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da un’attenta analisi della letteratura psicologica emerge che l’auto-rivelazione appartiene ai comportamenti umani complessi e più incisivi per la costruzione delle relazioni interpersonali5 e, a questo punto, non è difficile capire il “perché” di questa importanza. di fatto, una del-le prime cose che facciamo incontrando una persona estranea con cui pensiamo di stabilire un rapporto, è di raccogliere delle informazioni su di essa per farci un’idea, più o meno esatta e oggettiva, di chi è, che cosa fa, quali sono i suoi interessi, come ci percepisce e quali emozioni prova verso di noi. In ciò consiste la nostra aspettativa perché l’altro riveli qualcosa di sé; in base a ciò noi potremo comprenderlo di più, avendo l’opportunità di confermare le nostre prime opinioni, oppure di metterle in dubbio e rivederle. Se l’altro esprime una curiosità di conoscerci simile alla nostra, cercherà a sua volta di percorrere la stessa strada, individuando nelle nostre parole e nei nostri comportamenti de-gli spunti per costruirsi un’appropriata immagine di noi. È la sua attesa perché anche noi riveliamo qualche cosa di noi stessi.

In realtà, durante tale incontro tentiamo di trovare un “giusto equi-librio” tra le domande che poniamo agli altri e i contenuti su di noi che siamo disposti ad affidare a loro. Tale procedimento, che consiste nell’a-zione intenzionale, consapevole e voluta, attraverso la quale le persone condividono con gli altri alcune informazioni circa il proprio essere e agire, viene definito dagli studiosi autorivelazione (self-disclosure).6

5 cf Bredow carrie A. - rodneY m. cate - huSton Ted L., Have we met before?

A conceptual model of first romantic encounters, in SPreCher Susan - wenzeL Amy - harveY John (a cura di), Handbook of relationship initiation, New York, Psychology Press 2008, 17-19; derLeGa valerian J. - winStead Barbara A. - Greene Kathryn, Self-disclosure and starting a close relationship, in SPreCher - wenzeL - harveY, Handbook of relationship 153; iGnatiuS Emmi - kokkonen marja, Factors contributing to verbal self-disclosure, in Nordic Psychology 59(2007)4, 362-391.

6 cf derLeGa - winStead - Greene, Self-disclosure and starting 158.

come sottolineano Emmi Ignatius e marja Kokkonen,7 psicologhe fin-landesi, quasi sempre l’autorivelazione comporta lo svelamento all’al-tro di qualcosa di intimo e di profondo che riguarda noi stessi; ciò può implicare un vissuto denso di vari stati emotivi, sia quelli positivi che quelli contraddittori o ambivalenti.

In quanto forma di comunicazione umana, l’autorivelazione delle informazioni riguardanti il proprio sé avviene su due piani. Anche se il fatto di esprimerci è associato generalmente con il messaggio parlato8 (“io penso…, io sento…”; “cosa pensi…, cosa senti?”), l’esperienza ci fa vedere che trasmettiamo i nostri pensieri e le nostre emozioni anche mediante il linguaggio non verbale, che va al di là delle parole pro-nunciate e trova la sua manifestazione nelle espressioni del corpo (le espressioni facciali, lo sguardo, i movimenti, i gesti, il tocco, le tecniche vocali, le parole scritte, le azioni). Infatti, dalle ricerche empiriche effet-tuate nel campo delle scienze sociali risulta che il modo non verbale di comunicare è molto più convincente del linguaggio verbale di quanto non si creda, specialmente quando la persona che ascolta e osserva il suo interlocutore non trova una certa corrispondenza tra le modalità comunicative da lei o da lui utilizzate.9

Questa odierna sensibilità alle manifestazioni non verbali del com-portamento umano richiama la saggezza dei pensatori antichi i quali attribuivano all’uomo grande capacità recettiva di fronte alle comuni-cazioni non effettuate mediante le parole. Per esempio, Erodoto, stori-co grestori-co, osservò più di duemila anni fa che «le orecchie degli uomini

7 cf iGnatiuS - kokkonen, Factors contributing 362-391.

