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Parte II Gli indicatori giuridici globali

3. Titoli, temi e teorie

Ogni indicatore giuridico globale ha un titolo suggestivo, dei temi cen-trali che, sovente articolati ad albero, riassumono quanto in concreto è mi-surato, e una teoria fondamentale a sostegno e sostrato dell’iniziativa. Que-sti titoli, temi e teorie sono sempre altisonanti, attraenti, e veQue-stiti di un’apparente scientificità che copre come un velo sottile la discrezionalità che dà corpo a qualsiasi indice45 – ne costituisce riprova la circostanza che raramente indicatori che pur condividono il nome, l’oggetto o i presupposti di fondo conducono a risultati coincidenti46.

chael Sauder, Rankings and Reactivity, 5 (sul modificarsi nel tempo delle aspirazioni proprie allo USN Weeks).

44. Da questo punto di vista, si sottolinea come gli indicatori siano “una forma di con-trollo gentile che definisce la realtà e include un sistema di dominazione in cui i dominati sono attivi o involontariamente complici” (Leonard Seabrooke e Duncan Wigan, How

acti-vitists use benchmarks, 889 [trad. dell’A.]); lungo le medesime linee, cfr. Sally Engle Merry, The Seductions of Quantification, 20-21; René F. Urueña, Indicators and the Law, 97;

Chri-stiane Arndt e Charles Oman, Uses and Abuses of Governance Indicators, 97-98, nonché infra, in questo Cap., par. 7.

45. Sally Engle Merry, The Seductions of Quantification, 20 (“interpretations creep into the final product at each step along the way. The choice of measurement approaches, the construction of categories, the selection of data sources, the use of proxies to measure a con-cept when specific data are unavailable, and the label used for the phenomenon that is being measured are all matters of choice and interpretation”); Sally Engle Merry, Measuring the

World Indicators, S83.

46. Gli esempi abbondano. Si v. Seva Gunitsky, Lost in the gray zone. Competing

measures of democracy in the former Soviet republics, in Alexander Cooley e Jack Snyder

(eds.), Ranking the World, 112-149 (per uno studio empirico degli indicatori della democra-zia prodotti da Freedom House, dall’Economist Intelligence Unit e da Polity IV con riguardo ai paesi membri dell’ex Unione Sovietica – i dati non collimano, né anno per anno, né nel tempo); Jørgen Møller e Svend-Erik Skaaning, The Rule of Law, 63-68 (per grande varietà di conclusioni traibili dal confronto fra sei indicatori diversi della ‘rule of law’); Morten Jer-ven, Poor Numbers, 18-19 (ove si riporta come il PIL dei paesi africani risulti diverso a se-conda di chi quale organizzazione internazionale o ONG lo misura), nonché 62-63 (sul di-saccordo fra i dati sulla produttività del settore agricolo nigeriano raccolti, rispettivamente, dagli uffici statistici della Nigeria stessa, da un lato, e dalla Food and Agriculture Organiza-tion (FAO) dall’altro lato); Wolfgang Merkel, Measuring the Quality of Rule of Law, 47 (che mostra le incongruità fra i risultati ottenuti, paese per paese, dai ‘Freedom in the World’ Reports e dai ‘Worldwide Governance Indicators’, oltre che da altri indicatori della ‘rule of law’, come il Bertelsmann Transformation Index e il World Justice Project); Sam Schueth, Assembling International Competitiveness, 58 (che mette a confronto la posizione occupata, nel 2009, dalla Georgia nei DB e nel Global Competitiveness Index, ove il paese

Per contro, ulteriore punto in comune nella varietà di forme possibili è, come vedremo fra un attimo, che ciascun indicatore presenta uno scollamen-to più o meno marcascollamen-to fra i differenti livelli. In altri termini, ciò di cui l’indicatore si propone come vessillo (i titoli) raramente intrattiene una rela-zione stabile con quanto in concreto valutato (i temi), e né l’uno né l’altro hanno usualmente un legame solido con la lezione generale che l’indicatore vorrebbe dimostrare (sono le teorie).

