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Jean Guitton riferisce una sua esperienza legata al mondo della scuola dove viene riconfermata la preminenza del rapporto interper-sonale nel cammino di maturazione della persona su ogni tecnologia, anche la più avanzata:

«vi saranno ancora le scuole nel terzo millennio? Lo spirito utopico può avere libero corso: mi capita di immaginare uno Stato in cui un solo maestro insegnerà, dal collège de France a tutti gli allievi, con lo schermo televisivo che rimpiazzerà la lavagna. E si può supporre che un ordinatore permetterà di autoinsegnare senza maestro. Avendo fatto scuola per lungo tempo (anche al liceo) mi esamino su quello che è essenzialmente un professore.

Separo in lui due personaggi diversissimi: quello del ripetitore e quello del maestro. Quando parlavo al popolo dei giovani, distinguevo molto bene in me l’automa, l’essere meccanico, colui che “teneva un corso”, che ascoltava una lezione, che correggeva con l’inchiostro rosso: questo automa, infatti, avrebbe potuto essere rimpiazzato da un allievo dotato, da un prefetto di collegio, da una piccola cosa. ma dietro l’automa c’era un essere segreto, pudico, indescri-vibile, colui che si dedicava, che veramente insegnava.

mi ricordo che avendo chiesto consiglio a Bergson sul modo di tenere le lezioni di filosofia, ero stato sorpreso da una confessione paradossale: “Pre-parate il meno possibile i vostri corsi. Gli allievi hanno già dei libri. ma col-tivatevi, immergetevi in voi, siate voi stessi davanti a loro. È soltanto questo che li renderà fruttuosi”. Quarant’anni dopo questo incontro parlavo con un ex-alunno, Jean verdier, che era diventato prefetto di Parigi. mi raccontò del-la sodel-la lezione che gli era rimasta impressa. vergogna, meraviglia, sorpresa!

mi ricordai che quel giorno avevo perso i miei appunti e avevo detto quello che affiorava dalla mia interiorità. Tra i progetti utopisti per gli “insiemi” di domani ho mantenuto quello dei tutori. In fondo i tutori sono sempre esistiti nelle vere scuole. A casa, il padre o la madre, riprendevano le cose apprese, le adattavano, le facevano assimilare. ugualmente le comunità ricostituivano dei gruppi intimi, come ai tempi in cui Socrate discuteva con Fedone, Platone, Teeteto sotto gli olivi. La parola “scuola” significa piacere.

Oh, come sono dolci nel ricordo, veramente indimenticabili quei giorni in classe (o piuttosto fuori della classe) quando, lontano dal preside o dagli ispettori scolastici, in un angolo del cortile o del giardino, senza preparare esami, mi ricreavo (o meglio, mi creavo) con qualche giovane uomo avido di argomento artistico e letterario. Fu sindaco di Firenze tra il 1966 e il 1967, prodigando-si in ogni modo per far fronte all’alluvione del 1966.

sapere che cos’è l’uomo. Allora non ero più maestro o professore, ma tutore;

si cercava insieme il vero e il bello... E notavo che la differenza di funzioni e di età è in parte fittizia, effimera, e che, nella vera scuola, insegnare e apprendere sono una stessa cosa».19

Sono stati offerti alcuni spunti – se ne sarebbero potuti addurre molti altri – per dire in quale senso si debba intendere l’accompagnare, che è intrinseco all’educare. ci pare, infatti, che l’educazione implichi necessariamente l’accompagnare, cioè richieda la presenza di una per-sona matura, che si affianca a colui che cresce, che gli indica il sentiero su cui incamminarsi e cosa portare con sé per arrivare alla meta intra-vista: la libertà.

19 Guitton Jean, La fine delle scuole, in L’Osservatore Romano (10 giugno 1983), 2. Jean Guitton (1901-1999), ricercatore, filosofo e scrittore, è stato un protagonista autorevole della fioritura culturale che ha caratterizzato la Francia del sec. XX, e una delle figure più rappresentative del pensiero cattolico contemporaneo.

una prospettiva psicologica sull’accompagnamento reciproco małgorzata SZcZEŚNIAK1

Il tema delle relazioni interpersonali è uno degli argomenti più uni-versali e più studiati in diverse discipline scientifiche, tanto che, secon-do lo psicologo inglese Steve duck,2 grandi passi si sono compiuti negli ultimi anni per comprendere la natura dei rapporti umani. Allo stesso tempo, la ricchezza e la complessità dell’uomo e del suo contesto socia-le, aprono la tematica delle relazioni alle nuove scoperte e al continuo approfondimento.