8 La maggioranza degli studiosi considera l’autorivelazione come un processo uni-camente verbale attraverso cui esprimiamo noi stessi con l’uso delle parole. Owen Har-gie, david dickson, Kathryn Greene e collaboratori allargano il significato concettuale dell’autorivelazione ritenendola un fenomeno che comprende la comunicazione sia verbale che non verbale (cf harGie Owen - diCkSon david, Skilled interpersonal com-munication: Research, theory and practice, New York, Routledge 2004, 152; 223-258;

Greene Kathryn - derLeGa valerian J. - MathewS Alicia, Self-disclosure in personal relationships, in vanGeLiSti Anita L. - PerLMan daniel [a cura di], The Cambridge Handbook of personal relationships, cambridge, cambridge university Press 2006, 409-427).

9 cf koneru Aruna, Professional communication, New delhi, Tata mcGraw-Hill 2008, 10; derLeGa - winStead - Greene, Self-disclosure and starting 158; feeneY

Brooke C. - CaSSidY Jude - raMoS-MarCuSe fatima, The generalization of attachment representations to new social situations: Predicting behavior during initial interactions with strangers, in Journal of Personality and Social Psychology 95(2008)6, 1481-1498;

iGnatiuS - kokkonen, Factors contributing 379.

credono meno degli occhi»,10 affermando così l’importanza informati-va proveniente dai messaggi nascosti in tutto ciò che non viene espresso verbalmente.

un’intuizione simile, anche se ancora più provocatoria, fu propo-sta da Antoine de Saint-Exupéry, famoso scrittore francese scomparso prematuramente durante la seconda guerra mondiale. Nel suo roman-zo più conosciuto, Il Piccolo Principe, troviamo un’affermazione molto significativa nel contesto dei rapporti interpersonali: «Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi».11 In questo caso l’Au-tore indica un percorso relazionale fondato su caratteristiche insolite e del tutto singolari per la cultura contemporanea, in quanto invita ad andare oltre l’immediatezza di ciò che si può sperimentare con i sensi e a cogliere “questo qualcosa” che si trova dentro l’altro che, a prima vista, non solo sfugge alla nostra attenzione, ma richiede tempo e spa-zio per essere conosciuto. È un appello a sviluppare e coltivare in sé la capacità di essere riflessivi e rispettosi di fronte al mistero dell’altro, evitando il rischio di sapere di lui o di lei “tutto già dopo il primo sguar-do”, con la certezza di un esperto che ha tra le mani il ventaglio delle risposte pronte e sicure, che spesso però è molto ristretto. La difficoltà di esprimere i propri pensieri e affetti, e di conseguenza la fatica degli altri nel “decifrare” ciò che comunichiamo, ci può rendere più attenti nell’interpretazione dei messaggi dei nostri interlocutori.

È importante ricordare che l’autorivelazione possiede alcune carat-teristiche particolari che la distinguono da altre forme di comunicazio-ne.12 uno dei suoi più importanti attributi riguarda l’uso del pronome

“io” oppure di altre espressioni autoreferenziali come “mio” e “per me”. Parlare in prima persona rende l’informazione del confidente meno ambigua, assicura il carattere intrapersonale del messaggio e così indica che abbiamo a che fare con l’autorivelazione e non con un sem-plice comunicato. Inoltre, rendere personalizzato il proprio discorso ci fa più credibili agli occhi dell’altro e permette di assumere con una maggiore responsabilità le proprie opinioni e le proprie scelte.

10 La versione inglese del detto di Erodoto, “men trust their ears less than their eyes”, viene riportata nel libro di Richard Alan Krieger dedicato alle famose citazioni trasmesse dai celebri pensatori lungo i secoli (cf krieGer Richard Alan, Civilization’s quotations: Life’s ideal, Washington, Algora Publishing 2002, 84).

11 de Saint-eXuPérY Antoine, Il Piccolo Principe, Bompiani, milano 1978, 98.