3.1. I grandi nomi

I titoli sono importanti. Quelli degli indicatori sono sovente attraenti e fuorvianti, perché evocano nelle platee di loro ricezione un’idea, una priorità, un problema (in positivo o in negativo: governance e corruzione, tratta delle persone e diritti civili) che trascende grandemente i limiti tecnici di ciò che l’indice indaga. Fra le tante illustrazioni, si pensi all’intitolazione dei ‘Freedom in the World’ Reports, che si presentano quale misura della ‘libertà nel mondo’, laddove i temi prescelti sono le libertà civili e politiche di marca statunitense, e la teoria sottostante è semplicemente la superiorità delle de-mocrazie liberali a stelle e strisce rispetto ad assetti alternativi del potere poli-tico ed economico47. Il nome dei ‘Doing Business’ Reports promette di tratta-re tutti gli elementi che tratta-rendono un luogo adatto agli investimenti: ma, a ben guardare il questionario, i suoi dieci assi studiano schegge della vita di un’impresa ipotetica nella città più grande del paese, che rimandano solo frammenti di ciò che i DB vorrebbero provare, ossia la centralità, ai fini dello sviluppo economico, del libero mercato48. Laddove il titolo del ‘Global Rights Index’ evoca la difesa di diritti globali, è l’esplorazione di alcune pre-figurava, rispettivamente, al 15° e al 90° posto); Angelina Fisher, From Diagnosing

Under-Immunization to Evaluating Health Care Systems, 243 (la quale riporta come, nel 1990, i

dati nazionali circa la protezione immunitaria col vaccino DTP3, ossia quello circa la terza dose del vaccino contro difterite, tetano e pertosse, segnalavano una copertura globale dell’83%, laddove il WHO la stimava al 75% e studi privati al 65%). Del resto, vi è anche chi è talmente scettico nei confronti della scientificità degli indicatori da dubitare che la ri-proposizione dei calcoli alla base di un indice conduca a un risultato univoco: Amanda Per-ry-Kessaris, Prepare your indicators, 416 (“are we sure that if we conducted the surveys again we would get the same result?”). Al tempo stesso, vi è anche chi ha segnalato il feno-meno opposto, ossia quello di indicatori supportati da titoli, oggetti, metodi e teorie differen-ti, che ciò nonostante raggiungono risultati sorprendentemente simili – il che suggerisce non tanto che le misure siano corrette, quanto piuttosto che in realtà tutti gli indici misurino la stessa cosa o siano affetti dai medesimi problemi: così, specie nel settore degli indicatori di ‘rule of law’ e corruzione, Mila Versteeg e Tom Ginsburg, Measuring the Rule of Law, 111-124; Laura Langbein e Stephen Knack, The Worldwide Governance Indicators, 350-370.

47. V. retro, Cap. 4, par. 2.1. 48. Retro, Cap. 4, par. 5.1.

rogative, individuali e collettive, dei lavoratori a riempire di contenuto l’indicatore, sull’ovvio presupposto che il riconoscimento di quelle segnali il buono stato di salute delle protezioni lavoristiche in un dato paese49.

Se tali forme di pubblicità millantata sono connaturate agli esercizi in questione, occorre tuttavia ribadire – in linea con quanto si è appena detto sul fronte degli autori e attori – che la misura dell’esagerazione non dipende solo dalle scelte di design dei produttori. Si prenda ad esempio il ‘Corruption Per-ception Index’. Il titolo è sicuramente in debito con la realtà di ciò che l’indicatore misura, che è solo una versione specifica della corruzione, ossia quella che prende le forme della richiesta di denaro a un imprenditore da par-te di un pubblico ufficiale. Ma il titolo è anche trasparenpar-te nel rendere chiaro come l’indice guardi solo alle ‘percezioni’ della corruzione. Orbene, pur a fronte di un simile importante caveat, il CPI è usualmente citato da chi lo in-voca come una misurazione della corruzione tout court. A dispetto di ogni precisazione, l’indicatore circola nel mondo quale metro del grado di corru-zione di un paese50.

