Parte I La cultura della quantificazione e gli indicatori
5. I segreti del successo
Molti si sono interrogati sugli elementi che permettono a taluni indicato-ri di pindicato-rimeggiare la soglia del successo (come appena approssimativamente definito). Pare non vi sia una ricetta universale, ma piuttosto un elenco di ingredienti (nessuno dei quali sufficiente, nessuno dei quali necessario) la cui mistura, a dosi assai variegate, si assocerebbe a una migliore riuscita. Va da sé, anche qui, un’indagine comparativa allargata alle traiettorie di una pluralità di indicatori avrebbe molto da aggiungere.
L’elenco delle variabili rilevanti messe sul tappeto da quanti hanno stu-diato il modo in cui gli indicatori si cristallizzano include: (i) il peso dell’istituzione che promuove l’indicatore e (ii) le risorse che questa ha a disposizione; (iii) la credibilità scientifico-professionale di chi concreta-mente elabora l’indicatore, specie agli occhi delle comunità intellettuali, professionali e operative suscettibili di applicarlo; (iv) la semplicità della teoria e/o del messaggio sottostante l’indicatore; (v) il grado di affollamen-to del setaffollamen-tore; (vi) la tenuità dell’infrastruttura normativo-istituzionale nell’ambito al quale l’indicatore si riferisce; nonché (vii) la continuità di quest’ultimo nel tempo33. Nessuno di tali elementi è di per sé determinante, la penetrazione di un indicatore nei discorsi e nelle prassi domestiche e globali – è un ele-mento sovente impalpabile, poiché le istanze concrete di quella penetrazione sono il più del-le volte indirette, o non verbalizzate, o non pubblicizzate (sul punto, v. anche infra, Cap. 5, par. 7). Il dato è sottolineato, ad esempio, oltre che in Marta Infantino, Global Indicators, 356-357, da Kevin E. Davis, Legal Indicators: The Power of Quantitative Measures of Law, 10 Ann. Rev. L. & Soc. Sci. 37, 46-47 (2014); Kevin E. Davis e Benedict Kingsbury,
Indica-dores como intervenciones: obstáculos y expectativas al apoyar iniciativas de desarrollo, 25 International Law. Revista Colombiana de Derecho Internacional 473, 519-520 (2014);
Gregory Michener, Policy Evaluation via Composite Indexes, 186 (“ITPIs [International Transparency Indexes] probably exert more influence that can be measured”); Pedro Rubim Borges Fortes, How legal indicators influence a justice system and judicial behavior: the
Brazilian National Council of Justice and ‘justice in numbers’, 47 J. Leg. Pluralism & Un-off. L. 39, 40 (2015); Armin von Bogdandy e Matthias Goldmann, Taming and Framing In-dicators, 68; Linn Hammergren, Indices, Indicators and Statistics, 311 (che nota come valga
anche l’opposto: “When indicators do change, upwards or downwards, this may not be clearly attributable to a reform program”); Katharina Pistor, Re-Construction of Private
In-dicators for Public Purposes, 168.
32. Per tutti, Sally Engle Merry, The Seductions of Quantification, 7-8.
ma ciascuno di essi è utile a iniettare autorità. Vediamoli uno a uno più nel dettaglio.
(i) È intuitivo che gli indicatori licenziati da una robusta organizzazione
internazionale (come la Banca Mondiale) o dall’agenzia nazionale di uno stato economicamente e politicamente potente (come USAID) abbiano, per ragioni diverse, un vantaggio posizionale rispetto ai loro concorrenti34. Il punto è però che molti degli indicatori fin qui menzionati (si pensi, fra gli esempi più risalenti, all’indice ‘BERI’ o ai ‘Freedom in the World’ Reports, pubblicati rispettivamente da una società di consulenza e un’organizzazione non governativa35) sono prodotti da enti di per sé privi di peso istituzionale e che, anzi, hanno sovente costruito la propria autorevolezza e la propria legittimazione quali ‘soggetti esperti’ proprio attraverso gli indicatori che essi offrivano36.
(ii) Il medesimo ragionamento può applicarsi alle risorse a disposizione.
