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La responsabilità degli Stati per la violazione degli obblighi d

L’illecito internazionale si configura come il “comportamento di uno Stato (o altro soggetto di diritto internazionale) che viola una norma internazionale – sia essa consuetudinaria o convenzionale – da cui discende un obbligo giuridico a carico dello Stato stesso” (ALTAVILLA C., “La responsabilità internazionale”, Diritto.it). Ogni atto illecito posto in essere dallo Stato determina la sua responsabilità internazionale.47 La natura48 di

quest’ultima e le sue conseguenze sono codificate nel “Progetto di articoli sulla responsabilità degli Stati per atti illeciti internazionali”, redatto nel 2001. Accanto alle ordinarie conseguenze derivanti da gravi violazioni, il Progetto prescrive l’obbligo di cooperazione degli Stati per porre fine alla violazione49; se, inoltre, l’obbligo violato è di

natura solidale, ossia posto a tutela di interessi collettivi, anche Stati diversi da quello leso potranno invocare la responsabilità.50

Alla luce di quanto detto finora e, tenendo a mente le norme di diritto internazionale vincolanti in materia di ricerca e soccorso in mare (cfr. 2.2), costituirebbero violazione dei suddetti obblighi, sia il mancato salvataggio delle persone in pericolo da parte dello Stato di bandiera, sia l’omesso coordinamento delle operazioni di soccorso o la non predisposizione di un luogo sicuro per lo sbarco da parte dello Stato costiero.

47 ANZILLOTTI D. (2008), “Teoria Generale della Responsabilità Dello Stato Nel Diritto Internazionale ,

Vol. 1: II Problema della Responsabilità di Diritto Internazionale”, Forgotten Books

48 Ai sensi dell’art. 2 del citato Progetto, “sussiste un atto internazionalmente illecito di uno Stato quando un

comportamento consistente in un’azione o in un’omissione: a) può essere attribuito allo Stato alla stregua del diritto internazionale; e b) costituisce una violazione di un obbligo internazionale dello Stato”

49 In tal senso l’art. 41, rubricato “Conseguenze particolari di una violazione grave di un obbligo”, stabilisce che: “1. Gli Stati devono cooperare per porre fine con mezzi leciti ad ogni violazione grave ai sensi

dell’articolo 40. 2. Nessuno Stato riconoscerà come legittima una situazione creata attraverso una violazione grave sensi dell’articolo 40, né presterà aiuto o assistenza nel mantenere tale situazione. 3. Quest’articolo non reca pregiudizio alle altre conseguenze previste nella presente parte ed alle ulteriori conseguenze che una violazione, cui si applica il presente capitolo, può comportare ai sensi dei diritto internazionale”

Per quanto attiene al profilo di responsabilità dello Stato di bandiera valgono le previsioni del già analizzato art. 98 UNCLOS (cfr. 2.2). Nel caso di imbarcazioni che transitino nei pressi della nave da soccorrere o ricevano chiamata di aiuto, occorre, prima di accertare la responsabilità, vagliare l’attribuzione della condotta allo Stato di bandiera. Tale nesso sussiste, senza dubbio, quando l'imbarcazione è una nave militare o una nave in servizio di Stato. In detta circostanza, il comandante, sul quale grava l'obbligo di prestare assistenza, è qualificabile come organo dello Stato e la sua condotta è ad esso attribuibile.51

La riconducibilità della condotta allo Stato di bandiera sussiste, ai sensi del diritto internazionale, anche qualora il comportamento della persona abilitata ad esercitare prerogative dell'autorità di governo ecceda la propria competenza o contravvenga alle istruzioni impartitegli.52 Non è altrettanto pacifica l'attribuzione della condotta del

comandante di un'imbarcazione privata; questi, infatti, non agisce in qualità di organo dello Stato. Rileva, comunque, la circostanza per cui l’agire, alla stregua del diritto dell’ordinamento statuale, nell’esercizio delle prerogative dell'attività di governo, è assimilato agli atti posti in essere dallo Stato purché, nel caso in questione, la persona o l’ente abbiano agito in tale qualità.53 Pertanto, la responsabilità dello Stato di bandiera si configura

unicamente nel caso in cui lo Stato autorizzi il comandante ad esercitare prerogative dell'attività di governo. Si tratta, tuttavia, di un tipo di delega estranea alla prassi dell'attività di soccorso in mare.54 Oltre che per esercizio di prerogative dell'attività di governo, la

condotta illecita può essere attribuita allo Stato di bandiera anche quando una persona agisce su sua istruzione, o sotto la direzione o il controllo.55 È questo il caso del comandante della

nave che, su precisa istruzione dello Stato, ignori una richiesta di soccorso. Perché lo Stato di bandiera sia responsabile dell'omesso salvataggio, tuttavia, occorre anche che non abbia altresì provveduto a stabilire una norma statuente l’obbligo di soccorso in capo al comandante della nave e le conseguenze connesse alla sua violazione.56

