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LINEE DI CONDOTTA NELL’APPROCCIO AL BUSINESS PLAN

Momento di sintesi nel supporto decisionale, l’aspetto motivazionale allo sviluppo del piano racchiude i vari temi critici sopra delineati.

Volendo elencare alcune logiche che dovrebbero governare il processo decisionale dell’imprenditore, possiamo porre l’enfasi sulle seguenti:

• chiara comprensione delle ragioni di fondo del progetto strategico;

• analisi complessiva del piano di investimento con riferimento a tutte le aree funzionali d’impresa (ricerca & sviluppo, produzione, marketing, commerciale, organizzativa e logistica);

• verifica della coerenza/compatibilità con il processo di budgeting in essere e, ove ne ricorrano i presupposti, con precedenti business plan sviluppati dall’im- presa e già divulgati all’esterno;

• confronto con alternative possibili, sia dal punto di vista tecnico che finanziario, e conseguente identificazione degli scenari alternativi prima di assumere una decisione definitiva a procedere;

• coordinamento dei tempi di sviluppo del business plan e correlata individuazio- ne del team e delle sue competenze, prevedendo modalità di monitoraggio del lavoro svolto, nonché un sistema premiante dei collaboratori coinvolti nella elaborazione e gestione del piano;

• redazione di una prima elaborazione dei dati quali-quantitativi in relazione allo scenario-base ipotizzato;

• gestione delle incongruenze logiche emerse nella fase di prima elaborazione, evidenziando le azioni correttive conseguenti;

• identificazione puntuale delle principali interferenze sulle risultanze da piano rispetto al resto dell’impresa, sia in termini di causa-effetto sia nella prospettiva della compatibilità e significatività con il sistema vigente;

• definizione, tenendo conto delle esigenze di natura strategica a medio lungo termine, del modello di sviluppo che meglio rifletta le prospettive di crescita dell’insieme aziendale;

• avvio della stesura del business plan sulla base delle determinazioni assunte dai vertici aziendali, evidenziando nella relazione di accompagnamento – oltre alle ragioni di fondo che presiedono alla scelta di procedere – la metodologia applicata ed il processo di analisi adottato.

A conclusione della disamina degli aspetti decisionali che ricadono in capo all’impren- ditore, bisogna porre l’accento su una prerogativa fondamentale del business plan,

quale strumento affidabile di definizione-valutazione e controllo della pianificazione aziendale: l’utilizzo continuativo nel tempo.

Con tale espressione si intende rimarcare la valenza “intertemporale” del piano nella sua accezione più ampia. Troppo spesso infatti la formulazione viene ancora oggi vista come un obbligo imposto da fattori esterni, quali ad esempio le banche che affidano la società o i sindaci che vigilano alla corretta gestione dell’impresa, in assenza di una intima convinzione della sua utilità in capo ai soci. Il vissuto comune a molti è ancora limitato ad un ricorso al business plan solo se espressamente richiesto dalle controparti coinvolte nella vita dell’impresa (stakeholders) e non come un prezioso strumento di gestione aziendale al quale fare ricorso con continuità nell’operatività corrente.

L’importanza del business plan per i vertici apicali dell’impresa, così come per il

management, risiede infatti nella duplice funzione che il documento assolve di moder-

na prassi metodologica dell’agire informati e di procedura affidabile e trasparente di analisi sistemica di controllo di gestione.

L’auspicio di una più ampia diffusione di tale strumento presso la platea di piccoli e medi imprenditori, oltre a costituire un valido arricchimento culturale in ambito aziendalistico, comporterebbe un significativo miglioramento dei rapporti banca- impresa nella gestione dei cicli economici.

Su tali basi, il contributo che questa opera offre può rappresentare un passo impor- tante verso la soluzione di problematiche oggi più che mai cogenti nel contesto economico nazionale ed internazionale con cui confrontarsi.

A cura di Rosanna Chiesa - ODCEC Torino

Basilea 2 accordo sui requisiti minimi di capitale ratificato a Basilea nel 2004 ed

entrato in vigore a partire dall’1.1.2008; è un accordo internazionale di vigilanza prudenziale, riguardante i requisiti patrimoniali delle banche. In base a esso, le banche dei Paesi aderenti devono accantonare quote di capitale proporzionate al rischio assunto, valutato attraverso lo strumento del rating. (Per maggiori approfondimenti si rinvia al precedente E-book “Il Rapporto Banca - Piccola-Media Impresa: Strumenti e Fondamenti”, Parte I “Il punto di vista del sistema bancario”, paragrafo “Il Rating: cos’è e come funziona - Quali regole generali lo governano”, punto 1.3 “Nuovo accordo di Basilea (Basilea 2)).