È ovvio che, maggiori sono le risorse a disposizione, più semplice è ottene-re dati, raccoglieottene-re consensi e pubblicizzaottene-re le proprie attività. Ma la scarsi-16-20; Kevin E. Davis, Benedict Kingsbury, Sally Engle Merry, Introduction. The
Local-Global Life of Indicators, 11-16; Judith G. Kelley e Beth A. Simmons, Politics by Number,
56, 59; Sarah Sunn Bush, The Politics of Rating Freedom, 712; André Broome e Joel Quirk,
Governing the world at a distance, 840; Kevin E. Davis e Benedict Kingsbury, Indicadores como intervenciones, 520-524; v. anche Judith G. Kelley, Scorecard Diplomacy, 44-49,
182-204, 241-241 (per la quale però i fattori che inducono gli stati a internalizzare le istru-zioni degli indicatori – e in particolare dei ‘Trafficking in Persons’ Reports – sarebbero principalmente due: i tassi di sensibilità, propri a ciascuno stato, rispetto a una modifica del-la loro reputazione, e del-la consonanza fra l’agenda sottostante l’indicatore e le priorità com-plessive proprie allo stato interessato).
34. Sally Engle Merry, The Seductions of Quantification, 16; Richard Rottenburg e Sally Engle Merry, A World of Indicators, 4; Judith G. Kelley e Beth A. Simmons, Politics by
Number, 59; Sally Engle Merry, Global Legal Pluralism, 109, 116. Gli indicatori licenziati
dalle organizzazioni internazionali globali traggono sovente legittimazione ulteriore dal ruo-lo di detentrici della conoscenza scientifica nei rispettivi campi di intervento già proprio a quelle istituzioni: cfr. Michael Riegner, Measuring the Good Governance State, 8; Galit A. Sarfaty, Why Culture Matters in International Institutions: The Marginality of Human
Rights at the World Bank, 103 Am. J. Int’l L. 647, 670 (2009) (con riguardo alla Banca
Mondiale); Angelina Fisher, From Diagnosing Under-Immunization to Evaluating Health
Care Systems, 217, 241 (con riferimento all’OMS).
35. Si v. retro, Cap. 1, par. 3, nonché (quanto ai FiW) infra, Cap. 4, par. 2.1.
36. Cfr. André Broome e Joel Quirk, Governing the world at a distance, 823 (“much of the recent proliferation of global benchmarks can be traced to their perceived capacity to help build the reputation of specific organisations as ‘issue experts’”); Alexander Cooley,
The emerging politics of international rankings and ratings, 24 (“NGOs that successfully
have launched globally recognized indices usually assert some form of expert authority, de-rived from their professional reputation as an organization working on the particular issue and/or their channeling of outside expertise into the production of the rating/index”); Wendy Nelson Espeland e Michael Sauder, Rankings and Reactivity, 36.
tà di risorse può essere facilmente aggirata tramite l’uso e il trattamento sa-piente di informazioni già raccolte da altri: sono gli indicatori compositi, i quali proliferano facilmente proprio poiché è possibile istituirli quasi a costo zero, semplicemente affidandosi alle intraprese pregresse e aggregandone i risultati in modo originale37. Del resto, se è indubbio che dietro a molti indi-catori celebri vi siano grossi finanziatori, è altresì vero che l’intervento di questi ultimi è stato spesso successivo all’originaria elaborazione e all’iniziale apprezzamento dell’indicatore. Ad esempio, la lista dei finanzia-menti e delle donazioni ricevute da Transparency International mostra un aumento progressivo dell’attenzione verso l’ONG, che è andato di pari passo alla fama del suo indicatore più famoso, il ‘Corruption Perceptions Index’38.