12 cf owen - diCkSon, Skilled interpersonal communication 228.

un altro aspetto dell’autorivelazione riguarda la dimensione della quantità dell’informazione (l’estensione dell’informazione che include più aree tematiche) e la sua qualità (la profondità che si esprime attra-verso il trattamento più penetrante, analitico e interiore della comuni-cazione) che siamo propensi a rivelare durante i primi incontri con l’al-tro. come risulta dagli studi condotti in diversi paesi,13 le differenze del livello dell’autorivelazione dipendono da numerosi fattori: dalla fase della relazione, dall’ambiente e dalle regole socio-culturali, dai tratti di personalità degli interlocutori coinvolti nell’incontro, dalle loro moti-vazioni o dagli stati emotivi che essi sperimentano.

Jean-Philippe Laurenceau e i suoi collaboratori osservano che ge-neralmente usiamo due modalità di autorivelazione: fattuale ed emo-zionale.14 L’autorivelazione fattuale, come suggerisce il nome, riguarda semplicemente la trasmissione all’altro dei fatti e delle informazioni concernenti la propria vita. Questo tipo di autorivelazione viene uti-lizzato durante i primi momenti dell’interazione in quanto raccontia-mo all’altro contenuti piuttosto neutrali, esteriori o superficiali circa noi stessi. L’autorivelazione emozionale, invece, si riferisce alla condi-visione con l’altro dei propri sentimenti, delle proprie opinioni e dei propri giudizi. Anche se entrambi i tipi di autorivelazione riguardano gli aspetti privati della persona che sta parlando, ciò che più colpisce l’ascoltatore è la comunicazione degli stati emotivi. Infatti, l’autorivela-zione emozionale, rispetto a quella fattuale, è considerata dagli studiosi come più profonda ed influente nella costruzione del senso di intimità tra i partecipanti della relazione, perché tocca le parti più confidenziali e riservate di colui che si autorivela. In più, l’autorivelazione emotiva viene trasmessa non solo verbalmente, ma anche mediante il linguag-gio non verbale attraverso cui, spesso, è più facile esprimere i senti-menti intensi. In questo senso la presentazione espressiva di emotività

13 Le ricerche interculturali evidenziano che l’autorivelazione caratterizzata dalla profondità del contenuto è più frequentemente adottata dalle persone provenienti dal-le culture non-occidentali, invece dal-le persone che rappresentano dal-le culture occidentali preferiscono l’autorivelazione più estesa e meno profonda (cf iGnatiuS - kokkonen, Factors contributing 363. 383).

14 cf LaurenCeau Jean-Philippe - feLdMan Barrett Lisa - PietroMonaCo Paula R., Intimacy as an interpersonal process: The importance of self-disclosure, and perceived partner responsiveness in interpersonal exchanges, in Journal of Personality and Social Psychology 74(1998)5, 1238-1251; owen - diCkSon, Skilled interpersonal communica-tion 228.

supera il modo “strategico” e formale di relazionarsi che consiste nella ricerca dell’equilibrio tra ciò che possiamo perdere (il rischio) e ciò che vogliamo conquistare (l’opportunità). Tale approccio indica che ci autoriveliamo in modo graduale dosando bene che cosa, quanto e a chi possiamo dire, far vedere o sentire quello che siamo, facciamo e sperimentiamo. Il passaggio dall’autorivelazione fattuale a quella emo-tiva può suggerire che gli interlocutori si sono incontrati al livello più profondo e sono concordi nel continuare a costruire la loro relazione.15

Il terzo aspetto dell’autorivelazione riguarda l’oggetto della comuni-cazione che può riferirsi all’esperienza propria di colui che parla (“par-lo io di me”) oppure può indicare la sua reazione di fronte all’espe-rienza raccontata da qualcun altro. Nel primo caso abbiamo l’esempio tipico della rivelazione di sé fatta dalla persona che parla. Nel secondo caso, invece, possiamo avere l’esempio della rivelazione autocoinvol-gente (self-involving), quando l’ascoltatore esprime premura nei con-fronti dell’altro, partendo dalla sua esperienza (“vedo che stai male”), o della rivelazione parallela (parallel), quando l’ascoltatore inizia dalla propria storia (“quando io sto/stavo male”). L’uso della rivelazione au-tocoinvolgente può essere più efficace nelle situazioni in cui si vuole incoraggiare una piena autorivelazione dell’altro, invece l’impiego della rivelazione parallela può risultare più appropriato quando si intende dimostrare che l’esperienza dell’altro è consueta e succede frequente-mente.16