Basilea 3 è un insieme articolato di provvedimenti di riforma, predisposto dal Comitato

di Basilea nel 2010 (ed operativo dall’1.1.2014) per la vigilanza bancaria al fine di raf- forzare la regolamentazione, la vigilanza e la gestione del rischio del settore bancario. Tali provvedimenti mirano a:

• migliorare la capacità del settore bancario di assorbire shock derivanti da tensioni economiche e finanziarie, indipendentemente dalla loro origine;

• migliorare la gestione del rischio e la governance; • rafforzare la trasparenza e l’informativa delle banche. Le riforme sono di due ordini:

• microprudenziali, ossia concernenti la regolamentazione a livello di singole banche; queste riforme intendono rafforzare la resistenza dei singoli istituti bancari alle fasi di stress;

• macroprudenziali, ossia concernenti i rischi a livello di sistema che possono accumularsi nel settore bancario, nonché l’amplificazione prociclica di tali rischi nel tempo.

Regulators nazionali e sovranazionali. Default

Buffer con questo termine si indicano le scorte cuscinetto che hanno la funzione di

stabilizzare le fluttuazioni di un’attività costituendo uno stock di sicurezza a fronte di shock imprevisti. Il b. di capitale è costituito dalle riserve addizionali detenute dagli

(Basilea, accordi di), definita nel dicembre 2010, prevede due tipi di b. di capitale: una riserva di conservazione del capitale, pari, a regime, al 2,5% delle attività della banca, allo scopo di permettere di mantenere il livello di capitale al di sopra dei requisiti minimi anche durante una fase negativa del settore; un buffer anticiclico, che varia tra lo 0% e il 2,5% a discrezione delle autorità di vigilanza nazionali, al fine di proteggere l’intero settore dal rischio sistemico, spesso associato a un periodo di eccessiva espansione del debito all’interno di un Paese, misurata dalla crescita del rapporto tra credito e PIL. Oltre a questo possono essere previsti buffer aggiuntivi.

Capital Requirements Regulation - CRR titolo del Regolamento (UE) n. 575/2013 che

ha introdotto norme di vigilanza prudenziale valide direttamente per tutte le banche e le imprese d’investimento europee, incluse quelle italiane. Nelle materie disciplinate dal CRR (fondi propri, requisiti patrimoniali minimi, informativa al pubblico) la Banca d’Italia ha pertanto competenze regolamentari circoscritte entro gli ambiti di discre- zionalità, molto limitati, previsti dallo stesso Regolamento per effettuare i necessari raccordi con l’ordinamento e le specificità degli Stati membri.

Capital Requirement Directive (CRD4): titolo della direttiva 2013/36/UE (detta Capital

Requirements Directive IV - CRD IV) che disciplina le condizioni per l’accesso all’attività

bancaria, la libertà di stabilimento delle banche nell’Unione e la libera prestazione dei loro servizi, il controllo prudenziale, le riserve patrimoniali addizionali, il governo societario delle banche.

Covenants clausole contrattuali di varia natura che comportano degli obblighi, impe-

gni o rispetto di alcune condizioni a tutela della Banca che negli ultimi anni vengono inserire nei contratti di finanziamento a medio lungo termine (mlt).

SREP (Supervisory Review Evaluation Process) processo di revisione e valutazione

prudenziale previsto dall’accordo di Basilea 3. Si tratta di una valutazione da parte delle autorità di vigilanza nazionali volta ad accertare che le banche ed i gruppi bancari si dotino di presidi di natura patrimoniale ed organizzativa appropriati rispet- to ai rischi assunti.

Scoring Creditizio analisi valutazione della rischiosità del credito (bontà del cliente)

che si svolge costruendo una serie di indicatori (indici e flussi) finalizzati a rappresen- tare la rischiosità del cliente affidato in base a:

Redditività (contrapposizione tra ricavi e costi);

Equilibrio finanziario di breve periodo (contrapposizione tra entrate e uscite);

Equilibrio finanziario di medio-lungo periodo (contrapposizione tra impieghi e fonti).

Override processo in base al quale l’operatore bancario può modificare il rating –

attributo dal sistema interno della banca – sulla base di valutazioni più soggettive attinenti alle qualità dell’impresa che non necessariamente emergono da una lettura dei dati di bilancio.