(iii) Un indicatore è spesso associabile a una o più persone specifiche: si
pensi ad Amartya Sen e allo ‘Human Development Index’39. In tali casi, è ragionevole supporre che l’autorevolezza scientifica e/o la credibilità pro-fessionale di quelle persone entro la comunità di riferimento, nonché la va-stità di relazioni scolari, lavorative e personali da costoro maturate negli ambienti istituzionali e intellettuali che condividono il medesimo lessico e le medesime priorità cui l’indicatore risponde, e più in generale, la conso-nanza ideologica fra quanto proposto e quegli ambienti, siano tutti fattori che aiutano la diffusione di un’intrapresa40. La traduzione dell’approccio di Sen entro lo ‘Human Development Index’, ad esempio, deve molto all’amicizia e al legame professionale che univa Sen a Mahbub Ul Haq, suo ex-compagno di studi a Cambridge, in Inghilterra, e già policy director del-la BM, nonché, al tempo, Special Advisor dello United Nations Deve-37. I quali difatti costituiscono oggigiorno la più parte degli indicatori: v. Kevin E. Davis, Benedict Kingsbury, Sally Engle Merry, Introduction. The Local-Global Life of
Indicators, 13-14, nonché gli Autt. citati retro, Cap. 1, par. 4, nt. 106, e infra, soprattutto
Cap. 5, par. 4.
38. V. le (poche) informazioni disponibili al sito
transparency.org/whoweare/accounta-bility/who_supports_us/2, nonché infra, Cap. 4, par. 3.1.
39. Vi sono molti altri esempi di indicatori associati a scienziati importanti nei rispettivi settori: si pensi allo scienziato politico Raymond Gastil per i ‘Freedom in the World’ Re-ports (infra, Cap. 4, par. 2.1) e ai suoi colleghi David L. Cingranelli e David L. Richards per il ‘Ci-Ri Human Rights Dataset’ (retro, Cap. 1, par. 3), nonché agli economisti Rafael La Porta e Andrei Schleifer per i ‘Doing Business’ Reports (infra, Cap. 4, par. 5.1) e al giurista Juan-Carlos Botero per il ‘Rule of Law Index©’ (retro, Cap. 1, par. 3).
40. René F. Urueña, Activism Through Numbers?, 372, 377; Sally Engle Merry, The
Se-ductions of Quantification, 6 (“At the global level, experts are usually cosmopolitan elites
with advanced education or people who have had previous experience in developing indica-tors of the same kind. They are often from the global North and trained in political science, economics, or statistics”), 116; Sarah Sunn Bush, The Politics of Rating Freedom, 712; Kev-in E. Davis, Legal Indicators, 40-41; KevKev-in E. Davis, Benedict KKev-ingsbury, Sally Engle Mer-ry, Introduction: Global Governance by Indicators, 18; Armin von Bogdandy e Matthias Goldmann, Taming and Framing Indicators, 76-79.
lopment Programme41. Con riguardo al CPI di Transparency International, ONG fondata da due ex-collaboratori della BM, Peter Eigen e Frank Vogl, si è detto che l’autorità rapidamente guadagnata dall’indicatore si deve a “un insieme di elevata expertise tecnica e professionale che risuonava in accordo con le visioni del personale di alto livello delle istituzioni finanzia-rie multilaterali […] e una rete di contatti con personalità di alto profilo en-tro i media, la finanza e la politica”42. È però anche questo un terreno scivo-loso, perché in moltissimi casi non è affatto chiara la misura in cui credibi-lità, relazioni e consonanza ideologica preesistano all’indicatore, o sia piut-tosto quest’ultimo a creare e rafforzare le prime43.
(iv) Oltre alla condivisione di vocabolario, ideali, convinzioni e attese
fra un indicatore e il suo pubblico di riferimento, può rilevare la semplicità dei valori e/o delle teorie difese44. Può trattarsi di slogan banali che con-fermano le aspettative di chi le ascolta, come, ad esempio, l’equazione ‘li-bertà = democrazia liberale + economia di mercato’ disegnata dai ‘Freedom in the World’ Reports45, oppure la bandiera del ‘less regulation is better’ agitata dai ‘Doing Business’ Reports46. Oppure può trattarsi di idee innova-tive: tali erano la proposta (veicolata dallo ‘Human Development Index’) di espandere l’idea di sviluppo umano oltre la sola capacità economica d’acquisto individuale47, e quella (sottostante agli indici sui ‘failed States’) che ricercava le correlazioni e i sintomi dell’indebolimento dell’architettura statale proprio agli stati cc.dd. fragili o collassati48. Alle volte importa la