51 Ai sensi dell'art. 4 del “Progetto di articoli sulla responsabilità internazionale degli Stati per atti internazionalmente illeciti”

52 Ex art. 7 del Progetto 53 Ex art. 5 del Progetto

54 PAPASTAVRIDIS E. (2013, p. 18), “The Interception of Vessel on the High Seas: Contemporary Challenges

to the Legal Order of the Oceans”, Hart Publishing

55 Ai sensi dell’art. 8 del Progetto 56 op. cit. PAPASTAVRIDIS E. (p. 19)

Gli obblighi dello Stato costiero ineriscono, invece, al coordinamento delle operazioni di ricerca e soccorso nelle aree di competenza (zone SAR) in cooperazione con gli altri Stati e alla garanzia di un place of safety. In senso diametralmente opposto a quanto asserito circa la responsabilità dello Stato di bandiera, i comportamenti illeciti dello Stato costiero sono sempre a questo imputabili. Questo perché i centri di coordinamento dei soccorsi sono organi statali. Caso emblematico di controversie sulla responsabilità è la disputa tra Malta e Italia, avvenuta nell’aprile 2009, riguardo la responsabilità dei 140 migranti a bordo della nave da carico turca Pinar E.57 Il capitano della Pinar E prelevò i

migranti in risposta ad una richiesta di aiuto. L’Italia negò l’ingresso alla nave turca poiché riteneva che lo sbarco dovesse avvenire in territorio maltese, avendo i soccorsi avuto luogo nella zona SAR amministrata da Malta. Quest’ultima, però, sosteneva che i migranti dovessero sbarcare a Lampedusa, il porto più vicino. Solo dopo un confronto di quattro giorni e gli appelli del presidente della Commissione europea, l’Italia acconsentì di accettare i migranti. La vicenda ha rivelato una considerevole debolezza nel regime legale marittimo internazionale: da una parte Malta, che ancora non ha ratificato gli ultimi Protocolli relativi alla suddivisione delle zone SAR, non ha efficacemente coordinato le operazioni di salvataggio né procurato alle persone soccorse un place of safety, dall’altra l’Italia ha trascurato gli obblighi di cooperazione imposti dal diritto internazionale del mare. Dunque sono necessarie più riforme per raggiungere uno standard legale uniforme sullo sbarco dei sopravvissuti.

2.6 Conclusioni

L’obbligo di prestare soccorso in mare affonda le proprie radici nelle più antiche tradizioni di solidarietà marinara. Tuttavia, tale principio è divenuto parte della prassi degli Stati solo dopo un lento processo di integrazione.

Il quadro normativo internazionale che racchiude l’obbligo di prestare soccorso in

57 Sul punto si veda il report “Scacciati e schiacciati”, Human Rights Watch, in

mare è connotato da forte complessità, che si riverbera nelle norme di recepimento a livello statale. Per l’Italia, nello specifico, rilevano gli obblighi derivanti dal Regolamento UE n. 656/2014, dal Codice della navigazione, dal Piano Nazionale per la Ricerca ed il Salvataggio in mare (D.P.R. 662/1994) e dal Decreto Interministeriale 14.07.2003.

Nonostante la varietà di strumenti internazionali e nazionali adottati, l’effettiva attuazione dell’obbligo di prestare soccorso in mare nel Mediterraneo è stata spesso inficiata da significative divergenze. Profili di particolare problematicità hanno connotato la definizione del concetto di “distress”, la delimitazione delle regioni SAR, la nozione di “place of safety”.

In violazione degli strumenti già citati, gli Stati, in molteplici circostanze, hanno omesso di procedere al salvataggio delle persone in pericolo, di coordinare le operazioni di soccorso e di predisporre un luogo sicuro per lo sbarco. L’accertamento della responsabilità di atti che hanno cagionato ingenti perdite di vite umane ha condotto, il più delle volte, a dispute di alto profilo e casi diplomatici. Questi attriti hanno richiamato l’attenzione dei governi sulla debolezza del regime legale marittimo internazionale, che reclama decisive riforme per raggiungere uno standard legale uniforme sullo sbarco dei sopravvissuti.

Capitolo terzo

QUADRO GIURIDICO E RUOLO DELLE NAVI ONG NELLE

OPERAZIONI DI SOCCORSO IN MARE