Il quarto elemento caratterizzante i comportamenti autorivelatori concerne il tempo a cui si riferisce il messaggio che si intende confida-re. Alcune comunicazioni riguardano il passato, altre il presente, altre ancora il futuro.17 Secondo i diversi studiosi, i contenuti più difficili da rivelare sono inerenti alle nostre opinioni ed emozioni presenti, in quanto influenzano di più la nostra situazione attuale e ci mettono in contatto con noi stessi. ciò che esprime il nostro passato, in qualche modo, è stato già distanziato oppure elaborato. In questo senso non ci appartiene più e perciò è meno rischioso. ciò che ci proietta nel

15 cf dwYer diana, Interpersonal relationships, London, Routledge 2000, 84;

owen - diCkSon, Skilled interpersonal communication 229; LaurenCeau Jean-Philippe - kLeinMan Brighid m., Intimacy in personal relationships, in vanGeLiSti - PerLMan, The Cambridge Handbook 637-653.

16 cf owen - diCkSon, Skilled interpersonal communication 229-230.

17 cf ivi 230.

futuro non ci appartiene ancora e per questo non incide troppo su di noi. Invece il fatto di vivere nel presente un’emozione e dover rivelarla a qualcuno può metterci in difficoltà perché non solo esige da noi il coraggio di esprimerci di fronte all’altro, ma richiede anche il coraggio di lasciarci conoscere dall’altro così come siamo realmente.18

Nell’avvio del rapporto interpersonale acquista grande significato la disponibilità del donatario di rispondere al messaggio ricevuto dal trasmettitore. come indicano i risultati delle ricerche effettuate dagli psicologi, non basta introdurre la relazione con la comunicazione au-torivelatoria perché, se essa non trova la risposta adeguata, perderà il suo valore e finirà nel vuoto. L’incontro con l’altro ha delle possibili-tà di svilupparsi solo quando le parole pronunciate sono accolte con la comprensione del ricevente (che accuratamente coglie i bisogni, le emozioni e la situazione della persona che si rivela), il rispetto (il do-natario comprova ciò che viene detto e valorizza la persona stessa) e la cura (il ricevente dimostra interesse e premura nei confronti del suo interlocutore). La risposta costituisce così un segnale importante del coinvolgimento reciproco e della corrispondenza che denotano la vo-lontà di partecipazione e di continuazione del rapporto da entrambe le parti.19 Se all’inizio della relazione interpersonale manca il contesto di reciprocità in cui una persona conosce l’altra, permettendole a sua volta di conoscere se stessa, l’incontro significativo non avrà futuro in quanto risulta assente l’aspetto della mutua condivisione.

Gli aspetti dell’autorivelazione fin qui presentati contribuiscono po-sitivamente alla qualità delle relazioni interpersonali, ma, nonostante ciò, non le privano delle difficoltà. uno dei fenomeni che è presente lungo il cammino dell’autorivelazione, anche se con gradi di intensità diversi, è l’incertezza relazionale che esprime la tensione tra il deside-rio di autorivelarsi, le aspettative di autorivelazione che nutriamo nei confronti dell’altro e le attese di autorivelazione dell’altro verso di noi.

18 cf roSenfeLd Lawrence B., Overview of the ways privacy, secrecy, and disclosure are balanced in today’s society, in Petronio SPorBert Sandra (a cura di), Balancing the secrets of private disclosure, mahwah, Lawrence Erlbaum 2000, 3-17.

19 cf LaurenCeau - feLdMan Barrett - PietroMonaCo, Intimacy as an interper-sonal process 1239; ConSedine Nathan S. - SaBaG-Cohen Shulamit - krivoShekova

Yulia S., Ethnic, gender, and socioeconomic differences in young adults’ self-disclosure:

Who discloses what and to whom?, in Cultural Diversity and Ethnic Minority Psychology 13(2007)3, 254-263.