41. V. retro, Cap. 1, par. 3, nt. 53.
42. René F. Urueña, Activism Through Numbers?, 377, nonché infra, Cap. 4, par. 3.1. 43. Si v. Kevin E. Davis, Benedict Kingsbury, Sally Engle Merry, Introduction. The
Lo-cal-Global Life of Indicators, 2. Per un’illustrazione di come un indicatore possa essere
fun-zionale alla creazione della stessa comunità epistemica che successivamente ne decreterà il successo, si v. la descrizione circa le origini del programma PISA dell’OECD offerta da Armin von Bogdandy e Matthias Goldmann, Taming and Framing Indicators, 76-79.
44. Sally Engle Merry, The Seductions of Quantification, 17-18; Sally Engle Merry,
Human Rights Monitoring, State Compliance, and the Problem of Information, in Heinz
Klug e Sally Engle Merry (eds.), The New Legal Realism, II, Studying Law Globally, CUP, 2016, 31, 41; Kevin E. Davis, Benedict Kingsbury, Sally Engle Merry, Introduction. The
Local-Global Life of Indicators, 21; Alexander Cooley, The emerging politics of interna-tional rankings and ratings, 20; Sally Engle Merry, Measuring the World, S84.
45. Sul punto, v. amplius infra, Cap. 4, par. 2.1. 46. Amplius infra, Cap. 4, par. 5.1.
47. V. retro, Cap. 1, par. 3, ntt. 53 e 54.
48. Si v. retro, Cap. 1, par. 3, ntt. 72 e 73. Con riguardo a tali indici, sono in molti a os-servare come la loro elaborazione abbia preceduto l’esatta formulazione di una teoria circa il ‘fallimento degli stati’, le cui linee fondamentali sono state piuttosto disegnate ex post, alla luce dei risultati traibili dagli indicatori: Alexander Cooley, The emerging politics of
inter-national rankings and ratings, 13; Jack Snyder e Alexander Cooley, Rating the ratings cra-ze, 187; Nehal Bhuta, Governmentalizing Sovereignty, 132-134.
forza evocativa del titolo associato all’indicatore – si pensi di nuovo al ‘Freedom in the World’, o a ‘Good. Smart. Business. Profit®’ e al ‘Global Rights Index’49 –, mentre in altri casi contano di più i presupposti e le con-clusioni (gli uni sovente indistinguibili dalle altre) di cui l’indicatore si fa portatore (lo illustrano bene i ‘Doing Business’ Reports e le loro assunzioni circa l’importanza delle istituzioni, la superiorità del common law rispetto alla tradizione europeo-continentale, l’essenzialità allo sviluppo della pro-tezione della proprietà privata e degli investimenti)50. Resta comunque fon-damentale l’abbordabilità del risultato finale, che può declinarsi su molti versanti: tavole colorate, ranking numerici, premi o critiche ai top o worst performers, sintesi sensazionalistiche, brochures patinate, libera accessibili-tà ai dati51. Di certo, tanto più un indicatore è sofisticato – ad esempio poi-ché, come il ‘Rule of Law Index©’ del World Justice Project, si basa su da-49. Rispettivamente proprie agli indicatori lanciati da Freedom House, dall’Ethisphere Institute® e dall’International Trade Union Confederation: v. retro, Cap. 1, par. 3, nonché, sul primo e sul terzo, infra, Cap. 4, parr. 2.1 e 6.1.
50. Sally Engle Merry, Global Legal Pluralism, 112 (in generale e sullo ‘Human Devel-opment Index’); Ralf Michaels, Comparative Law by Numbers?, 783, 785 (con riguardo specifico ai ‘Doing Business’ Reports). Sullo specifico punto dei presupposti propri ai DB, v. anche infra, Cap. 4, par. 5.1 e Cap. 6, par. 5.
