lo hanno spiegato anche alla regina d’Inghilterra, che chiedeva loro conto del mancato allarme per l’approssimarsi della crisi finanziaria del 2008. Per la verità le critiche a loro rivolte non sono fuori luogo. Se non possono spiegare con precisione che cosa accadrà e quando, devono però segnala- re in che modo si delineano fenomeni che avranno influenza determinante sulla vita delle imprese. Non si tratta di prevedere i giorni e l’intensità degli uragani, ma indicare che si accumulano potenziali perturbazioni. Questo è l’aspetto più interessante della collaborazione tra economisti, sociologi e manager. I fenomeni congiunturali sono in realtà il frutto di tendenze che caratterizzano un periodo storico, non lungo, e da studiare con attenzione.

Non c’è dubbio, nel mondo globalizzato si stanno accumulando potenziali di nuovi cambiamenti, che avranno manifestazioni sulle congiunture che attendono i sistemi economici, e riguardano: l’evolvere della tecnologia, i problemi climatici e la domanda di energia, le dinamiche demografiche e l’immigrazione con i conseguenti rapporti, non mai semplici, tra le politiche delle nazioni. L’analisi della congiuntura diventa in questo modo un’appassionante disamina dei cosiddetti scenari3 che cambiano aspetto anno

per anno, come la scena di un teatro si modifica, cambiandone le quinte.

Così, per esempio, l’attuale ripresa è condizionata dalla capacità di riportare i sistemi finanziari, e in particolare l’agire delle banche, all’originaria funzione d’istituzioni che convogliano il risparmio delle famiglie e alimentano la capacità di sviluppo delle impre- se, senza poter eliminare i rischi, ma con un insieme di garanzie che derivano dalle leggi e dall’etica applicata agli affari.

Aspetti ben più interessanti riguardano oggi il nuovo ruolo di quelli che furono detti paesi emergenti: dalla Cina, all’India al Brasile, capaci ormai di operare in settori con tecnologie progredite, mentre si affacciano sulla scena mondiale le loro maggiori imprese. Non si riassumono qui le quinte dello scenario attuale, basti pensare però ancora a due fenomeni contraddittori: i segnali tanto attesi di sviluppo in Africa, accanto all’instabilità politica crescente nel Mediterraneo e ai pericoli delle lugubri guerre asimmetriche.

Più vicini alle competenze degli economisti sono altri grandi fenomeni sociali e politici della nostra epoca, che si tradurranno in avvenimenti capaci di caratterizzare uno o più anni:

• la ricerca di un assetto per l’Unione europea, inevitabilmente segnata dalla dif- ficoltà di armonizzare politiche economiche, le quali continuamente si rifletto- no sulla congiuntura di ciascuno dei membri;

3 Herman Kahn, fondatore dell’Hudson Institute è stato il precursore di una tecnica di previsione tendente a individuare il comporsi di circostanze, attraverso l’evolvere della realtà economica e politica presente. L’analisi della congiuntura non appartiene a queste metodologie, che cercano di spingersi avanti fin nel futuro, ma deve far tesoro delle analisi delle problematiche sociali che influiscono sull’attività delle imprese.

• gli indebitamenti dei molti stati per i quali non si conoscono i livelli di tol- leranza, ma solo la necessità di mantenerli sotto controllo, perché non s’in- neschino catene di conseguenze spiacevoli; con politiche fiscali e monetarie che solo con gravi difficoltà possono rendere coerenti rigore di bilancio ed equità di conseguenze.

Domina poi su tutto l’interrogativo, di ben più lungo termine, sulla capacità dell’organiz- zazione economica oggi prevalente nei paesi più ricchi di evitare una stagnazione ben più lunga del previsto, rivitalizzando i mercati con le novità delle innovazioni che la tecnolo- gia consentirà in nuove e inattese forme4.

2.3 I RAPPORTI SULLA CONGIUNTURA, I DATI STATISTICI DA TENERE

PRESENTE

Giova a questo punto tornare alla congiuntura e alle analisi statistiche che permettono alle imprese di seguirla. La breve traccia che qui si propone è limitata alla citazione degli indicatori principali e del loro significato (tutti i dati che saranno indicati sono reperibili senza difficoltà in rete).

Lo schema è molto semplice.

Si parte dell’indicatore di riferimento: il PIL con le rilevazioni trimestrali dell’ISTAT, e nulla si può pretendere di più dettagliato per questa grandezza; tuttavia esiste la possibilità di controllare l’andamento dell’attività produttiva con informazioni mensili. Sono disponibili a tal fine gli indici della produzione industriale, anche se ormai il settore riguarda una quota minoritaria dell’intero sistema, ne resta pur sempre il motore, per i suoi legami con i servizi, a partire dal commercio e dai trasporti, fino alle più sofisticate consulenze per la progettazione e il marketing.

Se si confronta il PIL di un trimestre con quello del trimestre precedente e la pro- duzione industriale di un mese con quella del mese precedente, è necessario però tener presente che le variazioni sono influenzate sia dal numero dei giorni lavorativi di quei periodi (possono essere diversi a causa delle festività) sia dalla cosiddetta stagionalità. Per esempio: in agosto l’attività produttiva diminuisce per le ferie, in dicembre la domanda aumenta con gli acquisti del Natale. L’ISTAT presenta dunque i dati così come li ha rilevati (dati grezzi) ma poi li elabora per eliminare gli effetti del diverso numero dei giorni lavorativi e delle peculiarità del periodo. Si devono in particolare cercare sempre i dati destagionalizzati per poter dare dei giudizi sulle variazioni tra un periodo e quello precedente.

