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Complicità e indifferenze accademiche

Parte I La cultura della quantificazione e gli indicatori

6. Complicità e indifferenze accademiche

Delle interrelazioni che sostengono il riprodursi degli indicatori, quelle con l’accademia occupano una parte assai rilevante. Si è però già avuto modo di sottolineare come tali dialoghi siano tuttora mancati o minimi ri-spetto a molteplici profili. È allora importante, prima di proseguire, chiarire brevemente il contributo del pensiero scolare alla materia.

Si tratta di un contributo che si articola lungo plurime linee e molteplici filoni. Possiamo, in grande approssimazione, distinguere tre canali di inte-razione (di cui il più interessante ai nostri fini, oltre che quello in cui questo stesso volume si inscrive, è l’ultimo): vi è la letteratura d’ispirazione per gli indicatori, la letteratura che trae ispirazione dagli indicatori, e, infine, la let-teratura critica. Va da sé che la tripartizione non va intesa in maniera netta, poiché sono possibili e frequenti gli incroci fra un livello e l’altro.

Occorre precisare altresì che quanto rileva qui è la produzione accade-mica. È perciò fuori dal raggio della nostra attenzione la consistente schiera di materiali collaterali – relazioni, questionari, documenti preparatori,

tabel-58. Si v. gli Autt. citati retro, in questo Cap., par. 4, nt. 26. 59. V. retro, gli Autt. citati alla nt. 26.

le, dati bruti – con cui chi produce l’indicatore spesso accompagna l’uscita di quest’ultimo, onde offrire ai pochi lettori interessati all’approfondimento le basi per comprendere i risultati finali60. Sono escluse anche le guide e i manuali redatti da organizzazioni autoritative al fine di illuminare il proces-so di indicatorizzazione61. Sebbene simili lavori abbiano sovente una digni-tà e uno spessore intellettuale che nulla ha da invidiare a un’opera accade-mica, essi restano documenti a contenuto programmatico od operativo che non entrano nell’orizzonte della nostra breve disamina.

Procediamo con ordine.

Del primo gruppo, è presto detto. Abbiamo già visto che sovente gli in-dicatori si appoggiano a una teoria di riferimento, la quale assai spesso esce dalle fucine scolari62. Fra le tante illustrazioni possibili, vale la pena di ri-cordarne alcune concernenti gli indici che ci occuperanno nel prosieguo. Si pensi, ad esempio, a: il contributo dell’accademico Raymond D. Gastil alla costruzione dei ‘Freedom in the World’ Reports63; la pubblicazione su rivi-ste economiche di punta dei primi articoli (sorivi-stenuti da misure quantitative) circa i rapporti fra protezione della proprietà privata, solidità delle istituzio-ni e crescita economica, nonché circa la relazione inversa fra corruzione e sviluppo di un paese64, che ispireranno direttamente i ‘Worldwide

Gover-60. È sufficiente navigare nei siti degli indicatori analizzati infra, Cap. 4, per rendersi conto dell’ampiezza di tale produzione, che sovente attira assai meno attenzione che l’indicatore in sé considerato: per tutti, Armin von Bogdandy e Matthias Goldmann, Taming

and Framing Indicators, 74-75.

61. Cfr. Food and Agriculture Organization, Realizing Women’s Rights to Land in the

Law, FAO, 2018, a fao.org/3/I8785EN/i8785en.pdf; United Nations Development

Pro-gramme, User’s Guide to Measuring Corruption and Anti-Corruption, UNDP, 2015, a

undp.org/content/undp/en/home/librarypage/democratic-governance/anti-corruption/user-s-guide---measuring-corruption-and-anticorruption.html; Office of the High Commissioner

for Human Rights (OHCHR), Human Rights Indicators – A Guide to Measurement and

Im-plementation, UN, 2012, a ohchr.org/Documents/Publications/Human_rights_indica-tors_en.pdf; United Nations Department of Peacekeeping Operations (DPKO), Office of the

United Nations High Commissioner for Human Rights (OHCHR), The United Nations Rule

of Law Indicators Implementation Guide and Project Tools, United Nations, 2011, a un.org/en/peacekeeping/publications/un_rule_of_law_indicators.pdf; OECD-JRC, Hand-book on Composite Indicators. Methodology and User Guide, OECD, 2008, a oecd.org/sdd/42495745.pdf.

