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Parte II Gli indicatori giuridici globali

2. Autori e attori

Alla base di ogni indicatore giuridico globale, vi è una relazione mini-male consistente almeno di tre parti: la parte che produce l’indicatore (va-riamente denominata, in inglese, ‘producer’, ‘regulator’, ‘promulgator’, ‘ru-le-maker’, ‘benchmarker’), coloro i quali sono misurati (chiamati anche ‘regulatees’, ‘targets’, ‘addressees’, ‘benchmarkees’) e, infine, tutti quelli che dell’indicatore fanno uso (usualmente indicati come ‘users’)3.

In principio, la distinzione è chiara. I produttori sono coloro nel cui no-me l’indicatore è pubblicato; i soggetti regolati sono (tipicano-mente, nel caso degli indicatori giuridici globali) gli stati le cui prassi sono valutate e quan-tificate, mentre gli utilizzatori sono quelli che si appoggiano all’indice per adottare una qualsiasi decisione. Nella sua versione più semplificata, tale struttura implica un rapporto sostanzialmente gerarchico e unidirezionale fra produttori e misurati, rapporto dal quale gli utilizzatori si limitano a trar-re beneficio quali parti terze rispetto a esso.

2. V. retro, Cap. 2, parr. 2-5.

3. Per tale varietà di lessico, cfr. Maria Angélica Prada Uribe, The Quest for Measuring

Development, 134; Kevin E. Davis, Benedict Kingsbury, Sally Engle Merry, Introduction: Global Governance by Indicators, 13; Liam Clegg, Benchmarking and blame games, 952;

Tim Büthe, Beyond Supply and Demand, 32; Sabino Cassese e Lorenzo Casini, Public

Regulation of Global Indicators, 467, 468; Nikhil K. Dutta, Accountability in the Genera-tion of Governance Indicators, 417. Non manca tuttavia chi stilizza ulteriormente la

relazio-ne fondamentale sottostante gli indicatori, identificandola in un’opposiziorelazio-ne binaria fra pro-duttori e utilizzatori: Georgios Dimitropoulos, Global Administrative Law as “Enabling

La realtà, però, è assai più complessa. Non si tratta solo di sottolineare l’ovvio, ossia che i soggetti appena menzionati raramente sono entità mo-nolitiche. Per illustrare: è affatto raro che i produttori presentino divisioni o sub-culture interne, che esprimono preferenze e visioni diverse riguardo gli scopi complessivi dell’organizzazione e le strategie per realizzarli. Ne viene che non sempre vi è un allineamento totale fra un indicatore e l’istituzione che lo promuove, quanto meno allorché il primo è l’espressione di una sotto-partizione della seconda4. L’esempio migliore in tal senso viene dalla BM, i cui numerosi uffici hanno prodotto negli ul-timi anni indicatori di successo propugnando teorie, metodi e obiettivi non perfettamente sovrapponibili (quando non addirittura in espressa con-correnza) fra loro5. Il medesimo discorso, ovviamente, si ripropone sul versante dei soggetti misurati e degli utilizzatori. Gli stati nei cui confron-ti gli indicatori si dirigono, ad esempio, non si muovono come una mona-de, e può ben accadere che le loro strategie di risposta a una misurazione si disclochino su traiettorie divergenti6. Ma la questione principale è un’altra.

Il punto è che tracciare una netta linea distintiva fra le figure coinvolte in un indicatore e le loro reciproche posizioni è complicato dalla varietà di forme proprie a ciascun indicatore, nonché dalla quantità e qualità di

4. Kevin E. Davis, Benedict Kingsbury, Sally Engle Merry, Introduction. The

Local-Global Life of Indicators, 11.

