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L’attuazione degli impegni OSCE in materia di donne, pace e sicurezza

Risale al 2000 l’adozione, da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazio- ni Unite, della Risoluzione 1325 su donne, pace e sicurezza, che per la prima volta ha integrato espressamente la dimensione di genere nei processi decisio- nali relativi alla sicurezza; a essa hanno fatto seguito altre sette risoluzioni che ne ampliano e rafforzano la portata, e che insieme costituiscono la c.d. Agenda “Donne, pace e sicurezza”. L’Agenda, da un lato, considera le donne nella loro specificità di vittime dei conflitti, chiedendone la protezione contro la violenza sessuale come arma di guerra e invitando gli Stati a perseguire i reati sessuali commessi durante i conflitti; dall’altro, essa concepisce le donne come agenti fondamentali nella prevenzione dei conflitti, nella risposta umanitaria, e nella ricostruzione post-conflitto, così che appare necessaria la loro partecipazione ai processi decisionali relativi alla prevenzione e risoluzione dei conflitti. Sebbene le risoluzioni che costituiscono l’Agenda non siano, in quanto tali, giuridicamen- te vincolanti, esse si fondano su obblighi internazionali già esistenti in capo agli Stati nell’ambito della tutela dei diritti umani, del diritto umanitario e del diritto dei rifugiati, tra gli altri. Nel 2010 sono stati quindi adottati degli indicatori per valutare l’effettiva attuazione dell’Agenda, organizzati in quattro “pilastri”: par- tecipazione delle donne ai processi decisionali in materia di prevenzione, gestio- ne e risoluzione dei conflitti; inclusione delle donne e di una prospettiva di gene- re nella prevenzione dei conflitti e della violenza di genere e sessuale; protezione di donne e ragazze e dei loro diritti in tempo di pace e di guerra; inclusione delle donne e di una prospettiva di genere nelle attività di soccorso e recupero.

L’OSCE ha da tempo riconosciuto l’importanza dell’Agenda e della sua effettiva attuazione e ha reso il gender mainstreaming parte integrante del pro- prio lavoro, con particolare attenzione ad aspetti relativi alla sicurezza quali lo sviluppo di meccanismi di early warning, la gestione dei conflitti e la mediazione, la partecipazione delle donne alla ricostruzione post-conflitto e la prevenzione della persecuzione, della violenza e dello sfruttamento basati sul genere. Sotto altro aspetto, l’OSCE è impegnata nella promozione dell’attuazione della Riso- luzione 1325 da parte degli Stati partecipanti. Per il raggiungimento di tali fini, in aggiunta a un Piano d’azione per la promozione dell’eguaglianza di genere nel 2004, in ambito OSCE sono state adottate diverse decisioni ministeriali: tra que- ste, la Decisione del 2005 sul ruolo delle donne nella prevenzione dei conflitti, nella gestione delle crisi e nella ricostruzione post-conflittuale; la Decisione di Lubiana, sempre del 2005, sulla prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne; la Decisione del 2009 sulla partecipazione delle donne alla vita politica e pubblica; e la Decisione di Vilnius del 2011 incentrata sul ruolo delle donne nei processi di pace. Dal punto di vista istituzionale, gli attori OSCE maggiormen- te coinvolti nelle attività di gender mainstreaming e promozione dell’attuazione della Risoluzione 1325 sono la Sezione per le questioni di genere, sotto l’Ufficio

del Segretario Generale dell’OSCE, e l’Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti dell’uomo (ODIHR). Essi, tra l’altro, assistono gli Stati nella redazione dei Piani d’azione nazionali (NAP) e ne verificano l’attuazione.

L’Italia ha già redatto tre Piani d’azione nazionali, riferiti ai periodi 2010- 2013, 2014-2016 e 2016-2019. Per quanto riguarda l’attuazione degli impegni assunti in ambito OSCE, la stessa adozione di un NAP è considerata indicativa degli sforzi del Paese in materia; inoltre, l’Italia ha compiuto progressi nell’im- plementazione di diversi criteri che, secondo l’OSCE, rendono efficace un NAP: in particolare, l’adozione di un approccio inclusivo alla redazione del Piano, con il crescente coinvolgimento della società civile; l’allocazione di risorse specifiche per la realizzazione del Piano; e l’utilizzo di indicatori per valutare l’attuazione del Piano.

Dal punto di vista sostanziale, con riferimento ai quattro “pilastri” indivi- duati dall’Agenda ONU, l’Italia si è specialmente concentrata sugli aspetti rela- tivi alla partecipazione, puntando in particolare sull’incremento del numero di donne impiegate nelle forze di polizia, nelle forze armate e nelle operazioni di pace, e sulla garanzia della parità rispetto ad assunzione, trattamento e avanza- menti di carriera (inter alia, attraverso il Decreto legislativo 31 gennaio 2000, n. 24 e il Codice delle pari opportunità). Anche sul piano della protezione si riscontra un forte impegno dell’Italia, a livello tanto nazionale quanto interna- zionale: si vedano, in questo senso, il sostegno ad attività di protezione condotte da organizzazioni internazionali; l’estensione del Codice penale militare di pace a ogni operazione militare all’estero; l’assistenza prevista per le vittime di mutila- zioni genitali femminili, violenza domestica e altre forme di violenza; l’adozione di un Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere e la cre- azione di un Osservatorio nazionale contro la violenza; e l’adozione di un Piano nazionale d’azione contro la tratta e il grave sfruttamento. Relativamente alle at- tività di soccorso e recupero, è da rilevare la creazione di Female Engagement Te-

ams, Gender Advisors e progetti di Cooperazione Civile-Militare, che interagisca-

no con la popolazione locale e in particolare con le donne; nonché l’istituzione dei Corpi civili di pace, che costituiscono importante riconoscimento del ruolo che la società civile può svolgere per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionali, particolarmente nelle attività di mediazione e riconciliazione.

Infine, si sono moltiplicati nel nostro Paese i corsi di formazione e le inizia- tive di sensibilizzazione in materia di diritti umani, parità di genere e contrasto alla violenza sulle donne, con attività che intersecano tutti e quattro i “pilastri” dell’Agenda. Esemplare, in questo senso, è stata l’istituzione del Centro di eccel- lenza per le unità di polizia di stabilità, un’iniziativa italo-statunitense per for- mare il personale di polizia che partecipa alle operazioni di peace-keeping; ma le attività di formazione promosse dal Governo italiano in materia di donne, pace e sicurezza sono state rivolte anche a giudici, personale dell’Agenzia Dogane e Monopoli e operatori sanitari.

Per converso, le maggiori criticità nella realizzazione dell’Agenda ONU e degli impegni OSCE si riscontrano nella mancanza di un solido approccio al

peace-building; nella quasi totale assenza di riferimenti, nei NAP, ad attività di

prevenzione (che costituiscono il secondo “pilastro”), ad esempio in materia di

early warning e diplomazia preventiva, nonostante l’enfasi posta dall’OSCE su

tali aspetti; il numero ancora limitato di donne nelle forze armate, soprattutto tra il personale direttivo, nonché in posizioni decisionali presso il Ministero degli Affari Esteri.