62. Sandro Busso, “What works”, 495; Kevin E. Davis, Legal Indicators, 40 (“concep-tualization of global legal indicators often involves academics based in prestigious Ameri-can universities with training in either law, economics, or political science”).

63. V. retro, Cap. 1, par. 3, nonché infra, Cap. 4, par. 2.1.

64. Si v. rispettivamente Stephen Knack e Philip Keefer, Institutions and Economic

Per-formance: Cross-Country Tests Using Alternative Institutional Measures, 7 Econ. & Pol.

207-227 (1995) e Paolo Mauro, Corruption and Growth, 110 Q. J. Econ. 681-712 (1995) – entrambi poggianti sui dati tratti dall’indice ‘BERI’ e dall’’International Country Risk Gui-de’. Per i legami fra queste pubblicazioni e l’elaborazione di WGI e CPI, Katharina Pistor,

nance Indicators’ e il ‘Corruption Perceptions Index’65; l’uscita copiosa del-le ricerche del gruppo di economisti dello sviluppo di scuola neo-istituzionale detto LLSV (dalle iniziali dei suoi membri principali)66, i cui lavori, sempre conditi di dati numerici, sui legami fra mercato e regole fa-ranno da volano intellettuale all’elaborazione dei ‘Doing Business’ Reports (e quindi delle gemmazioni ulteriori di questo, i ‘Women, Business, and the Law’ e il defunto ‘Investing Across Borders’)67. Gli indicatori così prodotti divengono strumenti di applicazione, e al tempo stesso conferma, delle teo-rie proposte (quasi sempre economiche o politiche), alimentando la forza persuasiva di quelle, e, al contempo, la propria.

Diverso l’approccio, ma non dissimili gli effetti, della seconda tipologia di letteratura ricordata. Si contano qui le numerosissime pubblicazioni, per lo più a carattere altamente tecnico, volte a dissezionare i contenuti di un indicatore, discutendo la scelta degli elementi selezionati, le variabili rile-vanti, le questioni di metodo, i possibili errori di misurazione, le modalità per migliorare l’affidabilità e la comparabilità fra le varie voci, le tecniche di regressione, e così via68. Ma si contano qui anche gli studi che, pur non

Re-Construction of Private Indicators for Public Purposes, 170, nonché infra, Cap. 4, parr.

2, 2.2, e 3.1.

65. Retro, Cap. 1, par. 3, nonché infra, Cap. 4, parr. 2, 2.2, e 3.1.

66. L’acronimo prende il nome dalla somma delle iniziali del cognome dei più impor-tanti esponenti del circolo di economisti dello sviluppo variamente affiliati alla BM che componeva il gruppo: Rafael La Porta, Florencio C. Lopez de Silanes, Andrei Shleifer, Ro-bert W. Vishny. Nella cospicua letteratura associabile al gruppo LLSV, v., fra i tantissimi, Rafael La Porta, Florencio C. Lopez de Silanes, Andrei Shleifer, Robert W. Vishny, Legal

Determinants of External Finance, 52 J. Fin. 1131-1150 (1997); Rafael La Porta, Florencio

C. Lopez de Silanes, Andrei Shleifer, Robert W. Vishny, Law and Finance, 106 J. Pol.

Econ. 1113-1155 (1998); Edward L. Glaeser e Andrei Schleifer, Legal Origins, 107 Q. J. Econ. 1193-1229 (2002); Juan-Carlos Botero, Simeon Djankov, Rafael La Porta, Florencio

C. Lopez de Silanes, The Regulation of Labor, 119 Q. J. Econ. 1339-1382 (2004); Simeon Djankov, Rafael La Porta, Florencio C. Lopez de Silanes, Andrei Shleifer, The Regulation of

Entry, 117 Q. J. Econ. 1-37 (2002); Simeon Djankov, Rafael La Porta, Florencio C. Lopez

de Silanes, Andrei Shleifer, Courts, 118 Q. J. Econ. 453-517 (2003). 67. Retro, Cap. 1, par. 3, oltre che infra, Cap. 4, par. 5.1.

