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7.1. Introduzione breve alla crisi ucraina

e al ruolo dell’OSCE

Silvia Maria Lucia Santangelo

“When Diplomats talk, cannons are silent”. Fu questa la descrizione che il mio omologo russo, parafrasando un diplomatico danese, scelse all’inizio dell’anno della Presidenza italiana OSCE per illustrarmi la sua percezione circa il ruolo dell’Organizzazione nella crisi ucraina1.

Fin dall’inizio della crisi, in effetti, l’OSCE è stata l’organizzazione mag- giormente impegnata nel tentativo di contenerne gli effetti e di facilitare una me- diazione fra le parti: ha saputo offrire un forum di costante dialogo politico a Vienna, attraverso il dibattito che ogni giovedì ha animato le sessioni del Consi- glio Permanente e tramite il Gruppo di contatto trilaterale (che riunisce i rappre- sentanti di Russia e Ucraina e il Rappresentante speciale della Presidenza OSCE); è stata capace di dispiegare in campo con rapidità una serie di strumenti ope- rativi per monitorare, impedire l’escalation e creare canali di comunicazione (in particolare, la Missione speciale di monitoraggio OSCE, istituita nel marzo 2014, e la Missione di osservazione OSCE ai due posti di frontiera russi di Gukovo e Donetsk, istituita nel luglio 2014); si è prestata a divenire strumento operativo per l’attuazione delle decisioni adottate dai Paesi del Formato Normandia (Ger- mania, Francia, Russia e Ucraina, sorto nel giugno 2014); ha confermato, con la risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite 2202 (2015), il suo ruolo di organizzazione regionale ex capitolo VIII della Carta ONU2; è divenu-

1 L’espressione “crisi ucraina” è qui usata in senso atecnico. In ambito OSCE, i Paesi membri

dell’Unione Europea descrivono il fenomeno come “Crisis in and around Ukraine”, con l’obiettivo di eviden- ziare le origini esterne della crisi, attribuite soprattutto alle interferenze del vicino orientale.

2 La Risoluzione 2202/2015 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha recepito il “pacchetto di

misure per l’attuazione degli accordi di Minsk”, adottato e firmato a Minsk il 12 febbraio 2015; ha accolto con favore la dichiarazione del presidente della Federazione Russa, del presidente dell’Ucraina, del presidente della Repubblica francese e del cancelliere della Repubblica federale di Germania a sostegno del “pacchetto di misure per l’attuazione degli accordi di Minsk” e il loro costante impegno in merito all’attuazione degli Accordi di Minsk; ha invitato tutte le parti ad attuare pienamente il “pacchetto di misure”, compreso un cessate-il-fuoco totale.

ta l’unica organizzazione in grado di accedere alle regioni interessate dalla crisi, operando anche in zone sottratte al controllo delle forze governative ucraine.

Nel gennaio 2018, quando la Presidenza italiana ha avuto inizio, l’OSCE aveva già utilizzato tutti i mezzi possibili per facilitare una soluzione pacifica. L’Italia si trovava a gestire un meccanismo complesso, formatosi per stratifica- zioni successive, il cui funzionamento era in larga parte legato alla regola del consenso per l’adozione delle decisioni OSCE (incluse quelle sul bilancio). Un’eredità impegnativa, soprattutto in un momento di apparente stallo della crisi che, entrata nel suo quinto anno, sembrava destinata verso una fase di conflitto a bassa intensità, accompagnata da un rallentamento del dialogo po- litico.

Facilitare il dialogo, promuovere maggiore responsabilità e rafforzare il senso di appartenenza all’Organizzazione erano gli obiettivi della Presidenza italiana. La crisi ucraina aveva infatti creato una profonda divisione fra gli Sta- ti partecipanti, presentando uno scenario che sembrava ricordare quello della Guerra fredda. Il livello di contrapposizione era giunto al punto da trasferirsi sul funzionamento stesso delle strutture dell’OSCE, spesso viste con diffidenza o imbrigliate in veti incrociati formulati da alcuni Stati al solo scopo di affermare il loro posizionamento sulla scena regionale.

Per raggiungere gli obiettivi definiti, la Presidenza italiana OSCE ha ope- rato lungo due linee direttrici: a) rafforzare la visibilità del Gruppo di contatto trilaterale (TCG) e dei sottogruppi di lavoro in esso costituiti; b) dare risalto agli strumenti operativi OSCE anche al fine di generare misure di rafforzamento del- la fiducia, potenziando il coordinamento fra le strutture del Segretariato OSCE coinvolte sul campo (Centro per la prevenzione dei conflitti) e la Missione spe- ciale di monitoraggio.