Questi confronti sono semplici per aritmetica ma non altrettante per le interpretazioni possibili. Nel presentare l’andamento dell’economia si comunicano: variazioni congiunturali (ciascun periodo rispetto a quello precedente) e variazioni tendenziali

4 I rapporti sull’Economia Globale, redatti a cura di Mario Deaglio presso il Centro di Ricerca e Documentazione Luigi Einaudi, sono un esempio di analisi condotte con rigore di metodo, scritte con chiarezza di linguaggio, utili a comprendere come le congiunture presenti siano connesse a quelle dinamiche di più lungo termine che gli economisti sono chiamati a individuare a vantaggio delle imprese e della politica economica.

(ciascun periodo rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente) e anche variazioni medie: per esempio tra i primi 5 mesi di un anno e gli stessi primi 5 mesi dell’anno precedente.

Al PIL e alle sue variazioni si collega l’andamento dell’occupazione, sia con la misura della variazione del numero dei lavoratori dipendenti e di quelli indipendenti, sia del- l’importantissimo tasso di disoccupazione, che è la percentuale della forza lavoro (persone occupate o in cerca di occupazione) che non trova impiego. Il tasso di disoccupazione è distinto di solito secondo alcune fasce di età, per poter rilevare almeno il tasso di disoc- cupazione giovanile, cioè la percentuale dei giovani che lavorano o vorrebbero lavorare e non trovano impiego, nelle età tra i 15 e i 24 anni. Anche in questo caso, se si raccolgono i dati mensili o trimestrali, è bene far riferimento a quelli destagionalizzati, perché il numero di occupati varia secondo le caratteristiche dei diversi periodi dell’anno.

Un terzo aspetto dell’andamento congiunturale dell’economia è sempre documentato con numerosi dati statistici. Si tratta della variazione dei prezzi rilevati con una varietà di numeri indici (prezzi al consumo o alla produzione). Da molti decenni eravamo abituati a controllarne gli aumenti, cioè a misurare il tasso di inflazione, ma da qualche tempo si è tornati a parlare anche di deflazione, ossia di diminuzioni dei prezzi.

L’inflazione può avere effetti devastanti sull’economia quando è troppo elevata, ma un tasso dell’ordine del 2% annuo non desta alcuna apprensione ed anzi è come una temperatura del corpo che lo può mantenere nella normalità. La diminuzione dei prezzi favorisce le famiglie a reddito fisso e anche i lavoratori che percepiscono un salario modificato solo in periodi di rinnovi contrattuali. Dunque la caduta dei prezzi, segnalata dai dati, è percepita come un segnale contraddittorio dalle imprese: può indicare che, in periodi di crisi, alcuni beni, diventando meno cari, saranno comperati di più, suscitando una nuova e auspicata domanda da parte delle famiglie consumatri- ci; ma segnala anche le difficoltà delle imprese nel vendere a prezzi cedenti i loro prodotti, senza analoghe diminuzioni dei loro costi.

I prezzi, il cui andamento viene seguito nelle analisi della congiuntura, riguardano insiemi (panieri) diversi di beni, il più importante è quello dei consumi delle famiglie. Naturalmente sono seguiti gli indici dei prezzi delle voci di costo per le imprese: come le retribuzioni nominali del lavoro e, sempre di grande interesse, le quotazioni del petrolio, dalle quali dipendono i rincari di voci di spesa importanti come la benzina, il riscaldamento domestico e l’elettricità.

Anche per gli indici dei prezzi si calcolano variazioni congiunturali, tendenziali e medie e anche per questi indicatori è bene ricorrere a dati destagionalizzati.

Restano infine da considerare i rapporti commerciali con il resto del mondo, cioè l’andamento delle esportazioni e delle importazioni. L’attività produttiva interna non dipende soltanto dalla domanda nazionale, ma anche da quella che proviene dagli altri paesi. I dati sono di solito espressi in valuta nazionale, e pertanto le loro variazioni derivano da mutamenti delle quantità vendute e comprate, ma anche da cambiamenti dei prezzi praticati dalle imprese che esportano, o dalle quali s’importa. Quei prezzi si

modificano anche per il variare dei cambi tra le monete. L’euro ha introdotto una rilevante stabilità nel cambio dei paesi che l’hanno adottato, ha così protetto il potere di acquisto delle famiglie e i costi delle imprese nei periodi di forte crescita dei prezzi dei prodotti petroliferi. Come sempre accade nell’economia, i vantaggi si presentano con degli svantaggi. La stabilità del cambio è percepita delle imprese come difficoltà a competere, quando i costi continuano a crescere più in patria che all’estero. Non si deve peraltro dimenticare che i periodi in cui la lira, svalutandosi, ridava competitività ai produttori nazionali, erano di forte instabilità per via dell’inflazione, alimentata dalle stesse svalutazioni, e si premiavano le imprese che, senza innovare, tendevano a competere soprattutto attraverso i basi prezzi.

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CONCLUSIONE: I CICLI E GLI SCENARI MUTEVOLI, SFIDA E FATI-