5. Lo notano, con riguardo alla BM, Katja Freistein, Effects of Indicator Use, 373-376; Kevin E. Davis, Benedict Kingsbury, Sally Engle Merry, Introduction. The Local-Global

Life of Indicators, 11; Terence C. Halliday, Legal Yardsticks, 210-211; Michael Riegner, Measuring the Good Governance State, 16; Liam Clegg, Our Dream is a World Full of Poverty Indicators, 477; nonché Galit A. Sarfaty, Why Culture Matters in International In-stitutions, 677. Ciò che viceversa accomuna gli indicatori prodotti dalla BM è che questi,

pur prodotti da uffici diversi, sono tutti espressione del lavoro di economisti dello sviluppo – usualmente con un dottorato da un’università o americana o inglese –, la cui sub-cultura ha nelle ultime decadi prevalso sulle altre comunità interne all’organizzazione (prima fra tutte, per quel che qui rileva, quella dei giuristi), così finendo per ‘economicizzare’ piuttosto che ‘giuridicizzare’ il dibattito giuridico in seno alla Banca stessa: Liam Clegg, Our Dream is a

World Full of Poverty Indicators, 486; Galit A. Sarfaty, Why Culture Matters in Internatio-nal Institutions, 650-78, e in particolare 673-674; Alvaro Santos, The World Bank’s Uses of the “Rule of Law” Promise in Economic Development, 255-299. Per un esempio di come la

produzione di un indicatore possa divenire un’arma nella lotta intestina fra divisioni/fazioni diverse, ma con riguardo al Fondo Monetario Internazionale, v. Leonard Seabrooke,

Prag-matic numbers: the IMF, financial reform, and policy learning in least likely environments,

15 J. Int’l Rel. & Dev. 486-505, e spec. 490-491 e 497-500 (2012) (sul disallineamento, nell’impiego degli indici quantitativi, fra i livelli di vertice del FMI e il suo staff, nonché entro lo staff stesso).

relazioni che i molteplici soggetti interessati intrattengono fra loro7. In que-sto paragrafo, ci incaricheremo perciò di esplorare i tratti, discordanti e no, di chi produce gli indicatori giuridici globali, per poi sondare la pluralità di interazioni che sostengono quella produzione. Cominciamo dall’analisi del fronte dei produttori.

2.1. I produttori

Che il versante dei produttori sia variopinto ci è noto. Gli indicatori giu-ridici globali qui indagati sono realizzati da ONG con aspirazioni globali (Freedom House e Transparency International, entrambe lanciate alla ribal-ta proprio dai loro indicatori di punribal-ta8), organizzazioni internazionali pre-stigiose (che si assumono esperte nei rispettivi campi: è il caso della Banca Mondiale e dell’International Trade Union Confederation9), gruppi di ricer-catori aventi accesso a finanziamenti adeguati (così per i ‘Worldwide Go-vernance Indicators’ e in parte i ‘Doing Business’ Reports10), agenzie di stati nazionali (come il Department of State americano11).

Altrettanto ricco è lo spettro di competenze espresse dalle persone che concretamente lavorano o collaborano, in maniera più o meno diretta, alla preparazione degli indicatori giuridici globali. Abbiamo visto che gli anali-sti in-house e i consulenti esterni al servizio sui ‘Freedom in the World’ e sul ‘Corruption Perceptions Index’ sono prevalentemente scienziati politici, ma anche storici, economisti e attivisti dei diritti umani12. I ‘Worldwide Governance Indicators’ sono aggregati da una ristretta cerchia di economi-sti dello sviluppo affiliati alla Banca Mondiale13. Il gruppo ‘Doing Busi-ness’ si appoggia largamente a giuristi per ottenere risposta alle domande

7. Sulle medesime linee, cfr. Liam Clegg, Benchmarking and blame games, 952; Kevin E. Davis, Benedict Kingsbury, Sally Engle Merry, Introduction: Global Governance by

In-dicators, 13; Tim Büthe, Beyond Supply and Demand, 33.

8. Retro, Cap. 4, par. 2.1 e 3.1. La relazione fra produzione dell’indicatore e successo del suo produttore diviene ovviamente ancora più stretta quando l’indicatore è realizzato da una società commerciale al fine espresso di essere venduto a terzi, nel qual caso la realizza-zione dell’indice costituisce fin dall’inizio il core business dell’impresa. Più in generale, sull’interazione fra l’emersione di un indicatore e lo sviluppo organizzativo e istituzionale di chi lo produce, v. retro, Cap. 2, parr. 2, 4-5.