Nato come strumento di dialogo fra Ucraina e Russia con la mediazione del Rappresentante della Presidenza OSCE, il TCG ha visto cambiare il suo mandato a seguito dell’approvazione della Risoluzione del Consiglio di Sicu- rezza 2202 del 2015 che, recependo il c.d. “Pacchetto di misure per gli accordi di Minsk”, ha attribuito all’OSCE e al TCG il compito di verificarne l’attua- zione, facendo uso dei quattro gruppi di lavoro previsti dal pacchetto di Minsk su questioni politiche (coordinato dall’Ambasciatore francese Pierre Morel), di sicurezza (coordinato, durante l’anno di Presidenza italiana, dall’Ambasciatore turco Ertugrul Apakan, Capo della Missione speciale di monitoraggio OSCE), umanitarie (coordinato dall’Ambasciatore svizzero Toni Frisch) ed economi- che (coordinato dal consulente tedesco Per Fisher). Ai quattro sottogruppi sono ammessi anche i rappresentanti di alcune aree delle regioni di Donetsk e Luhansk sottratte al controllo di Kiev. Alle riunioni del TCG partecipano, invece, solo i rappresentanti di Ucraina, Russia e della Presidenza OSCE (nella persona dell’Ambasciatore austriaco Martin Sajdik, durante l’anno di Presi- denza italiana).

Nel 2018, l’obiettivo principale indicato dall’Italia è stato quello di molti- plicare gli sforzi per proteggere la popolazione civile, ponendo particolare atten- zione agli aspetti umanitari della crisi. Alcuni risultati sono stati faticosamente ottenuti per assicurare l’approvvigionamento di acqua e di energia elettrica nelle zone interessate dalla crisi; proteggere le infrastrutture critiche evitando danni ambientali irreparabili; ripristinare i canali di comunicazione telefonica cellulare; assicurare l’accesso alle carceri e ai luoghi di detenzione.

A Vienna si dice spesso che i Paesi OSCE siano divisi su tutto e che ciononostante riescano sempre a trovare il modo di far funzionare l’Organiz- zazione. In effetti, mentre le posizioni politiche sui grandi temi restano in- conciliabili, un accordo sul modo di far funzionare le cose, seppur con molta fatica, può essere raggiunto. Spesso, inoltre, spostare il focus del dibattito su aspetti pratici e operativi contribuisce a creare le condizioni per un dialogo su temi più complessi. Come ebbe a dire una volta l’Ambasciatore Lamberto Zannier, in qualità di Segretario Generale dell’Organizzazione, “all’OSCE le cose è più facile farle che deciderle”. Un esempio significativo di questo ti- po è quello della Missione speciale di monitoraggio OSCE in Ucraina. Nata all’indomani dei primi scontri in Donbas come piccolo nucleo di osservazio- ne, la Missione è divenuta la più grande operazione civile e non armata, in teatro di crisi, condotta dall’OSCE: vi operano 1.300 persone, fra cui 750 osservatori distribuiti in larga parte nelle zone interessate dalla crisi. Nel rin- viare oltre nel capitolo per approfondimenti sulla Missione, merita evidenzia- re in questa sede il paziente lavoro di coordinamento svolto dalla Presidenza italiana OSCE per garantire la sicurezza degli osservatori e degli equipaggia- menti in dotazione; facilitare il coordinamento con tutti gli attori coinvolti sul campo; rafforzare la trasparenza sull’operato della Missione, anche al fine di rafforzare la percezione di accuratezza e di imparzialità dei rapporti da es- sa prodotti.

Ad oggi, la crisi ucraina sembra ben lontana dall’aver trovato una solu- zione pacifica, stabile e duratura. L’OSCE continua a non lesinare sforzi per mantenere una presenza significativa e contenere un conflitto che ha causato finora oltre 10.000 morti e più di un milione e mezzo di sfollati. Merita un riconoscimento il lavoro quotidiano svolto in condizioni di sicurezza spesso precarie dagli uomini e dalle donne della Missione speciale di monitoraggio OSCE. Un doveroso tributo va alla memoria del paramedico americano Joseph Stone, morto a 36 anni a Pryshyb (regione di Luhansk): la vettura dell’OSCE a bordo del quale si trovava per il consueto turno di monitoraggio è esplosa su una mina anticarro, posizionata in una zona che le parti in conflitto si erano impegnate a considerare neutra. L’auspicio è che il negoziato possa finalmente far “tacere i cannoni” e restituire alla gente del Donbas la possibilità di vivere in pace.

7.2. La crisi ucraina nell’anno della Presidenza italiana