Equivoci di questo genere sono frequenti51. Una volta che un indice si ‘stabilizza’ nell’immaginario collettivo, esso finisce sovente per diventare quasi sinonimico con il fenomeno che il suo titolo dice di misurare52. Ai

li-49. V. retro, Cap. 4, par. 6.1.

50. Mlada Bukovansky, Corruption rankings, 62 (“The CPI does more than publicize; it helps to structure the issue in terms of its definition and measurement”). Per una simile os-servazione circa i FiW, v. Sarah Sunn Bush, The Politics of Rating Freedom, 711 (“the FITW reports not only rate democracy but also define democracy for certain audiences”); riguardo ai WBL, Catherine Powell, Gender Indicators as Global Governance, 790 (“by exercising the ‘power of naming’ in labeling the category to be measured, determining what is included in or excluded from the category, and setting forth parameters for measurement, the use of an indicator is an exercise of hegemony”).

51. Uno sforzo notevole per evitare simili slittamenti di significato è stato fatto in mate-ria di diritti umani, ove, come abbiamo già ricordato (v. retro, Cap. 3, par. 3, nt. 26), è co-mune riferirsi al modello sviluppato da Avedis Donabedian per valutare la qualità di un ser-vizio sanitario, suddividendo le dimensioni dell’indicatore in strutture/processi/risultati, così da misurare separatamente lo stato dell’arte, gli sforzi volti a raggiungere un certo traguardo e i risultati operativi esistenti (OHCHR, Human Rights Indicators, 34-42). Ma simili sforzi restano minoritari nell’ecologia complessiva del fenomeno, e hanno finora goduto di tassi di successo incomparabili rispetto alle iniziative che da quella triparizione prescindono. Nel mondo degli indicatori, lo si è già sottolineato più volte, l’accuratezza non paga. V. retro, Cap. 2, par. 5 e Cap. 3, par. 3.

52. Non si tratta dell’unico effetto retorico che può riguardare un indicatore. Altro fe-nomeno comune è che uno degli assi dell’indicatore inglobi in chiave sineddotica l’indicatore stesso. Per non fare che un esempio: il titolo dei WGI si dedica alla ‘governan-ce’, uno dei cui sei assi è centrato sulla ‘rule of law’. Orbene, negli usi correnti, i WGI circo-lano frequentemente quali indicatori della ‘rule of law’ tout court: v. Jothie Rajah, ‘Rule of

velli più estremi di tali processi, l’indicatore si muove quale sorta di ‘black-box’ dentro cui nessuno guarda, né ha bisogno di guardare, perché si dà oramai per scontato che l’indice coincida con la materia trattata. L’indice offre così una forma standardizzata di accesso al tema investigato che esclude ogni possibilità (non solo di mettere in questione la stessa opportu-nità della misurazione e dei suoi modi, ma anche) di esplorare percorsi, si-gnificati e visioni concorrenti53. Una delle illustrazioni più spesso citate al riguardo concerne un indicatore non strettamente giuridico, come lo ‘Hu-man Development Index’. Quando la nuova metodologia di misurazione dello ‘sviluppo umano’ venne inizialmente lanciata dallo United Nations Development Programme, si aprì un acceso dibattito circa l’appropriatezza e necessità di quanto proposto. Gradualmente, però, l’indicatore si è cristal-lizzato, e oggi è considerato in molti ambienti come una fotografia affidabi-le dello stato dello sviluppo di un paese. Soprattutto, lo HDI si è affidabi-lentamente imposto come il parametro della contestata e ambivalente nozione di ‘svi-luppo’54, che in numerosi circoli è semplicemente reputato coincidere con ciò su cui si centra lo HDI stesso: avere un’alta aspettativa di vita, un certo grado di educazione e un determinato potere d’acquisto55.