68. La letteratura è amplissima. Fra le innumerevoli illustrazioni, cfr. Salvatore Greco, Alessio Ishizaka, Menelaos Tasiou, Gianpiero Torrisi, On the Methodological Framework of

Composite Indices: A Review of the Issues of Weighting, Aggregation, and Robustness, 141 Soc. Ind. Res. 61-94 (2019) (in generale sugli indici compositi); Robert A. Cummins, Mea-suring and Interpreting Subjective Wellbeing in Different Cultural Contexts. A Review and Way Forward, CUP, 2018 (sugli indici del benessere); Jan Teorell, Measuring institutions: what we do not know, in Claude Ménard e Mary M. Shirley (eds.), A Research Agenda for New Institutional Economics, EE, 2018, 241-247 (su come misurare le istituzioni); Sakiko

Fukuda-Parr e Alicia Ely Yamin (eds.), The MDGs, Capabilities and Human Rights (sugli MDG) e Laura Langbein e Stephen Knack, The Worldwide Governance Indicators: Six,

centrati sugli indicatori, traggono da questi i dati utili a esplorare, non ne-cessariamente in forma quantitativa, un certo tema o verificare una certa tesi (tipicamente, la correlazione fra un fenomeno e un altro)69. I loro autori sono i c.d. ‘consumatori passivi’ di indicatori70, ossia scolari che si appog-giano alle informazioni numeriche offerte dagli indici senza tuttavia inter-rogarsi sulla loro affidabilità. In entrambi i casi, siamo di fronte a una lette-ratura (ancora una volta composta principalmente da economisti e scienziati politici, e soprattutto) impegnata a lavorare sugli indicatori, ma non a stu-diarli, né tanto meno a criticarli.

Altri sono i toni propri alla produzione critica sugli indicatori, ossia i la-vori di quanti si sono soffermati sull’argomento in generale o su sue mani-festazioni specifiche, assumendo una prospettiva, per così dire, ‘esterna’

69. Anche qui, la lista sarebbe enorme. Basti citare, oltre che gli articoli menzionati alle ntt. 64 e 66, i lavori di Alberto Chong e César Calderón, Institutional Quality and Income

Distribution, 48 Econ. Dev. & Cultural Change 761-781 (2000) (i quali rielaborano dati

trat-ti dall’’Internatrat-tional Country Risk Guide’ e dall’indice ‘BERI’, nonché quelli offertrat-ti da Knack e Keefer – sui quali supra, nt. 64 –, per dimostrare che la maggiore solidità delle isti-tuzioni si associa a una maggiore distribuzione del reddito nei paesi in via sviluppo, mentre si correla a una maggiore disuguaglianza di reddito nei paesi sviluppati); Sandra Fullerton Joireman, Inherited Legal Systems and Effective Rule of Law: Africa and the Colonial

Lega-cy, 39 J. Mod. African Stud. 571-596 (2001) (la quale, sulla base dei risultati dei ‘Freedom

in the World’ Reports e dell’ICRG, sostiene che i paesi africani di common law africani ab-biano livelli di ‘rule of law’ più elevati dei paesi africani di civil law); Daron Acemoglu, Simon Johnson, James A. Robinson, The Colonial Origins of Comparative Development: An

Empirical Investigation, 91 Am. Econ. Rev. 1369-1401 (2001) (i quali, sulla scorta delle

in-formazioni raccolte da Knack e Keefer – supra, nt. 64 –, nonché di alcuni indicatori della Banca Mondiale e del Polity III, concludono che i paesi con ridotte prospettive di sviluppo sono quelli nei quali le potenze coloniali avevano evitato di insediarsi stabilmente a causa degli alti tassi di mortalità, rinunciando così a trapiantare istituzioni stabili); Paul Collier,

The Bottom Billion: Why the Poorest Countries are Failing and What Can Be Done About It, OUP, 2007, ad esempio a 67, 146-147 (che costruisce le proprie ricette per rafforzare le

istituzioni nei paesi africani più poveri anche attraverso l’uso di dati tratti da Polity IV e dai CPIA); Daniel M. Klerman, Paul G. Mahoney, Holger Spamann, Mark I. Weinstein, Legal

