Parte I La cultura della quantificazione e gli indicatori
3. Il corso della febbre quantitativa
Delle evoluzioni appena tratteggiate la storia breve ma intensa degli in-dicatori si fa specchio fedele.
Tracciare una genealogia completa dei processi di indicatorizzazione non sarebbe né semplice, né soprattutto utile ai nostri fini. Ci proponiamo perciò – non di ricostruire la cronologia integrale delle molteplici
genera-31. Lo nota Michael Riegner, Towards an International Institutional Law of
Infor-mation, 56.
32. Circa l’importanza cardinale che lo sviluppo tecnologico ha avuto nel direzionare e raffinare le tecniche di misurazione, cfr. David Nelken, The Legitimacy of Global Social
Indicators: Reconfiguring Authority, Accountability and Accuracy, 59 Cahiers de Droit 35,
45-48 (2018); Holger Spamann, Empirical Comparative Law, 11 Ann. Rev. L. & Soc. Sci. 131, 144 (2015); Alexander Cooley, The emerging politics of international rankings and
ratings, 10; Jack Snyder e Alexander Cooley, Rating the ratings craze: From consumer choice to public policy outcomes, ibid., 178; André Broome e Joel Quirk, Governing the world at a distance, 823; Kevin E. Davis, Benedict Kingsbury, Sally Engle Merry, Introduc-tion: Global Governance by Indicators, 3, 17; Marilyn Strathern, From Improvement to En-hancement, 16.
zioni e famiglie di indicatori, ma piuttosto – di offrire una panoramica dall’alto della successione temporale e della stratificazione progressiva del-le iniziative e dei percorsi a spettro globadel-le più significativi. Il quadro che ne scaturisce, lo si vedrà, è quello di una proliferazione massiva e, all’ora attuale, di una comunità assai numerosa ed eterogenea.
Il momento di inizio delle vicende che ci interessano è usualmente col-locato nella seconda metà avanzata del secolo scorso, negli Stati Uniti. Ab-biamo appena ricordato come i rating del credito (dapprima individuale e quindi anche sovrano) e le proposte in materia di misurazione della ric-chezza economica si erano solidificate in prassi condivise sul suolo ameri-cano già a cavallo fra Ottocento e Novecento, e poi definitivamente nei primi anni del secolo scorso33. Tuttavia, è negli anni ‘70 che, sempre in ter-ritorio statunitense, compaiono i primi esperimenti di indicatori con riguar-do ai fenomeni sociali34.
È il 1972 quando la società ‘Business Environment Risk Intelligence’35, con sede a Washington, D.C., comincia a pubblicare un set (privato, e disponibile solo a pagamento) di studi e ranking sui tassi di rischio as-sociati ai paesi stranieri di investimento, il BERI36. La seguirà a ruota, con altrettanto successo, il newyorkese PRS Group, che fa uscire nel
33. V. retro, il par. precedente.
34. Per tutti, Judith G. Kelley e Beth A. Simmons, Politics by Number, 55. Vero è che, qualche anno prima, il progetto dell’Università di Stanford ‘Studies in Law and De-velopment – SLADE’, guidato dal comparatista John Henry Merryman, si era prefisso di misurare quantitativamente lo sviluppo giuridico e i fattori che lo determinavano, ed aveva a tal fine raccolto un impressionante ammontare di dati empirici, principalmente tratti dalle statistiche nazionali ufficiali, su sei paesi (e su alcune loro regioni) dell’America Latina e dell’Europa mediterranea (inclusa l’Italia, per la quale furono relatori Sabino Cassese e, al-meno ufficialmente, Stefano Rodotà): John Henry Merryman, Law and Development
Me-moirs II: SLADE, 48 Am. J. Comp. L. 713-727 (2000), nonché retro, in questo Cap., par. 2,
nt. 24. Una minima parte di quei dati rifluì in un libro (John Henry Merryman, David S. Clark, Lawrence M. Friedman, Law and Social Change in Mediterranean Europe and Latin
America: A Handbook of Legal and Social Indicators for Comparative Study, Oceana,
1979), ma la maggioranza rimase, semplicemente, inutilizzata, a causa di quelle che allora apparvero ai membri del progetto come le insormontabili difficoltà della comparazione quantitativa: si v. John Henry Merryman, Comparative Law and Social Change, 457-491; ma anche David M. Trubek, Law and Development, 301-329; Jedidiah Kroncke, Law and
Development, 493-494; Luca Pes, Teorie dello sviluppo giuridico, 79-111; John Henry
Mer-ryman, Law and Development Memoirs II, 725 (“we acquired a great deal of information, but we did not do very much with it”). L’esperimento segna anche l’abbandono definitivo del campo del ‘diritto e sviluppo’ da parte di comparatisti e sociologi, il cui ruolo sarà più tardi riassunto da economisti e internazionalpubblicisti. V. sempre retro, in questo Cap., par. 2, nt. 24.
