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Parte I La cultura della quantificazione e gli indicatori

2. Le origini di un indicatore

Prendiamo le mosse dalla nascita di un indicatore. Abbiamo già osserva-to come la paternità degli indicaosserva-tori possa ascriversi a un ventaglio vario-pinto di soggetti5. Si deve aggiungere, ora, che non meno ampio (anche se poco approfondito in letteratura) è lo spettro di ragioni, sovente intrecciate fra loro, che possono condurre alla produzione di un nuovo indice.

In qualche ipotesi, si tratta di una costruzione obbligata, su ordine di qual-che soggetto superiore: è stato ad esempio così per gli indicatori del raggiun-gimento dei ‘Millennium Development Goals’ e ai ‘Sustainable Deve-lopment Goals’, definiti su istruzione di due risoluzioni dell’Assemblea

Ge-Law. Revista Colombiana de Derecho Internacional 543 (2014), sotto *); il progetto ‘Global

Benchmarking’, diretto da André Broome e Joel Quirk all’University of Warwick

(war-wick.ac.uk/fac/soc/pais/research/researchcentres/csgr/benchmarking/), sostenuto da fondi

del-la Commissione Europea e dell’Università di Warwick (André Broome e Joel Quirk,

Gover-ning the world at a distance, 819, sotto *); il progetto ‘Global Governance by Indicators’,

di-retto da Nehal Bhuta e Gaby Umbach presso lo European University Institute

(globalgover-nanceprogramme.eui.eu/global-governance-by-indicators/), finanziato dall’EUI stesso (Nehal

Bhuta, Debora V. Malito, Gaby Umbach, Preface, in Debora V. Malito, Gaby Umbach, Nehal Bhuta (eds.), The Palgrave Handbook of Indicators in Global Governance, v); il progetto ‘In-dex de la sécurité juridique’, diretto, fra gli altri, da Bruno Deffains, e finanziato dalla Fonda-tion pour le droit continental (fondaFonda-tion-droitcontinental.org/fr/nos_acFonda-tions/index-de-la-

(fondation-droitcontinental.org/fr/nos_actions/index-de-la-securite-juridique-isj/).

nerale delle Nazioni Unite6. Più spesso, l’inaugurazione di un indicatore si deve all’autonoma decisione dei suoi produttori, che possono vedere in esso una fonte di business (così tipicamente per le misurazioni degli investimen-ti da parte di imprese private, come l’indice ‘BERI’ e l’’Internainvestimen-tional Coun-try Risk Guide’7), un’occasione di (finanziamenti alla) ricerca (specie per le creature di fattura scolare, come il ‘Political Terror Scale’ o il ‘Ci-Ri Hu-man Rights Dataset’8), uno strumento per rafforzare la notorietà, l’impatto e la sfera di influenza dell’organizzazione di appartenenza (ciò accade d’abitudine per gli indici elaboratori da organizzazioni internazionali e ONG9) – oppure un misto di tutto ciò.

Non mancano neppure casi di indicatori nati in modo fortuito, come frutto di esperimenti reputati poco scientifici o affidabili da parte di chi li aveva realizzati, e tuttavia reiterati in virtù dell’inaspettata fama da loro

ra-6. V. retro, Cap. 1, par. 3. Un esempio ulteriore viene dal ‘Program for International Student Assessment’ (PISA) – un indicatore dell’OCSE, aggiornato ogni tre anni, circa il livello educativo dei quindicenni –, la cui creazione nel 1997 si deve all’attività di lobbying (e alla minaccia di ritirarsi dall’organizzazione) esercitata dal governo statunitense, deside-roso di impiegare i risultati del programma internazionale quale apristrada per l’approvazione di una riforma federale del sistema scolastico. Per i dettagli circa la contro-versa origine e ai successivi sviluppi del programma, v. Orazio Giancola e Assunta Viteritti,

Il ruolo delle grandi survey in campo educativo. L’indagine PISA e il governo dell’educazione tramite i numeri, in Rass. It. Soc., 2015, 555, 563-575; Armin von

Bog-dandy e Matthias Goldmann, Taming and Framing Indicators: A Legal Reconstruction of

the OECD’s Programme for International Student Assessment (PISA), in Kevin E. Davis,

Angelina Fisher, Benedict Kingsbury, Sally Engle Merry (eds.), Governance by Indicators, 52, 55-57 (articolo pubblicato anche, in una forma leggermente diversa, come Armin von Bogdandy e Matthias Goldmann, The Exercise of Public Authority through National Policy

Assessment: The OECD’s PISA Policy as a Paradigm for a New International Standard In-strument, 5 Int’l Org. L. Rev. 241-298 (2009)). Più in generale, sulla distinzione fra

indicato-ri ‘obbligati’ e volontaindicato-ri, Sabino Cassese e Lorenzo Casini, Public Regulation of Global

In-dicators, in Kevin E. Davis, Angelina Fisher, Benedict Kingsbury, Sally Engle Merry (eds.), Governance by Indicators, 465, 467-469; Marta Infantino, The Law of Indicators on Wom-en’s Human Rights: Unmet Promises and Global Challenges, IRPA Working Paper – GAL Series No. 9/2012, 19-22.