53. Hendrik Huelss, After decision-making, 399 (“[i]ndicators not only produce norma-tive substance by defining specific aspects as relevant for HR, they also set limits as to what is perceivable in the first place”); Sally Engle Merry, The Seductions of Quantification, 4, 13 (“when an indicator is labeled, it defines the phenomenon it is measuring. For example, it is hard to define intelligence, but the concept is often specified by what the IQ test measures. The process of measurement tends to produce the phenomenon it claims to measure”: Ead., 13); Dora Gambardella e Rosaria Lumino, Sapere valutativo e politiche pubbliche, 545 (“l’effetto più evidente di questi processi di riduzione della complessità è il fatto che la co-noscenza acquisisce autorevolezza, robustezza e autoevidenza, conferendo carattere di ir-rilevanza e di invisibilità ad ogni informazione non espressa nella stessa metrica”); Cathe-rine Powell, Gender Indicators as Global Governance, 795-6, 803-4; Kevin E. Davis e Ben-edict Kingsbury, Indicadores como intervenciones, 506-514; Sally Engle Merry, Measuring

the World, S84 (“One of the critical ways an indicator produces knowledge is by

announc-ing what it measures, such as “rule of law” or “poverty.” Neither of these categories is self-evident. […] Labeling is essential to produce a measure that is readily understood by the public and simple in its conception. Labels do not necessarily accurately reflect the data that produce the indicators, however. How indicators are named and who decides what they rep-resent are fundamental to the way an indicator produces knowledge”).

54. Ambigua e contestata, a tacer d’altro, perché sospettata di perpetuare l’egemonia oc-cidentale sul resto del mondo, e con essa le ineguaglianze strutturali che, ufficialmente, le politiche di sviluppo si propongono di superare: fra i tanti, Sundhya Pahuja, Decolonising

International Law; Balakrishnan Rajagopal, International Law from Below. Development, Social Movements and Third World Resistance, CUP, 2003; Arturo Escobar, Encountering Development, Princeton U. P., 1995.

55. Su queste evoluzioni, per tutti, Sakiko Fukuda-Parr, The Human Development

Para-digm, 307. Il modo in cui una misurazione modella ciò che essa aspira a catturare,

Tornando agli indicatori qui analizzati, un percorso simile è stato pro-prio ai ‘Doing Business’ Reports, che si sono rapidamente imposti come la misura della competitività economica di un paese, radicando nel dibattito un lessico (si pensi all’espressione portmanteau ‘clima degli investimenti’) e un’idea (un appropriato ‘clima degli investimenti’ favorisce l’economia e la società nel suo complesso) che – con l’eccezione di qualche piccolo cir-colo intellettuale – hanno largamente conquistato il discorso tecnico, politi-co, mediatico e pubblipoliti-co, ove la correttezza e fondatezza di quel lessico e quell’idea non sono più messe in discussione56.

Una precisazione, infine. Quanto appena detto per il titolo di un indica-tore vale anche per l’intitolazione attribuita ai vari assi, dimensioni e sotto-dimensioni che compongono l’indice stesso, l’etichetta di ciascuno dei qua-li usualmente rimanda a un’area assai più ampia di quella in concreto esplo-rata. Di seguito vi è qualche esempio grafico di tali nomi e della loro strut-turazione con riguardo ai ‘Freedom in the World’ Reports, ai ‘Worldwide Governance Indicators’, ai ‘Doing Business’ Reports e al ‘Global Rights Index’ (meno nitida, per contro, è la suddivisione interna al ‘Corruption Perceptions Index’ e ai ‘Trafficking in Persons’ Reports)57.