35. Si v. il sito beri.com/About-BERI.aspx. Il suo fondatore è il professore di econome-tria Frederick T. Haner.
1980, quale inserto del Financial Times, un indicatore con finalità analoga, l’’International Country Risk Guide’ (ICRG)37.
Nel 1973, Freedom House, un’organizzazione non-governativa di New York, presenta il primo ‘Freedom in the World’ Report (FiW), promettendo una sintesi dello stato delle libertà e dei diritti civili e politici nel mondo38. Due anni dopo, nel 1975, lo scienziato politico Ted Gurr si dedica alla rac-colta dei dati statistici sulla persistenza e sui cambiamenti dei regimi politi-ci che daranno origine alle collezioni Polity I, II, III, IV e V, pubblicate dapprima dall’Università del Maryland e poi dalla non-profit corporation ‘Center for Systemic Peace’, in Virginia39 (quest’ultimo ente oggi ospita anche lo ‘State Fragility and Warfare’ Index, concepito nel 2007 da un altro scienziato politico, Monty G. Marshall, al tempo in servizio presso la George Mason University40).
A partire dal 1977, un lavorìo non dissimile si svolge entro gli uffici di uno degli istituti della BM, l’International Development Association, impe-gnata a preparare relazioni e classifiche annuali circa la situazione dei paesi potenzialmente o effettivamente beneficiari di aiuti finanziari da parte dell’istituzione stessa, al fine di determinare le proprie politiche di prestito. Tali dati, originariamente chiamati ‘Country Performance Ratings’, an-dranno a comporre, dal 1998, un indicatore più ampio denominato ‘Country Policy and Institutional Assessment’ (CPIA)41. Nel frattempo, nel 1978, la stessa BM licenza il primo di un’ininterrotta serie di relazioni annuali sullo 37. Si v. il sito prsgroup.com/about-us/the-prs-story/. I fondatori dell’ICRG sono due pro-fessori della Syracuse University, Bill Coplin e Michael O’Leary, i quali avevano entrambi lavorato in precedenza con la CIA e il Dipartimento di Stato americano (v.
prsgroup.com/about-us/the-prs-story/). Per una sintesi delle principali caratteristiche
dell’ICRG, v. Christiane Arndt e Charles Oman, Uses and Abuses of Governance Indicators, 21-23.
38. V. il sito freedomhouse.org/content/our-history. Contribuì all’ideazione dei FiW un ac-cademico, Raymond Gastil, esperto di sociologia e scienze politiche; sul punto, oltre che infra, Cap. 4, par. 2.1, v. fin d’ora Christopher G. Bradley, International Organizations and the
Pro-duction of Indicators. The Case of Freedom House, in Sally Engle Merry, Kevin E. Davis,
Benedict Kingsbury (eds.), The Quiet Power of Indicators. Measuring Governance,
Corrup-tion, and Rule of Law, CUP, 2015, 27, 35.
39. Maggiori informazioni al sito systemicpeace.org/polityproject.html. 40. V. systemicpeace.org/warlist/warlist.htm.
41. Si v. il sito
datacatalog.worldbank.org/dataset/country-policy-and-institutional-assessment. Le risultanze dei CPIA saranno rese accessibili al pubblico solo a partire dal 2006.