51. V. infra, Cap. 5, par. 5, nonché, fin da subito, Ruth Buchanan, Kimberley Byers, Kristina Mansveld, “What gets measured gets done”: exploring the social construction of
globalized knowledge for development, in Moshe Hirsch e Andrew Lang (eds.), Research Handbook on the Sociology of International Law, EE, 2018, 101, 103; Robert P. Beschel Jr., Measuring Governance. Revisiting the Uses of Corruption and Transparency Indicators, in
Debora V. Malito, Gaby Umbach, Nehal Bhuta (eds.), The Palgrave Handbook of Indicators
in Global Governance, Palgrave, 2018, 161, 165; Sally Engle Merry, The Seductions of Quantification, 13, 16 (“successful indicators tend to be composites that are relatively
sim-ple in conceptualization”), 19, 206 (“it is such composite indicators’ simplification, decon-textualization, and ranking that catch public attention”); Kevin E. Davis, Benedict Kings-bury, Sally Engle Merry, Introduction. The Local-Global Life of Indicators, 12; Sally Engle Merry, Global Legal Pluralism, 109; Tim Büthe, Beyond Supply and Demand: A
Political-Economic Conceptual Model, 29, 31; Armin von Bogdandy e Matthias Goldmann, Taming and Framing Indicators, 53 (che notano: “it was neither the nuanced, statistical information
in the PISA reports nor the insightful analyses contained in additional reports that attracted the most attention; rather, it was their clumsy summary, expressed in a simple country rank-ing”); Sally Engle Merry, Measuring the World, S87; Ralf Michaels, Comparative Law by
Numbers, 785. Non tutti gli indicatori, l’abbiamo già visto retro, nel Cap. 1, par. 3, sono
li-beramente accessibili; sovente non sono tali quelli prodotti da imprese private al fine di gui-dare gli investimenti o valutare l’eticità dei comportamenti di altre imprese. L’accessibilità certamente incide sulla circolazione di un indicatore: è proprio la libera disponibilità dei dati FiW a spiegare perché questi ultimi siano stati per anni usati dalla letteratura scientifica qua-li proxies per democrazia, qua-libertà e tutela della proprietà privata, mentre i coevi indicatori BERI e ICRG, che trattavano temi simili ma non erano accessibili al pubblico, sono stati largamente evitati: Katharina Pistor, Re-Construction of Private Indicators for Public
ti originali, evita di ricorrere a formule pubblicitarie e omette di produrre un ranking –, tanto più ridotte sono le chances che il successo gli arrida52. Ov-viamente, ciò non significa che un messaggio seducente e una fattura gla-mour siano sempre essenziali. Non solo vi è una pletora di indicatori che, pur raccogliendo entrambe le caratteristiche, non sono stati illuminati dalla notorietà; si danno anche casi di indici non particolarmente forti su ciascu-no di quei fronti che si sociascu-no rivelati tuttavia estremamente potenti nell’imprimere una direzione ai dibattiti e alle prassi sia internazionali che nazionali53.
(v) Si è sostenuto che i tassi di diffusione di un indicatore sono
inversa-mente proporzionali al numero di concorrenti che questo ha nel suo ambito di elezione. L’argomento è semplice: quando un intero settore è dominato da una singola misura (com’è ad esempio per i ‘Trafficking in Persons’ Re-ports riguardo la tratta di esseri umani), è ragionevole che quest’ultima mo-nopolizzi l’attenzione della comunità di riferimento. Viceversa, allorché molteplici sono i prodotti a disposizione, nessuno finisce col dominare il mercato54. Il ragionamento coglie senza dubbio una fetta di realtà, ma man-ca di considerare l’evidenza del fenomeno inverso. Fenomeno per cui, una volta aperta con successo la strada all’indicatorizzazione di una materia, si assiste sovente a (un aumento di interesse e sensibilità rispetto alle possibi-lità quantificatorie, che rapidamente alimenta) l’entrata e l’accumularsi progressivo di nuovi indicatori, molti dei quali ottengono fama non minore di quello che, di quell’ambito, era stato il pioniere55.