9. Retro, Cap. 4, parr. 2.2., 5.1 e 6.1. 10. Retro, Cap. 4, parr. 2.2 e 5.1.

11. Retro, Cap. 4, par. 4.1. Il caso dei ‘Trafficking in Persons’ Reports non è isolato: per una lista degli indicatori compilati unilateralmente dal governo americano, v. Judith G. Kel-ley, Scorecard Diplomacy, 7.

12. Cfr.

freedomhouse.org/report/freedom-world/freedom-world-2019/acknowledge-ments e transparency.org/whoweare/organisation/individual_members/0.

poste dal questionario, ma è al suo interno innervato, corposamente, da economisti e scienziati politici14. Non è chiaro il background educativo di chi redige i ‘Trafficking in Persons’ Reports e il ‘Global Rights Index’; è certo tuttavia che i dati fondamentali alla costruzione dell’uno e dell’altro sono forniti, rispettivamente, dalle ambasciate americane e da associazioni sindacali nazionali15. Accanto a tali soggetti operano quasi sempre esperti di statistica sociale16.

Se i produttori degli indicatori giuridici globali si distinguono per la loro natura e per le competenze di chi, in concreto, stila l’indicatore, gli elemen-ti di conelemen-tinuità non mancano. Vale la pena di evidenziarne tre.

(i) I settori del sapere più rappresentati fra le fila di coloro i quali

lavo-rano sugli indicatori giuridici globali sono l’economia e le scienze politi-che17. In altre parole, nonostante che gli indici in questione tocchino più o meno da vicino l’ambito giuridico, le comunità che li producono scarseg-giano di giuristi, e sono viceversa abitate da esperti di altri campi delle scienze sociali.

(ii) I contributori sono, appunto, esperti. Sviluppare un indicatore

ri-chiede l’incrocio di una serie di skills – di ricerca, numerico-statistiche, di comunicazione – che tipicamente sbocciano entro gruppi strutturati interdi-sciplinarmente, composti da figure ad alto livello educativo e connotati da un’elevata specializzazione interna (oltre che da fondi atti a sostenerli)18. Tale organizzazione del lavoro de-responsabilizza i singoli componenti e depoliticizza il loro contributo, poiché ciascuno partecipa semplicemente offrendo le sue capacità al frammento tecnico volta a volta sottoposto alla sua expertise19.

14. Dei 59 membri del team DB, 26 sono giuristi: v. retro, Cap. 4, par. 5.1, nt. 188. 15. Retro, Cap. 4, parr. 4.1 e 6.1.

16. Kevin E. Davis, Benedict Kingsbury, Sally Engle Merry, Introduction. The

Local-Global Life of Indicators, 13-14.

17. Uwe Kischel, Comparative Law, CUP, 2019, 138; Amanda Perry-Kessaris, Prepare

your indicators, 403-407; William Twining, General Jurisprudence: Understanding Law from a Global Perspective, CUP, 2009, 253–254.

18. V. soprattutto, David McGrogan, Human Rights Indicators, 401 (“Depoliticizing what would ordinarily be politically contested, through the application of technical stan-dards, may provide a sense of neutrality and objectivity, but it is a false sense. It removes socio-political values from the public realm and embeds them in the construction of indica-tors, which shifts the balance of power towards the experts engaged in that process”); Sally Engle Merry, The Seductions of Quantification, in particolare 27-35; Kevin E. Davis, Bene-dict Kingsbury, Sally Engle Merry, Introduction: Global Governance by Indicators, specie 19-21; Terence C. Halliday, Legal Yardsticks, 216.