Vi è un’ampia letteratura critica riguardo ai CPIA: cfr. Ole Jacob Sending and Jon Harald Sande Lie, The limits of global authority, 993-1010; María Angélica Prada Uribe, The Quest
for Measuring Development. The Role of the Indicator Bank, in Sally Engle Merry, Kevin E.
Davis, Benedict Kingsbury (eds.), The Quiet Power of Indicators, 133, 143-155; Ead.,
Devel-opment through data?, 1-23; Michael Riegner, Measuring the Good Governance State;
sviluppo: sono gli ‘World Development Reports’42, la cui appendice stati-stica – gli ‘World Development Indicators’ – diventerà, a partire dal 1997, una pubblicazione a sé stante43.
Sulla base dei dati forniti da Freedom House, lo scienziato politico Mi-chael Stohl attiva nei primi anni ‘80, presso la Purdue University, una lista dei paesi più violenti nella repressione dei diritti umani, con il fine primario di evitare che gli aiuti allo sviluppo americani fossero erogati a sistemi im-meritevoli: è il ‘Political Terror Scale’ (PTS)44, oggi proseguito da un grup-po di ricercatori della North Carolina University45. Nel 1983 l’attivista in-glese Charles Humana dà alle stampe la prima edizione della ‘World Hu-man Rights Guide’, un’indagine di comparazione quantitativa sullo stato dei diritti umani nel mondo46. Nel 1987, il settimanale americano ‘US News & World Report’, onde evitare la chiusura, decide di tentare la reda-zione di un ranking delle migliori facoltà universitarie e scuole professiona-li statunitensi47. L’inaspettato plauso riscosso dall’iniziativa non solo evite-rà alla rivista il fallimento e incideevite-rà grandemente sull’assetto dell’offerta educativa americana48, ma stimolerà anche la creazione di molti indici con-correnti, fra cui l’inglese ‘Times Higher Education in the World University Ranking’49 e l’americano ‘QS World University Ranking’50, entrambi fon-dati nel 2004, nonché il cinese ‘Shanghai’s Academic Ranking of World Universities’51, istituito nel 2009.
42. L’intera serie dei Reports è disponibile al sito openknowledge.worldbank.org/handle/10986/2124. 43. Si v. il sito datacatalog.worldbank.org/dataset/world-development-indicators. 44. V il sito politicalterrorscale.org/About/.
45. Si v. il sito politicalterrorscale.org/About/Researchers/.
46. Charles Humana, World Human Rights Guide, Hutchinson, 1983. La guida giungerà nel 1992 alla terza edizione e poi si chiuderà, a seguito della morte di Humana.
47. Si v. il sito usnews.com/rankings.
48. Wendy Nelson Espeland e Michael Sauder, Rankings and Reactivity; e poi anche Wendy Nelson Espeland e Michael Sauder, The Dynamism of Indicators, 86-109; Wendy Es-peland, Narrating Numbers, in Richard Rottenburg, Sally Engle Merry, Sung-Joon Park e Jo-hanna Mugler (eds.), The World of Indicators, 56-75. Il ranking, inizialmente concepito per salvare le sorti economiche del giornale, è finito per diventare il prodotto di punta dello US News: “rankings, it seems, would no longer ‘save the franchise’. Instead, they have become the franchise” (Wendy Nelson Espeland e Michael Sauder, The Dynamism of Indicators, 90).
49. Il ranking è pubblicato dalla rivista londinese Times Higher Education, origina-riamente una divisione del Times; v. il sito
timeshighereducation.com/world-university-rankings.
50. Il QS World University Ranking è preparato dalla società americana Quacquarelli Symonds Limited: v. topuniversities.com/university-rankings.