Origin or Colonial History?, 3 J. Leg. Analysis 379-409 (2011) (i quali, poggiando sui

nu-meri offerti da Acemoglu & co. – citati più sopra, in questa nt. –, oltre che dai ‘Worldwide Governance Indicators’ e da “authors’ own reading of the National Reports in the Interna-tional Encyclopedia of Comparative Law” (Id., 409), si occupano di dimostrare come l’identità e le modalità di intervento della potenza coloniale in un dato luogo – piuttosto che la famiglia giuridica di appartenenza, come proposto dai LLSV, o i tassi di mortalità dei co-loni, come suggerito da Acemoglu & Co. – sono i migliori predittori dello sviluppo degli stati un tempo coloniali, col risultato che a essere particolarmente penalizzate sarebbero sta-te le colonie francesi, ma non quelle spagnole, olandesi e inglesi); David S. Law e Mila Ver-steeg, The Declining Influence of the United States Constitution, 87 N.Y.U. L. Rev. 762-858 (2012) (i quali, sulla base dei dati Polity III, quantificano i tassi di deviazione, progressiva-mente sempre maggiori, fra i testi costituzionali approvati nel mondo e quello statunitense).

rispetto al fenomeno. I contributi degli economisti si contano qui sulle dita di una mano71, mentre assai più ricco è il ventaglio di riflessioni prodotte da scienziati politici (in specie da esperti di politiche di integrazione e di go-vernance globale)72 e da studiosi delle relazioni internazionali, interessati soprattutto a valutare come gli indicatori abbiano inciso sul ruolo e sulle funzioni di stati73 e organizzazioni internazionali74. La cultura della quanti-ficazione e del controllo promossa dagli indicatori ha attirato pure l’attenzione di antropologi75 e sociologi – in specie sociologi della cono-scenza, focalizzati primariamente sulle forme e i modi in cui gli indicatori incidono sulla produzione di saperi e competenze76, e sociologi delle orga-nizzazioni internazionali, impegnati ad approfondire il modo in cui gli indi-catori incidono sulla struttura, i poteri e i modi di intervento delle organiz-zazioni internazionali e sulle relazioni reciproche degli attori rilevanti a li-vello globale77.

Sul fronte dei giuristi, sono numerosi gli interventi critici e ricostruttivi realizzati dagli internazionalpubblicisti, in primis quelli specializzati sulle

71. E paucis, Lorenzo Fioramonti, How Numbers Rule the World; Morten Jerven, Poor

Numbers; Ha-Joon Chang, Institutions and economic development, 473-498.

72. Cfr. Debora V. Malito, Gaby Umbach, Nehal Bhuta (eds.), The Palgrave Handbook

of Indicators in Global Governance (ma v. anche il sito GlobalStat, fondato da Gaby

Um-bach: globalstat.eu); André Broome, Alexandra Homolar, Matthias Kranke, Bad science, 514-539; Hendrik Huelss, After decision-making, 381-409; André Broome e Joel Quirk, The

Politics of Numbers: The Normative Agenda of Global Benchmarking, 41 Rev. Int’l Stud.

813-818 (2015); Sarah Sunn Bush, The Politics of Rating Freedom, 711-731.

73. Cfr. Judith G. Kelley e Beth A. Simmons, The Power of Global Performance

Indica-tors, CUP, 2020; Judith G. Kelley, Scorecard Diplomacy; Alexander Cooley e Jack Snyder

(eds.), Ranking the World; Judith G. Kelley e Beth A. Simmons, Politics by Number, 55-70; Hans Krause Hansen e Arthur Mühlen-Schulte, The power of numbers in global governance, 15 J. Int’l Rel. & Dev. 455-465 (2012); Tore Fougner, Neoliberal Governance of States, 303-326.

74. Jacqueline Best, The rise of measurement-driven governance, 163-181; Katja Freistein, Effects of Indicator Use, 366-381; Liam Clegg, Our Dream is a World Full of

Poverty Indicators, 473-492. V. anche lo special issue ‘Power of Numbers’, in 15(4) J. Int’l Rel. & Dev. 455-557 (2012).

75. Il riferimento va, oltre che ai molti lavori pubblicati sull’argomento da Sally Engle Merry (fra gli ultimi, v. Sally Engle Merry, The Seductions of Quantification), agli studi di Chris Shore e Susan Wright: Chris Shore e Susan Wright, Audit Culture and the New World

Order; Chris Shore e Susan Wright, Governing by numbers, 22-28.