19. Il fenomeno non è certo unico agli indicatori, ma è viceversa connaturato ai processi di produzione del diritto globale: cfr. Gregory C. Shaffer, Transnational Legal Process and

(iii) Gli esperti in questione hanno tendenzialmente studiato nelle

uni-versità del Nord del mondo20, e producono indicatori per enti e organizza-zioni con sede negli Stati Uniti o, al più, in Europa (il mercato degli indica-tori è in teoria aperto a chiunque, ma è per il momento monopolizzato dall’Occidente; solo la raccolta dei dati, come vedremo fra un attimo, coin-volge sovente anche il Sud)21. Il loro sostrato educativo e professionale si connota cioè per una comunanza di vocabolario, assunzioni, prospettive e chiavi di lettura, che sono quasi tutti di matrice occidentale. È proprio tale spontanea convergenza di identità educativo-professionali che spiega l’indifferenza dimostrata dagli indicatori verso ciò che Occidente non è, e l’adesione automatica a pratiche, agende e priorità coincidenti con quelle dell’Europa e soprattutto degli Stati Uniti: non è un caso che i livelli più alti dei ranking siano occupati sempre dai paesi occidentali, mentre gli altri si collocano nella parte bassa della scala22. Gli esperti che lavorano agli indi-catori contribuiscono in tal modo a rafforzare i pregiudizi di cui si fanno portatori, perché quegli stessi punteggi tendono a essere interpretati (non quale espressione di un bias diffuso, ma viceversa) come indici della supe-riorità dei paesi del Nord del mondo e della difettosità di tutti gli altri23. La conoscenza esperta in tal modo si presta a veicolare – si è fatto notare – una

State Change, 246; David Kennedy, Challenging Expert Rule: The Politics of Global Go-vernance, 27 Sydney L. Rev. 1-15 (2005).

20. Fra i tantissimi, Sally Engle Merry, The Seductions of Quantification, 31; Catherine Powell, Gender Indicators as Global Governance, 790; Alexander Cooley, The emerging

politics of international rankings and ratings, 4-5, 25; Tor Krever, Quantifying law, 145;

María Angélica Prada Uribe, Development though data?, 14; Michael Riegner, Measuring

the Good Governance State, 19; David H. Lempert, A “Democracy Building” Development Project Indicator for NGOs and International Organizations, 11 Glob. Jurist, issue 2, Art.

4, 10 (2011); Kerry Rittich, Governing by Measuring, 471.

21. Si v. infra, in questo Cap., par. 2.2 e 4.1, nonché, analogamente, Sally Engle Merry,

The Seductions of Quantification, 212. Il dato è del resto in linea con il rilievo per cui il

diritto transnazionale e globale si muove lungo direzioni precise, “with the US and the EU more likely being producers of transnational legal norms, as opposed to being appropriators of them. In a globalized world, much of law is subject to transnational influences and pres-sures, but more powerful states are the primary exporters of legal norms” (Gregory C. Shaf-fer, Transnational Legal Process and State Change, 231, ma v. anche 250, 257; analoga-mente, fra i tanti, Anthea Roberts, Is International Law Really International?, 9-11; Neil Walker, Intimations of Global Law, CUP, 2015, 30-39, 42-43, 45-47).

22. André Broome e Joel Quirk, Governing the world at a distance, 829-830 (anche per una tabella riepilogativa che mette bene in mostra chi, nei giochi con gli indicatori, più di sovente vince o perde).

23. Gli stati del Sud del mondo sono fra l’altro quelli che dipendono maggiormente da donazioni, da aiuti e da investimenti internazionali, e che perciò hanno meno chances e/o desiderio di opporsi con efficacia ai risultati portati dagli indicatori: v. sul punto infra, in questo Cap., par. 7, nt. 168.

rappresentazione neo-coloniale dell’Occidente saggio, che generosamente offre la sua paternalistica assistenza a chi (Occidente non è, e quindi) di quell’aiuto è bisognoso24.

Ma tutto ciò non potrebbe avvenire solo in virtù dell’autorevolezza pro-pria delle comunità tecnocratiche, educate all’occidentale, che producono gli indicatori giuridici globali. Quanto va rimarcato – ed è la seconda que-stione che qui si intende affrontare – è che chi costruisce l’indicatore non opera in solitudine.