52. Alyssa Dougherty, Amy Gryskiewicz, Alejandro Ponce, Measuring the Rule of Law:
The World Justice Project’s Rule of Law Index, in Debora V. Malito, Gaby Umbach, Nehal
Bhuta (eds.), The Palgrave Handbook of Indicators in Global Governance, 255, 267-268 (che spiega anche come il ‘Rule of Law Index©’, ancorché sia oggi incluso fra le fonti che alimentano altri indicatori, come il ‘Corruption Perceptions Index’ e i ‘Worldwide Gover-nance Indicators’, continui a godere di una copertura mediatica, accademica e pratica note-volmente inferiore rispetto a quella propria a indicatori assai più grezzi, quali i ‘Freedom in the World’ Reports e gli stessi WGI). Una sorte analoga è toccata ai ‘CBR Leximetric Data-sets’ (v. retro, Cap. 1, par. 3), i quali sono prodotti da giuristi, basati su informazioni raccol-te in modo uniforme, accompagnati da un consisraccol-tenraccol-te set di caveat, e, va senza dirlo, privi di ranking, con il risultato che, pur godendo di numerose citazioni da parte della letteratura specialistica, ha arriso loro un successo mediatico pressoché nullo.
53. Si pensi, ad esempio, ai ‘Trafficking in Persons’ Reports: lo si vedrà nel dettaglio in-fra, Cap. 5, par. 4.1.
54. Mathias M. Siems e David Nelken, Global social indicators and the concept of
legit-imacy, 13 Int’l J. L. in Context 436, 444-445 (2017); Alexander Cooley, The emerging poli-tics of international rankings and ratings, 26; Wendy Nelson Espeland e Michael Sauder, The Dynamism of Indicators, 98.
55. Si pensi al successo arriso a molti fra i più recenti indicatori della qualità dei sistemi universitari (v. retro, Cap. 1, par. 3), che non ha tuttavia ridotto l’autorevolezza (almeno ne-gli USA) di quello promosso dallo US News: Wendy Nelson Espeland e Michael Sauder,
(vi) Su linee analoghe, si è ipotizzata l’importanza della ridotta
consi-stenza dell’architettura normativo-istituzionale nel settore al quale l’indicatore si riferisce. Pure qui, il punto di partenza è un rilievo: un gran numero di indicatori di successo – i ‘Freedom in the World’ Reports, lo ‘Human Development Index’, il ‘Corruption Perceptions Index’, i ‘World-wide Governance Indicators’, i ‘Trafficking in Persons’ Reports, i ‘Doing Business’ Reports – sono sorti in ambiti nei quali mancava, o era assai de-bole, un regime normativo o un apparato istituzionale a livello internazio-nale che facesse da tessuto connettore alle iniziative in materia (e che, in talune ipotesi, come per la corruzione e il traffico di esseri umani56, si è po-tuto creare o solidificare solo successivamente, anche grazie al successo ri-scontrato dall’indicatore). Laddove invece tale regime o apparato era già esistente e, almeno formalmente, ben impiantato, come riguardo ai diritti umani, coperti da una panoplia di trattati globali e no, gli indicatori sono arrivati tardi e non sono comunque mai divenuti potenti57. Si tratta di una tesi interessante, specie perché sottolinea l’attitudine degli indicatori a rim-piazzare egregiamente i meccanismi formali (siano essi regole o istituzioni) nel perseguire fini che usualmente si intendono demandati a quei meccani-smi in esclusiva. Occorre però riconoscere, ancora una volta, che la lettura diventa poco convincente quando si passi a considerare le numerose aree – dalle obbligazioni extraterritoriali delle multinazionali, alla protezione del clima – ove il tessuto normativo-istituzionale è estremamente fragile e ove tuttavia, in assenza di interessi convergenti circa il governo della materia, di indicatori non vi è traccia.
(vii) Della crucialità della continuità temporale, abbiamo già detto.
Poi-ché l’efficacia di un indicatore nell’esprimere tendenze e giudizi e nell’orientare i comportamenti risiede grandemente nella periodicità delle sue misurazioni, la quale consente l’attivarsi di processi reattivi fra
indica-The Dynamism of Indicators, 90. Ma si pensi pure al proliferare di indicatori sulla ‘rule of
law’, dove i nuovi arrivati (come i ‘Worldwide Governance Indicators’) non fanno che con-fermare la significatività del lavoro svolto dagli indici più antichi (come i ‘Freedom in the