76. L’articolo seminale è qui quello di Wendy Nelson Espeland e Michael Sauder,

Rank-ings and Reactivity, 1-40; ma v. anche Ruth Buchanan, Kimberley Byers, Kristina

Mansveld, “What gets measured gets done”, 101-121; Tony Porter, Making serious

measures: numerical indices, peer review, and transnational actor-networks, 15 J. Int’l Rel. & Dev. 532-557 (2012).

connessioni fra diritto e sviluppo78, ai quali difficilmente poteva sfuggire la schiera di soggetti e processi i cui interventi in materia si realizzano tramite indicatori. Meno numerosi, ma non meno puntuti, sono stati finora gli sfor-zi dei cultori del diritto amministrativo e del pluralismo giuridico (entrambi ‘globali’) nel confezionare agli indicatori una veste atta a controllarli (gli uni) e a spiegarli (gli altri)79. Si aggiunge alla lista più di qualche commen-tatore specializzato in diritto interno, per lo più sorpreso o adirato dai risul-tati del suo paese entro i ‘Doing Business’ Reports80. Vi sono, infine, i comparatisti: non moltissimi sul fronte pubblicistico81, e in quantità discreta sul versante privatistico82. Da ambo i lati – sia pure con qualche rilevante 78. Si v., oltre che infra, Cap. 6, par. 2, Nehal Bhuta, Measuring stateness, ranking

polit-ical orders, 85-111; René F. Urueña, Indicators as Politpolit-ical Spaces, 1-18; Kevin E. Davis, Legal Indicators, 37-52; Michael Riegner, Measuring the Good Governance State, 1-32;

María Angélica Prada Uribe, Development through data?, 1-23; Katharina Pistor,

Re-Construction of Private Indicators for Public Purposes, 165-179; Michael Trebilcock

Mi-chael e Mariana Mota Prado, What Makes Poor Countries Poor? Institutional Determinants

of Development, EE, 2011.

79. Su entrambi i fronti v. amplius infra, Cap. 6, parr. 3 e 4, nonché, fin d’ora, e per i primi, v. Kevin E. Davis, Benedict Kingsbury, Sally Engle Merry, Introduction. The

Local-Global Life of Indicators, 3-28; Kevin E. Davis e Benedict Kingsbury, Indicadores como intervenciones, 473-542; Sabino Cassese e Lorenzo Casini, Public Regulation of Global In-dicators, 465-474; Sabino Cassese e Lorenzo Casini, La disciplina degli indicatori globali,

in Annuario dir. comp., 2012, 97-116; Nikhil K. Dutta, Accountability in the Generation of

Governance Indicators, 403-465. Quanto ai secondi, Arnaud Van Waeyenberge, Préface, 59 Cahiers de Droit 3-5 (2018); François Ost, De l’internormativité à la concurrence des nor-mativités : quels sont le rôle et la place du droit ?, 59 Cahiers de Droit 7-33 (2018); David

Nelken, The Legitimacy of Global Social Indicators, 35-84; Benoît Frydman e William Twining, Preface. A symposium on global law, legal pluralism and legal indicators, 57 J.

Leg. Pluralism & Unoff. L. 1-5 (2015); David Restrepo Amariles, Legal indicators, 9-21;

Benoît Frydam e Arnaud Van Waeyenberge (dirs.), Gouverner par les standards et

indica-teurs; William Twining, Globalisation and Legal Theory, 153-167.

80. Per tutti, in Italia, Remo Caponi, “Doing Business” as a Purpose of Civil Justice?, 79-88; in Francia, Guy Canivet, Le débat common law versus civil law sur la performance

éco-nomique du droit est-il pertinent ?, 31-51; Association Henri Capitant des amis de la culture

juridique francaise, Les droits de tradition civiliste en question. A propos des rapports Doing

Business, 2 volumi, Société de législation comparée, 2006; Bertrand du Marais (dir.), Des indi-cateurs pour mesurer le droit ? Les limites méthodologiques des rapports Doing Business, La

Documentation Française, 2006 (e soprattutto il contributo di Bertrand du Marais, Les limites

méthodologiques des rapports Doing Business, 17-67); in Germania, Christoph Kern, Justice Between Simplification and Formalism: A Discussion and Critique of the World Bank Spon-sored Lex Mundi Project on Efficiency of Civil Procedure, Mohr Siebeck, 2007.

81. E paucis, Mila Versteeg e Tom Ginsburg, Measuring the Rule of Law: A

Compari-son of Indicators, 42 L. & Soc. Inq. 100-137 (2017); Stefan Voigt, How to Measure the Rule of Law, 65 KYKLOS 262-284 (2012).

82. Cfr. le seguenti raccolte di fascicoli speciali: ‘Symposium on Legal Origins’ (57(4)

Am. J. Comp. L. 765-876 (2009)); ‘Economics and Comparative Law’ (59(2) U. Toronto L. J. 179-235 (2009)); senza titolo – ma su ‘Law and Finance’ (B.Y.U. L. Rev. 1413-1906

eccezione83 –, i comparatisti non hanno guardato al fenomeno in generale, centrando piuttosto i loro sforzi su ciò che pareva loro più prossimo alle ri-spettive competenze: gli indicatori della ‘rule of law’ da una parte e i ‘Doing Business’ Reports (rectius: la teoria delle origini giuridiche su cui questi Reports poggiano) dall’altra parte. Si tratta, lo abbiamo già intravisto in questo Capitolo, di un’occasione mancata, perché il comparatista ha pro-babilmente molto da dare e da trarre dallo studio combinato delle traiettorie degli indicatori, dall’analisi dei trapianti fra un ecosistema e l’altro, e attra-verso i sistemi nazionali, dallo scrutinio di ciò che sorregge un’iniziativa di successo e la sua circolazione84.

Ampio è lo spazio per l’interesse e l’apporto del comparatista con ri-guardo agli esercizi di comparazione quantitativa realizzati tramite gli indi-catori. Ma ancor più evidente è l’urgenza del contributo dei comparatisti, e ancor più grave la sua omissione, con riferimento a quegli indicatori che hanno un oggetto, un obiettivo e degli effetti dichiaratamente giuridici. L’esistenza di questi ultimi, in effetti, è stata notata da pochi giuristi. Il prossimo capitolo chiarirà di cosa stiamo parlando, e poi a ciò dedicheremo tutta la nostra attenzione.

(2009(6)); ‘Jurimetrics’ (166(1) J. Inst. & Theo. Econ. (2010); ‘Misurare il diritto’

(Annua-rio dir. comp., 2012, 7-353). V. anche, oltre che la letteratura citata infra, Cap. 6, par. 5,

Nu-no Garoupa, Carlos Gómez Ligüerre, Lela Mélon, Legal Origins and the Efficiency

Dilem-ma, Routledge, 2017; Luisa Antoniolli, The Magic of Numbers. Elucubrazioni sparse in te-ma di misurazione del diritto, in Albina Candian, Ugo Mattei, Barbara Pozzo (curr.), Un giurista di successo. Studi in onore di Antonio Gambaro, Giuffrè, 2017, I, 37-50;

Guang-dong Xu, Does Law Matter for Economic Growth? A Re-examination of the ‘Legal Origin’

Hypothesis, Intersentia, 2014; Simon Deakin e Katharina Pistor (eds.), Legal Origin Theory,

EE, 2012.

83. Ad esempio Mathias M. Siems, Comparative Law, CUP, 2018, 2a edn., 180-228; Ran Hirschl, Comparative Matters. The Renaissance of Comparative Constitutional Law, OUP, 2014, 16, 192-93, 288; Anne Meuwese e Mila Versteeg, Quantitative methods for

comparative constitutional law, in Maurice Adams e Jacco Bomhoff (eds.), Practice and Theory in Comparative Law, CUP, 2012, 230-257, specialmente 237-240.

84. Sulle possibili ragioni che sorreggono questa scelta, v. infra, Cap. 6, par. 5. Non val-gono certo per il comparatista le ragioni da qualche commentatore addotte per spiegare la diffusa indifferenza con cui i giuristi domestici si adattano agli indicatori, senza percepirli quali oggetto di studio, ossia la ridotta abitudine a guardare oltre ai confini nazionali e l’imbarazzo nell’estendere la ricerca giuridica a strumenti che, pur condizionando il compor-tamento di individui e istituzioni, non rientrano formalmente fra le fonti del diritto: David Restrepo Amariles, Legal indicators, 12.