Cominciando dai più semplici, i FiW si dividono in due assi principali (di cui uno declama proditoriamente di misurare i diritti politici e l’altro le libertà civili), che a loro volta si diramano al loro interno in altisonanti arti-colazioni ulteriori. Meno complessa è la struttura, ma non meno ampie le aspirazioni, dei sei assi su cui poggiano i WGI, i quali si dedicano all’analisi di elementi del calibro di ‘Control of Corruption’ e ‘Rule of Law’. Ugualmente enfatici sono i titoli dei cinque assi del GRI, che pro-mettono di sondare gli aspetti principali delle libertà sindacali.

evidente anche nel quasi-monopolio del PIL quale indice di misurazione della ricchezza del-le nazioni: v., per tutti, Lorenzo Fioramonti, Gross Domestic Probdel-lem, spec. 3-12, 85-113, nonché, per qualche autorevole, ma tuttora minoritaria, proposta alternativa, Joseph E. Sti-glitz, Amartya Sen, Jean-Paul Fitoussi, Report by the Commission on the Measurement of

Economic Performance and Social Progress, 2009, a ec.europa.eu/eurostat/documents/-118025/118123/Fitoussi+Commission+report, nonché i successivi lavori della

Commissio-ne Europea al riguardo, a ec.europa.eu/eurostat/cros/content/38-beyond-gdp_en. 56. Amanda Perry-Kessaris, Prepare your indicators, 402.

57. Le informazioni riportate di seguito nel testo sono tratte, rispettivamente, da:

free-domhouse.org/report/methodology-freedom-world-2019, in-fo.worldbank.org/governance/wgi/#home, ituc-csi.org/IMG/pdf/2019-06-ituc-global-rights-index-2019-report-en-2.pdf, 51-57, doingbusiness.org/en/methodology.

Ma i campioni dei titoli sono i ‘Doing Business’ Reports. I loro dieci as-si as-si vorrebbero misura di macro-aspetti del diritto privato dell’economia, come la registrazione della proprietà, gli strumenti volti alla realizzazione coattiva degli impegni contrattuali, la protezione degli azionisti di minoran-za e la definizione delle procedure di insolvenminoran-za. A ben guardare le dimen-sioni sottostanti, però, tali elementi sono di fatto indagati in modo fram-mentario e, soprattutto, con riguardo ad alcune variabili soltanto.

Proprio sulla selezione degli aspetti concretamente indagati per riempire di contenuto l’indicatore, i suoi assi e le sue dimensioni, occorre ora centra-re l’attenzione.

3.2. Le variabili rilevanti

Abbiamo appena intravisto l’ossatura formale di alcuni indicatori giuri-dici globali, nonché gli scollamenti che connotano i passaggi da un livello all’altro. Questa asimmetria fra aspirazioni veicolate nel titolo e ciò che si misura in concreto è una costante di tutti gli indicatori, e in tutti diventa massima quando si vanno a scandagliare i temi, le questioni e le variabili minute (comunemente detti proxy) che sono operativamente alla base delle analisi quantitative.

Ciò è dovuto alla circostanza che, onde poter procedere a una misura-zione, è necessario partire da qualcosa di facilmente quantificabile. Ecco perché i proxy sono sovente individuati non in virtù della loro rappresenta-tività o relazione stretta rispetto al problema che si vuole indagare, ma piut-tosto in ragione della loro alta suscettibilità alla quantificazione e della con-creta disponibilità dei dati cui essi si riferiscono58. Detto altrimenti,

58. Gli indicatori violano così la regola aurea degli studi quantitativi nelle science socia-li, per cui “concept formation stands prior to quantification” (Giovanni Sartori, Concept

Misformation in Comparative Politics, 64 Am. Pol. Sci. Rev. 1033, 1038 (1970)): André

Broome, Alexandra Homolar, Matthias Kranke, Bad science, 514-539; José Antonio Alonso e Carlos Garcimartín, Measuring Governance, 76; Dora Gambardella e Rosaria Lumino,

l’indicatore ricerca e ingloba solo elementi che si prestano più facilmente alla misurazione (e che, possibilmente, sono già stati da altri misurati), piut-tosto che gli elementi che esso dovrebbe misurare59.