7. V. retro, Cap. 1, par. 3. 8. Retro, Cap. 1, par. 3.

9. Per qualche esempio, si v. retro, Cap. 1, par. 3, nonché le riflessioni di Alexander Cooley, The emerging politics of international rankings and ratings, 21-22 (“An NGO or IO might also use rankings and ratings to ‘flag-pant’ or to brand themselves as the pivotal or-ganizations advocating a particular cause or global concern. Generating a ranking, rating, or index about that issue can be an invaluable tool in staking the organization’s claim to govern that issue and advance the solutions to the problems in question [22]. Branding is especially necessary in what is now a crowded market for advocacy organizations […] [C]reating a unique index or ranking can establish the credibility of a particular NGO in an issue area and can be a critical vehicle for external fundraising”).

pidamente guadagnata10. Che si possa sperimentare quasi per gioco con gli indicatori è un dato che non deve stupire. Se da un lato è indubbio che l’ideazione, la creazione e il mantenimento di un indicatore richiedono una certa dose di risorse ed esperienza, è altrettanto certo, dall’altro lato, che non vi sono barriere formali all’entrata nel mercato degli indicatori e che persino gli ostacoli logistici e tecnologici sono oramai facilmente aggirabi-li11. Grazie alla proliferazione on-line di misurazioni varie gratuitamente accessibili, è relativamente semplice il lavoro di chiunque aspiri, con poca spesa, a formulare un proprio indice aggregato – anche se ciò può non ba-stare, come vedremo nel par. immediatamente successivo, a garantire l’affermarsi e il perdurare nel tempo dell’iniziativa12.

Alla luce di quanto appena visto, potrebbe apparire curioso che molti campi, in astratto non meno proni al controllo quantitativo di altri, siano tuttora vergini. Allo stato, non esiste – per non fare che qualche esempio – un indice globale della bontà degli interventi realizzati dalle Nazioni Unite o da simili entità internazionali, oppure del tasso di copertura garantito da-gli apparati nazionali di welfare, o della generosità e accessibilità dei rime-di offerti sistemi rime-di responsabilità civile, o, ancora, delle regole e prassi in materia di prevenzione e tutela ambientale13. Il problema degli indicatori mai, o non ancora nati, è estremamente interessante, poiché porta a interro-garsi sulle ragioni per cui è potuta proliferare la schiera di indicatori sulla democrazia, la sicurezza, il commercio, mentre è rimasta correlatamente inferiore la produzione di indici su temi diversi, come quelli riguardo l’azione delle organizzazioni internazionali e la protezione della persona e dell’ambiente14. Affrontare tali quesiti meriterebbe un’indagine accurata dei motivi che portano a compattare interessi, agende e consensi di indicator-makers e indicator-takers su taluni assi (a prima vista, quelli allineati sulla visione liberal-occidentale del mondo) piuttosto che su altri. Ma questa è una storia ancora da scriversi.

10. Questo è il caso, come si è già fatto cenno (retro, Cap. 1, par. 3), del ranking propo-sto dallo US News; non dissimili, come vedremo più avanti, sono le vicende all’origine dei ‘Freedom in the World’ Reports (FiW) e del ‘Corruption Perceptions Index’ (CPI): v. Cap. 4, rispettivamente parr. 2.1 e 3.1.

11. René F. Urueña, Indicators as Political Spaces. Law, International Organizations,

and the Quantitative Challenge in Global Governance, 12 Int’l Org. L. Rev. 1, 6-7, 15

(2015).

12. V., oltre che il par. successivo, il Cap. 5, par. 4, ntt. 97 e 99, e testo corrispondente. 13. Su queste linee, anche René F. Urueña, Indicators as Political Spaces, 15.

14. Fra i pochi che si interrogano al riguardo, Judith G. Kelley, Scorecard Diplomacy.

Grading States to Influence their Reputation and Behavior, CUP, 2017, 32-33; Caroline

Kuzemko, Climate Change Benchmarking: Constructing a sustainable future?, 41 Rev. Int’l