51. Lo Shanghai’s Academic Ranking of World Universities, inizialmente pubblicato dalla Shanghai Jiao Tong University, è oggi prodotto da una società indipendente cinese di consulenza: v. sito shanghairanking.com/#. Sulla storia di questo indicatore, voluto dal Mi-nistero dell’Educazione cinese, v. Benoît Frydman, Prendre les standards et les indicateurs
Con la fine della guerra fredda, la produzione globale di indicatori, spe-cie da parte delle organizzazioni internazionali, si intensifica ulteriormen-te52. Nel 1990, lo United Nations Development Programme rende pubblico il primo ‘Human Rights Development Report’, che contiene lo ‘Human Development Index’ (HDI)53, concepito secondo l’approccio delle ‘capabi-lities’ sostenuto da Amartya Sen54. Nel 1994 i due scienziati politici David L. Cingranelli e David L. Richards (il primo della State University of New York – Binghamton e il secondo della University of Memphis) raccolgono e traducono in numeri e punteggi le informazioni riguardo lo stato dei diritti civili e politici offerte dagli annuali ‘U.S. State Department Country Re-ports on Human Rights Practices’ e di ‘Amnesty International’: ne risulta il ‘Ci-Ri Human Rights Dataset’ (che si interromperà solo nel 2014)55. Nel 1995, il think tank americano ‘The Heritage Foundation’, in collaborazione con il Wall Street Journal, inizia a distribuire (a pagamento) le sue misura-zioni circa i tassi di ‘libertà economica’ nei vari paesi del mondo: è l’’Index of Economic Freedom’56. Nello stesso anno, un’organizzazione non-governativa di Berlino, Transparency International, sperimenta un nuovo indicatore (iniziato quasi per caso, ma rapidamente divenuto il prodotto di
au sérieux, in Benoît Frydman e Arnaud Van Waeyenberge (dirs.), Gouverner par les stan-dards et les indicateurs, 5, 48-49.
52. Lo notano anche Judith G. Kelley e Beth A. Simmons, Politics by Number, 55. 53. V. hdr.undp.org/en/data. Lo HDI fu concepito da Mahbub Ul Haq, ex compagno di studi di Sen. Si narra che quando Sen presentò delle critiche rispetto all’utilità di un tale in-dice, Ul Haq rispose: “we need a measure […] of the same level of vulgarity as the GNP – just one number – but a measure that is not as blind to social aspects of human lives as the GNP is” (così riportato da Stephen S. Rosenfeld, The Not So Dismal Economist, Washington
Post, 23 ottobre 1998, a wright.edu/~tdung/mahbub.htm). Per una prima ricostruzione dello
HDI, Sally Engle Merry, Global Legal Pluralism and the Temporality of Soft Law, 46 J.
Leg. Pluralism & Unoff. L. 108, 110-119 (2014); Sakiko Fukuda-Parr, The Human Devel-opment Paradigm: Operationalizing Sen’s Ideas on Capabilities, 9 Fem. Econ. 301-317
(2003).
54. Amartya Sen, Commodities and Capabilities, North-Holland, 1985; Id.,
Develop-ment as Capability Expansion, 19 J. Dev. Planning 41-58 (1989); Id., DevelopDevelop-ment as Free-dom, A.A. Knopf, 1999 (tradotto in italiano come Lo sviluppo è libertà. Perché non c’è cre-scita senza democrazia, Mondadori, 2000); v. anche Martha C. Nussbaum, Women and Hu-man Development. The Capabilities Approach, Columbia UP, 2000 (tradotto come Diventa-re persone. Donne e universalità dei diritti, il Mulino, 2001).
55. Il dataset è ancora accessibile al sito
humanrightsdata.com/p/data-documentation.html. Per una presentazione generale del progetto, v. David L. Cingranelli e
David L. Richards, The Cingranelli and Richards (CIRI) Human Rights Data Project, 32
Hum. Rights Q. 401-424 (2010).
56. V. il sito heritage.org/index/, nonché, per una presentazione dell’indice in italiano, Federica Pintaldi, Come si interpretano gli indici internazionali. Guida per ricercatori,
punta dell’ONG) chiamato ‘Corruption Perceptions Index’57. È sempre il 1995 quando l’United Nations Development Programme decide di accom-pagnare allo HDI un indicatore centrato sulle donne e sulle dimensioni del loro sviluppo: nasce il ‘Gender Development Index’ (GDI)58. Un anno dopo – è il 1996 – un gruppo di economisti affiliati alla World Bank dà vita a un insieme di indici compositi (ossia fondati sull’aggregazione di una pluralità di altri indicatori) sullo stato della ‘governance’, gli ‘Worldwide Governan-ce Indicators’ (WGI)59. Nel 1997 si aggiunge il ‘Foreign Direct Investment Regulatory Restrictiveness Index’, un indicatore delle restrizioni normative agli investimenti esteri compilato dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico60.