2.2. Reti di collaborazione

La costruzione di un indicatore giuridico globale è sempre un (più o meno evidente) processo collettivo25. Ciò è chiarissimo nelle intraprese che fanno ricorso a dati originali: per riprendere gli esempi già svolti, l’Office to Monitor and Combat Trafficking pubblica i ‘Trafficking in Persons’ Re-ports grazie alla collaborazione con le ambasciate americane nel mondo26, il team ‘Doing Business’ invia annualmente il proprio questionario a circa 14.000 uffici legali e governativi27, il ‘Global Rights Index’ raccoglie le ri-sposte e le segnalazioni delle 331 sigle sindacali che aderiscono all’ITUC28. Per realizzare i ‘Freedom in the World’ Reports e il ‘Corruption Percep-tions Index’, Freedom House e Transparency International si rivolgono, ol-tre che al personale in house, a squadre di consulenti esterni29. Ma persino gli indicatori compositi (ossia basati sull’aggregazione di altri indicatori), come in parte è il ‘Corruption Perceptions Index’ e sono in toto i ‘World-wide Governance Indicators’, che pure richiedono un apporto innovativo da parte di terzi limitato30, in effetti si appoggiano a notizie, risultati e dati provenienti da una rete di attori più o meno indipendenti (organizzazioni internazionali, uffici statistici nazionali, ONG locali e globali, ricercatori, 24. Eve Darian-Smith, Mismeasuring Humanity: Examining Indicators Through a

Criti-cal Global Studies Perspective, 10 New Glob. Stud. 73, 80, 85-88, 88-99 (2016) (“indicators

are functioning, despite the best of intentions, in ways similar to earlier modes of colonial management and calculated distinction”: Ead., 86); Jothie Rajah, ‘Rule of Law’ as

Transna-tional Legal Order, 348-350; André Broome e Joel Quirk, Governing the world at a dis-tance, 830.

25. Kevin E. Davis, Benedict Kingsbury, Sally Engle Merry, Introduction: Global

Gov-ernance by Indicators, 13.

26. Retro, Cap. 4, par. 4.1. 27. Si v. retro, Cap. 4, par. 5.1. 28. Retro, Cap. 4, par. 6.1.

29. Cfr.

freedomhouse.org/report/freedom-world/freedom-world-2019/acknowledge-ments, e transparency.org/whoweare/organisation/individual_members/0, nonché retro,

Cap. 4, rispettivamente parr. 2.1 e 3.1. 30. V. retro, Cap. 4, parr 3.1 e 2.2.

imprese private), il che annacqua l’esclusiva paternità del risultato finale e diluisce la possibilità di capire con chiarezza chi ha deciso cosa, quando e in che misura31.

Del resto, sono gli stessi soggetti valutati o gli utilizzatori di un indicatore a partecipare sovente ai processi collettivi sottostanti alla costruzione di que-sto. Si danno casi – ad esempio, i TiP – in cui la relazione fra produttori e mi-surati è assai più simbiotica che gerarchica, perché l’indicatore, lungi dall’essere un strumento di potere verticale, è effettivamente il tavolo in cui si negozia il rapporto fra i primi e i secondi32. Si danno poi numerosi ipotesi in cui i cc.dd. utilizzatori, invece di essere terzi rispetto alla misurazione33, coincidono o nutrono relazioni con lo stesso ente produttore dell’indicatore (come quando gli uffici della Banca Mondiale impiegano gli indici confezio-nati da altre unità, o l’agenzia di sviluppo americana USAID considerati i da-ti raccolda-ti dal Diparda-timento di Stato nei TiP) o con chi è da quest’ulda-timo valu-tato (come avviene allorché lo svalu-tato oggetto dell’indicatore si allinea rispetto ai contenuti di questo), o, ancora, con un misto delle due categorie34. Si

dan-31. In generale, Kevin E. Davis, Benedict Kingsbury, Sally Engle Merry, Introduction:

Global Governance by Indicators, 13-14; con specifico riguardo ai WGI, Tony Porter, Mak-ing serious measures, 546 (per il quale i WGI “do not just report on observations: they enrol

other networks into their project, at times altering the conduct of these networks”). Fuori dalla cerchia degli indicatori giuridici globali qui analizzati, si danno anche casi più estremi, in cui la dissociazione fra chi ‘commercializza’ sotto il proprio nome l’indicatore e chi effet-tivamente vi lavora è totale, come nelle ipotesi degli indicatori cooperativi, dove l’ente for-nisce la griglia che poi spetta agli stessi indicati riempire (v. retro, Cap. 3, par. 3) oppure in quelle in cui l’ente che dà il nome all’indicatore appalta tutta o parte della procedura di rac-colta e trattamento dei dati a un altro soggetto (come avviene entro il Programme of Interna-tional Student Assessment (PISA) dell’OCSE, che rimette l’esecuzione dei testi sottostanti il PISA alla società ‘Australian Council on Educational Research’: Armin von Bogdandy e Matthias Goldmann, Taming and Framing Indicators, 76-79, nonché retro, Cap. 1, par. 3). Nelle manifestazioni di dissociazione massima, chi ‘promulga’ l’indicatore si comporta “come il produttore di un prodotto di consumo, il cui contributo principale consiste nel dare il suo nome e forse il suo design, la sua esperienza di marketing e di controllo di qualità all’output collettaneo di una catena di montaggio globale”: Kevin E. Davis, Benedict King-sbury, Sally Engle Merry, Introduction: Global Governance by Indicators, 14 [trad. dell’A.].

32. Judith G. Kelley, Scorecard Diplomacy, 19. Ancora più evidente è la simbiosi fra produttore dell’indicatore e soggetto valutato nelle ipotesi dove il secondo fornisce i dati essenziali al primo (come negli indicatori dei diritti umani) oppure paga per avere il primo (come di frequente avviene nei rating): Kevin E Davis, Benedict Kingsbury and Sally Engle Merry, Introduction: Global Governance by Indicators, 13.

33. Come tipicamente avviene allorché un’agenzia per lo sviluppo, come USAID o MCC, usa le risultanze dei FiW, dei WGI o dei DB per determinare l’allocazione delle sue risorse.

34. Kevin E. Davis, Benedict Kingsbury, Sally Engle Merry, Introduction: Global

no, ancora, numerose evenienze in cui l’osmosi fra chi produce l’indicatore, chi ne è valutato e chi lo utilizza è facilitata dagli intrecci di percorsi persona-li e carriere professionapersona-li fra chi lavora sull’uno o sull’altro versante. Fra le tante illustrazioni, basti ricordare che il CPI è pubblicato da una ONG tede-sca i cui fondatori avevano precedentemente lavorato per la BM e i cui risul-tati, poco sorprendentemente, sono stati plauditi e finanziati dalla BM stes-sa35. Il successo dei DB nell’Europa dell’Est (in particolare in Bulgaria e in Georgia) e gli sfavillanti ranking recentemente ottenuti da questi paesi si de-vono molto alle visite frequenti sul campo effettuate da uno degli ideatori dei DB, Simeon Djankov, il quale, dopo quell’esperienza, diventerà ministro del-le finanze in Bulgaria e successivamente rettore di un’università moscovita36.

Ma persino laddove non vi sia incrocio diretto, la distinzione fra produt-tori, misurati e utilizzatori finisce in concreto per essere assai meno netta di quanto può apparire a prima vista.

Poiché l’autorità propria a un indicatore viene da un insieme di variabili, che includono (sì le risorse, le competenze e il prestigio del suo produttore, ma anche) l’ampiezza delle percentuali di adesione a quell’indice e di suo impiego da parte di platee differenti, è chiaro che coloro i quali rispondono a una valutazione e ne utilizzano i risultati sono altrettanto determinanti nel definire l’area di influenza dell’indicatore che i produttori ufficiali di quest’ultimo37. Ciò che gli indicatori dicono, in altri termini, risuona, si amplifica e si trasforma attraverso l’appropriazione dei suoi messaggi da parte di una rete complessa di soggetti – politici e burocrati nazionali, agenzie statali, network esperti, analisti, consulenti, giornalisti e ricercato-ri38 – che comprendono il linguaggio, i bisogni e le priorità espresse da quei