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Le “politiche del non arrivo”

Il principio di non-refoulement, sebbene sia divenuto principio di jus cogens, fatica a coniugarsi con l'esigenza degli Stati di controllare i propri confini e di decidere chi può varcarli. Gli Stati maggiormente interessati dai fenomeni migratori hanno attuato delle “politiche del non arrivo”30, volte a limitare l’ingresso di cittadini stranieri per tutelare il

territorio e la sicurezza interna.

Il contrasto all'immigrazione irregolare ha comportato la cd. esternalizzazione dei controlli delle frontiere, che si estrinseca in varie forme. Prima fra tutte, le pratiche di intercettazione, ovvero le misure che uno Stato adotta, al di fuori dei confini nazionali, per prevenire, interrompere e fermare il viaggio di cittadini stranieri che intendono varcare le sue frontiere, ma non hanno la giusta documentazione per farlo.31 Le intercettazioni possono

essere attive, come quelle del caso Hirsi Jamaa e altri c. Italia (cfr. 4.2), oppure passive, attuate preventivamente all’ingresso nei confini nazionali (come il controllo dei documenti). Altra misura degna di nota sono le “carrier sanctions”, ovvero sanzioni in cui le imprese di trasporto, operanti nello spazio Schengen, possono incorrere.32 Questi soggetti,

che soggiacciono ad alcuni obblighi di diligenza, devono adottare tutte le misure ragionevolmente esigibili al fine di trasportare unicamente persone munite dei documenti di viaggio, dei visti e/o dei titoli di soggiorno necessari per l’entrata nello spazio Schengen.33

Infine, parte integrante delle procedure di esternalizzazione sono il Sistema di Informazione Schengen (SIS) e il Sistema di Informazione Visti (VIS), che consentono

30 Consorzio Italiano di Solidarietà (2005), “La protezione negata. Primo rapporto sul diritto di asilo in Italia”, Feltrinelli

31 GOODWIN-GILL G., MCADAM J. (2007, p. 371), “The Refugee in International Law”, OUP Oxford 32 MILITELLO V., SPENA A. (2015, p. 207), “Il traffico di migranti. Diritti, tutele, criminalizzazione”, Giappichelli

33 Segreteria di Stato della migrazione SEM (2015), “Carrier Sanctions (CASA)”, in

un controllo prima della partenza. Tuttavia, proprio dalla definizione di rifugiato (cfr. 4.1), si comprende chiaramente la difficoltà che questi incontrerà nel richiedere un visto ai fini dell’espatrio ad uno Stato che è proprio la causa del “fondato timore”.

4.5 Conclusioni

Coloro che rientrano della definizione di “rifugiati” beneficiano di specifiche misure di tutela legale. Tra queste, la protezione dal refoulement (respingimento) e dalla penalizzazione per aver attraversato le frontiere senza autorizzazione.

I pilastri della disciplina del diritto d’asilo sono contenuti nella Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato e nel Protocollo del 1967. L’art. 33 della Convenzione estrinseca il principio di non-refoulement, affermando l’obbligo di non trasferimento, diretto o indiretto, di un rifugiato o di un richiedente asilo, in un luogo nel quale la sua vita o la sua libertà sarebbe in pericolo a causa della sua razza, della sua religione, della sua nazionalità, della sua appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche.

La disciplina del non-refoulement assume rilievo decisivo nell’ambito del soccorso in mare, in relazione all’espulsione di soggetti facenti ingresso nel territorio nazionale. Dinnanzi alla prospettazione della richiesta d’asilo, i soccorritori non potranno esimersi dall’applicare i principi fondamentali sanciti dal diritto internazionale dei rifugiati.

Nonostante gli strumenti di tutela siano stati cristallizzati dalla giurisprudenza, come nel caso Hirsi Jamaa e altri c. Italia, gli Stati hanno attuato delle “politiche del non arrivo”, volte a limitare l’ingresso di cittadini stranieri, per tutelare il territorio e la sicurezza interna. Queste si concretano nelle pratiche di intercettazione, nelle “carrier sanctions” ed in controlli alla partenza.

Un ampio dibattito si è sviluppato, però, soprattutto in merito alla “politica dei respingimenti” e ai poteri esercitabili dallo Stato costiero. Il capitolo che segue tratteggerà gli ultimi sviluppi della disciplina, affiancandoli alle vicende che ne hanno alimentato il dibattito.

Capitolo quinto

POLITICA DEI “PORTI CHIUSI” E DIRITTO

INTERNAZIONALE

5.1 Introduzione

Il regime europeo di controllo dei confini, connotato dalle “politiche del non arrivo” (cfr. 4.3) poste in essere dagli Stati, è stato scosso dalle rivolte sulla sponda Sud del Mediterraneo nel 2011 e destrutturato dalla “lunga estate della migrazione del 2015”.1 A seguito di una

iniziale solidarietà nei confronti dei rifugiati, la risposta europea è stata connotata dalla proliferazione di muri2 attorno ai confini e da una forte limitazione della libertà di

movimento all’interno dello spazio Schengen, nella cornice di un progressivo irrigidimento dei controlli e della politica di confine.

In questo contesto si è inserita, a partire dall’estate del 2018, la politica dei “porti chiusi”, inaugurata dal governo italiano. Questa, consistente nel negare l’accesso ai porti a navi che trasportino migranti soccorsi in mare, è stata caratterizzata da toni esplicitamente anti-umanitari e anti-Ong, portando alla loro criminalizzazione sia nella retorica politica che nella legislazione.

Il divieto di ingresso nei porti ha riguardato principalmente3 navi di ONG battenti

1 MEZZADRA P. (2020), “Un mondo da guadagnare. Per una teoria politica del presente”, Meltemi

2 In tal senso, emblematica è stato il blocco del confine tra Italia e Francia da parte di militanti di estrema destra, come riportato dal FATTO QUOTIDIANO (2018), “Migranti, militanti di estrema destra «bloccano»

il confine tra Italia e Francia: «Stop all’immigrazione di massa»”, in

https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/04/21/migranti-militanti-di-estrema-destra-bloccano-il-confine-tra- italia-e-francia-stop-allimmigrazione-di-massa/4307834/, consultato nel giugno 2020

3 GAGLIARDI A. (2019), “Dalla Mediterranea alla Diciotti: tutte le navi respinte da Salvini”, Il Sole 24 Ore, in https://www.ilsole24ore.com/art/dalla-mediterranea-diciotti-tutte-navi-respinte-salvini-ACr4AtW, consultato nel giugno 2020

bandiere diverse da quella italiana, ma talvolta anche navi delle forze armate italiane (cfr. 5.3). Utile occasione per esaminare i limiti dei poteri degli Stati costieri in tema di ingresso nei porti, è rappresentato dal caso Sea Watch 3, nave che, a fronte del perdurante divieto di ingresso da parte dello Stato italiano, è entrata nel mare territoriale invocando una condizione di stato di necessità (cfr. 5.5).