da una parte, l’esperienza quotidiana ci offre numerose possibilità di conoscere, o almeno intuire, le dinamiche che sono alla base delle esperienze relazionali. di solito, sappiamo bene quando i rapporti che instauriamo con gli altri sono proficui e quando, invece, risultano poco costruttivi. dall’altra parte, facciamo fatica a rispondere alle domande più elementari che sorgono di fronte agli “imprevisti relazionali del-la vita”: Qual è il segreto perché una redel-lazione sia buona e duri nel tempo? Quando inizia e come si sviluppa un rapporto interpersonale?

Quali elementi sono considerati essenziali nella costruzione di una rela-zione? Perché alcune relazioni funzionano e altre no? che cosa ci aiuta a creare rapporti profondi e significativi?3

In questo contributo intendo soffermarmi su alcuni aspetti che

ri-1 SzCześniak małgorzata FmA, docente di Psicologia sociale presso la Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione “Auxilium”.

2 cf duCk Steve, Human relationships, Thousand Oaks, Sage Publications 2007, IX-XII.

3 cf draGon William - duCk Steve, Reading research on relationship, in id. (a cura di), Understanding research in personal relationships: A text with readings, London, Sage Publications 2005, 1-11.

guardano la formazione di un rapporto, in quanto spesso diamo per scontata l’origine di una relazione, concentrando l’attenzione prevalen-temente sul suo sviluppo o sulle cause della sua rottura. Tra gli elementi costitutivi fondamentali della fase iniziale saranno affrontati: l’autori-velazione, l’incertezza e la fiducia, trattandoli in modo processuale, in quanto l’avvio di ogni relazione comporta la compresenza di tutti e tre e non, come talvolta si pretende, solamente la presenza della fiducia.

Questo approccio permette di osservare la relazione nella sua comples-sità, cogliendo le sue diverse sfumature.

In tal senso, la struttura del lavoro non è casuale, ma riflette il con-sueto cammino che percorriamo ogni volta che iniziamo un rappor-to interpersonale. Infatti, per diminuire le distanze e le barriere che possono sorgere nel primo incontro con l’altro sconosciuto e in quelli successivi, tentiamo di rivelare qualcosa di noi (l’aspetto di autorivela-zione) e nutriamo le stesse aspettative verso l’altro. È da sottolineare che non si tratta solo di una persona vista per la prima volta, ma anche delle persone accanto a cui viviamo da anni senza nemmeno conoscerle o conoscendole solo superficialmente. Oltre a questo, all’inizio di un incontro sperimentiamo dei dubbi e delle insicurezze circa il contenuto da riferire, il grado di affidamento da riporre nell’altro, il livello della sua credibilità nei nostri confronti, il rischio legato a lasciarci conosce-re, la paura del coinvolgimento e di tutto ciò che esso richiede (l’aspet-to di incertezza). Finalmente entra in gioco l’aspet(l’aspet-to della fiducia che, se prevale sulla reciproca diffidenza, la quale scatta nei vari momenti dell’interazione, può costituire uno spazio favorevole per lo sviluppo di un rapporto interpersonale soddisfacente e così condurci dalla distanza alla vicinanza relazionale.

Questi tre elementi si inseriscono nel quadro più ampio dell’accom-pagnamento,4 in quanto fare strada con l’altro, come ogni relazione in-terpersonale, racchiude in sé la volontà e la capacità di farsi conoscere

4 Il termine “accompagnamento”, piuttosto ampio, comprende varie dimensioni:

quella educativa, psicologica, relazionale, spirituale, vocazionale, terapeutica ecc. Nel presente lavoro mi soffermo sulla forma di accompagnamento, che vorrei chiamare “re-ciproco”, che caratterizza la relazione interpersonale tra persone adulte, specialmente nella fase iniziale del loro rapporto. A differenza di altri tipi di accompagnamento, che includono una forte distinzione tra i ruoli dei soggetti coinvolti (allievo versus inse-gnante; cliente versus terapeuta), l’accompagnamento reciproco riguarda la relazione in cui il ruolo, ossia la funzione e la posizione sociale o professionale, non ha tanta importanza.

reciprocamente, l’impegno nel gestire le incertezze legate sia ai propri limiti che a quelli dell’altro, la consapevolezza che la fiducia, più che costituire il punto di partenza di un rapporto, rappresenta piuttosto un processo costruito e curato insieme.