Sapere valutativo e politiche pubbliche, 536-537; Jack Snyder e Alexander Cooley, Rating the ratings craze, 178; Wolfgang Merkel, Measuring the Quality of Rule of Law, 21; Stefan

Voigt, How (not) to measure institutions, 16; John K.M. Ohnesorge, Legal Origins and the

Tasks of Corporate Law in Economic Development: A Preliminary Exploration, B.Y.U. L. Rev. 1619, 1628 (2009).

59. Uwe Kischel, Comparative Law, 137-138; Kerry Rittich, Governing by Measuring, 475-476; e poi anche Malcolm Langford, Interdisciplinary and multimethod research, in Bård A. Andreassen, Hans-Otto Sano, Siobhán McInerney-Lankford (eds.), Research

Meth-ods in Human Rights, 161, 179; Sakiko Fukuda-Parr, Alicia Ely Yamin, Joshua Greenstein, The Power of Numbers, 108; AnnJanette Rosga e Margaret L. Satterthwaite, Measuring Human Rights. UN Indicators in Critical Perspective, in Kevin E. Davis, Angelina Fisher,

Benedict Kingsbury, Sally Engle Merry (eds.), Governance by Indicators, 297, 305; Sarah Dadush, Impact Investment Indicators, 429; Wolfgang Merkel, Measuring the Quality of

Rule of Law, 21; Sital Kalantry, Jocelyn E. Getgen, Steven Arrigg Koh, Enhancing En-forcement of Economic, Social and Cultural Rights Using Indicators, 286; Stefan Voigt, How (not) to measure institutions, 16; Curtis J. Milhaupt, Rethinking Law’s Relationship to the Economy, 840; Curtis J. Milhaupt e Katharina Pistor, Law and Capitalism. What Corpo-rate Crises Reveal about Legal Systems and Economic Development around the World, U.

Chicago P., 2008, 10; Wendy Nelson Espeland e Michael Sauder, The Dynamism of

Indica-tors, 95. Per qualche esempio relativo a indicatori diversi da quelli analizzati nel Cap. 4, si

pensi al caso degli indici riguardo le università, i quali sovente calcolano il livello dei servizi bibliotecari in base al numero dei libri posseduti o al numero di accessi e prestiti, senza con-siderare altri fattori importanti (come la qualità dei libri offerti o l’eventuale possibilità di accesso da parte di pubblico non pagante), che tuttavia sfuggono a un semplice conto nume-rico (Wendy Nelson Espeland e Michael Sauder, The Dynamism of Indicators, 95, 102-103). Se lo scopo è quantificare l’eguaglianza di genere a scuola, si preferisce prendere a riferi-mento il rapporto fra bambini e bambine iscritti/e a scuola, rinunciando a valutare quali sia-no i risultati raggiunti dai due gruppi e se, dopo la registrazione, alle bambine sia di fatto consentita la frequenza, perché il primo dato è disponibile facilmente, mentre gli altri no (Sakiko Fukuda-Parr, Alicia Ely Yamin, Joshua Greenstein, The Power of Numbers, 108; AnnJanette Rosga e Margaret L. Satterthwaite, Measuring Human Rights. UN Indicators in

Critical Perspective, 305). Nel misurare la qualità della salute, l’Organizzazione Mondiale

della Sanità si è attestata – secondo un metodo poi rimbalzato negli indicatori dei ‘Millen-nium Development Goals’ prima, e dei ‘Sustainable Development Goals’ poi – sul calcolo dei tassi di copertura vaccinale (tipicamente: DTP e MCV, ossia i vaccini contro