Nel 2000, il professore di management Witold J. Henisz della Wharton University, in Pennsylvania, comincia a pubblicare, a scadenza non perio-dica, un indicatore della democrazia, il ‘Political Constraint Index Data-set’61. Sempre nel 2000 un’associazione non governativa di Boston, Global Reporting Initiative, lancia una serie di indici (a pagamento e ad accesso riservato) che portano il suo nome, rivolti alle imprese che intendono sotto-porre l’impatto delle proprie attività a scrutinio quantitativo62. Nel 2001 il Dipartimento di Stato americano inaugura i ‘Trafficking in Persons’ Re-ports (TiP), relazioni annuali sulle misure assunte dagli stati per lottare con-tro la tratta di esseri umani63. Nello stesso anno, l’Assemblea Generale del-le Nazioni Unite adotta la ‘United Nations Mildel-lennium Declaration’64, una risoluzione che fissa una lista minima di obiettivi in materia di sviluppo da raggiungere entro il 2015. L’iniziativa rileva perché il progresso verso la 57. Si v., oltre che infra, Cap. 5, par. 3.1, il sito transparency.org, nonché fin d’ora Alexander Cooley, How International Rankings Constitute and Limit Our Understanding
of Global Governance Challenges: The Case of Corruption, in Debora V. Malito, Gaby
Umbach, Nehal Bhuta (eds.), The Palgrave Handbook of Indicators in Global
Govern-ance, 49-68.
58. V. il sito hdr.undp.org/en/content/gender-development-index-gdi.
59. V. il sito datacatalog.worldbank.org/dataset/worldwide-governance-indicators, oltre che infra, Cap. 4, par. 2.2.
60. V. il sito oecd.org/investment/fdiindex.htm.
61. Il dataset è disponibile a
mgmt.wharton.upenn.edu/faculty/heniszpolcon/polcon-dataset/.
62. V. il sito globalreporting.org/. Per una valutazione del modo di operare della Global Reporting Initiative, v. Galit A. Sarfaty, Measuring Corporate Accountability through
Global Indicators, in Sally Engle Merry, Kevin E. Davis, Benedict Kingsbury (eds.), The Quiet Power of Indicators, 102-132.
63. Oltre che infra, Cap. 4, par. 4.1, v. il sito state.gov/j/tip/rls/tiprpt/.
64. Assemblea Generale delle Nazioni Unite, United Nations Millennium Declaration, A/RES/55/2, 18 settembre 2000, a
realizzazione di quegli obiettivi sarà costantemente monitorato e incentiva-to dai c.d. ‘Millennium Development Goals Indicaincentiva-tors’ (MDG)65. Dal 2015 i MDG saranno sostituiti dai più dettagliati ‘Sustainable Development Goals’ (SDG)66, che determinano i traguardi da realizzare entro il 2030, e i correlati indicatori per misurare i tassi di loro raggiungimento67.
Nel 2002 vede la luce, grazie alla collaborazione fra lo ‘Yale Center for Environmental Law and Policy’, il ‘Center for International Earth Science Information Network’ della Columbia University, e il ‘World Economic Forum’, l’’Environmental Sustainability Index’ (ESI), che qualche anno più tardi cambierà il proprio nome in ‘Environmental Per-formance Index’ (EPI), ossia un ranking degli stati mondiali sulla base di vari indici circa la qualità dell’ambiente e la biodiversità68.
Nel 2003 escono due importanti indicatori in materia di diritto degli affari. Si tratta, da un lato, del ‘Doing Business’ Reports (DB), ossia l’indicatore del clima degli investimenti promosso dall’International Fi-nance Corporation della Banca Mondiale69, e, dall’altro lato, del ‘Global Competitiveness Index’ del World Economic Forum, organizzazione in-ternazionale con sede a Ginevra, che per la prima volta raccoglie in un
65. V. il sito mdgs.un.org/. Data la grandiosità degli sforzi condotti sotto l’ombrello dei MDG, sulla loro implementazione si è accumulata una cospicua letteratura critica; cfr. Saki-ko Fukuda-Parr, Millennium Development Goals. Ideas, Interests and Influence, Routledge, 2017; Sakiko Fukuda-Parr, The MDGs, Capabilities, and Human Rights: The Power of
Numbers to Shape Agendas, Routledge, 2015; Sakiko Fukuda-Parr e Alicia Ely Yamin
(eds.), The MDGs, Capabilities and Human Rights: The power of numbers to shape
agen-das, Routledge, 2015 (e in particolare il saggio di Sakiko Fukuda-Parr, Alicia Ely Yamin,
Joshua Greenstein, The Power of Numbers: A Critical Review of the Millennium
Develop-ment Goal Targets for Human DevelopDevelop-ment and Human Rights, ibid., 1-13); Inga T.
Win-kler, Margaret L. Satterthwaite, Catarina de Albuquerque, Treasuring What We Measure
and Measuring What We Treasure: Post-2015 Monitoring for the Promotion of Equality in the Water, Sanitation, and Hygiene Sector, 32 Wis. Int’l L. J. 547-594 (2014); Sakiko
Fuku-da-Parr, Millennium Development Goal 8: Indicators for International Human Rights
Obli-gations?, 28 Hum. Rights Q. 966-997 (2006).
66. Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Transforming our world: the 2030 Agenda
for Sustainable Development, A/RES/70/1, 21 ottobre 2015, un.org/ga/search/view_doc.-asp?symbol=A/RES/70/1&Lang=E.
67. Si v. il sito unstats.un.org/sdgs/, nonché Sakiko Fukuda-Parr, Sustainable
Develop-ment Goals, in Thomas G. Weiss e Sam Daws (eds.), The Oxford Handbook of the United Nations, OUP, 2018, 2a edn., 764-779; Sakiko Fukuda-Parr, From the Millennium Devel-opment Goals to the Sustainable DevelDevel-opment Goals: shifts in purpose, concept, and politics of global goal setting for development, 24 Gender & Dev. 43-52 (2016).
68. Il sito dell’attuale indicatore è epi.envirocenter.yale.edu, mentre quello della versio-ne precedente è sedac.ciesin.columbia.edu/data/collection/esi/.
ranking i risultati di un suo prodotto preesistente, il ‘Global Competitive-ness Report’70.
L’anno successivo, nel 2004, il governo americano, sotto la guida del Presidenza George W. Bush, fonda la ‘Millennium Challenge Corporation’ (MCC), un’agenzia pubblica indipendente di aiuti allo sviluppo che sele-ziona e monitora i propri beneficiari attraverso un indice composto dall’aggregazione di una pluralità (circa una ventina) di altri indicatori71. Nel 2005, ‘Fund for Peace’, un’organizzazione non governativa statuniten-se con statuniten-sede a Washington, D.C., pubblica, in collaborazione con la rivista ‘Foreign Policy’, la prima edizione del ‘Fragile States Index’, diretto a quantificare e comparare i tassi di fallimento degli apparati statali72. Nel medesimo anno, l’agenzia americana per gli aiuti allo sviluppo, USAID, comincia a raccogliere dati per la sua ‘Alert List for Conflict and Instabili-ty’, che però non è destinata al pubblico, ma è disponibile solo alle agenzie governative73. Sempre nel 2005, due economiste (Sakiko Fukuda-Parr e
Su-70. V. weforum.org/reports/the-global-competitveness-report-2018. Il Report era stato concepito dal fondatore del World Economic Forum, l’economista e ingegnere tedesco Klaus Martin Schwab. Su questa iniziativa, v. Federica Pintaldi, Come si interpretano gli
indici internazionali, 15-35; Tore Fougner, Neoliberal Governance of States: The Role of Competitiveness Indexing and Country Benchmarking, 37 Millennium – J. Int’l Stud. 303,
312-321 (2008).
71. Si v. il sito mcc.gov. Come nel caso dei ‘Country Policy and Institutional Assess-ments’ della Banca Mondiale, l’affidamento della MCC a un set di indicatori per elargire i propri aiuti rende i risultati degli indicatori in questione cruciali per i potenziali beneficiari: