Dialogare con le persone in Rete
4.2 L’azienda entra nella conversazione
Se inizialmente le aziende devono mettersi all’ascolto dei consumatori in un secondo momento esse devono paradossalmente comunicare di più e in modo diverso, aprendo dei canali trasmissivi che non siano solo prettamente promozionali, ma che offrano contenuti di qualità, utili e piacevoli, quelli a cui Mario Lupi ha dato il nome di “company generated contents” (Lupi, 2008). Contenuti pensati per la Rete, che si orientano a imbastire un discorso, che devono far parte di un progetto complessivo ove i destinatari sono al centro dell’attenzione e non al centro di un bersaglio e dove le persone diventano protagoniste e interlocutrici. Questo significa parlare una lingua più simile possibile a quella delle persone, coinvolgerli e fare in modo che esse diventino amplificatori di messaggi positivi, alimentando continuamente una relazione attiva e bidirezionale.
I contenuti che possono comunicare le aziende sono tanti: dalle classiche news aziendali (compresi i tradizionali comunicati stampa) che molto spesso celano dei contenuti che possono essere sviluppati in chiave informativa così da produrre contenuti utili e interessanti, come ricerche, white paper, articoli e approfondimenti alle foto dell’azienda e degli eventi
che vengono organizzati a video su come si utilizzano i prodotti.
Si possono far parlare direttamente le persone dell’impresa che attraverso le loro storie, la loro passione, la loro capacità di spiegare i prodotti e i servizi in modo spontaneo e, in genere, decisamente più credibile della comunicazione promozionale, possono diventare dei testimonial eccezionali.
L’azienda può raccontare infine di tutti gli eventi a cui partecipa o che organizza (convegni, workshop, fiere, ecc.), i quali potrebbero estendere la loro vita se opportunamente digitalizzati e sviluppati sulla Rete.
Fondamentale è che i contenuti possano essere commentati e scambiati dagli utenti in modo da dar vita ad una comunicazione bidirezionale o meglio una conversazione. “È necessario supportare spazi di conversazione anziché spazi per monologhi” (Diegoli, 2009).
Secondo Prunesti (2009) è necessario che l’azienda investa la risorsa più importante, il tempo, per creare un messaggio che lui definisce “EPICO”, ovvero un messaggio in grado di stimolare 5 fattori27:
• Engagement: il messaggio deve essere rilevante, divertente e utile per i destinatari. Deve coinvolgere gli utenti;
• Partecipazione: il messaggio deve dar modo agli utenti di essere fruito all’interno dei social nework e dei blog, attraverso ad esempio la possibilità di votarlo o taggarlo abbinandolo a parole chiave utili per condividerne il contenuto con gli altri utenti della Rete;
• Integrazione: il messaggio deve avere un formato adatto a essere facilmente integrato in tutti gli strumenti di comunicazione partecipativa diffusi nel Web;
• Condivisione: il messaggio deve stimolare i fruitori dei social media a condividerlo tra loro all’interno dei blog, dei social network o degli altri network relazionali tipici del Web 2.0, in modo da stimolare il
27 Le informazioni che seguono sono state rilevate dall’intervista ad Alessandro Prunesti, per un ulteriore approfondimento si rimanda all’appendice.
passaparola e la sua diffusione virale;
• Organizzazione virale: il messaggio deve avere caratteristiche virali in modo da diffondersi spontaneamente tra le persone.
Alessandro Prunesti (2009) consiglia alle aziende che intendono comunicare attraverso i social media l’utilizzo di quello che lui chiama
“prisma della comunicazione” che ogni azienda può adattare alle sue precise caratteristiche e scelte imprenditoriali.
Il prisma della comunicazione. Fonte: http://alessandroprunesti.wordpress.com
Il prisma è stato costruito in base a due fattori fondamentali:
• La possibilità di dialogo offerta dai media: si riferisce alle caratteristiche del flusso di comunicazione che può essere veicolato da quello specifico medium. Questo flusso può essere a senso unico quando il messaggio è gestito da un singolo individuo e arriva ad un pubblico indistinto. In questo caso siamo di fronte a una concezione del Web di tipo top-down. Il flusso di comunicazione può essere anche a
doppio senso, quando esso prevede il contributo degli altri alla sua costruzione, condivisione e ri-produzione. In questo caso siamo di fronte a un flusso di comunicazione dalle caratteristiche partecipative, tipico del Web 2.0 dove l’azienda può dialogare liberamente con i consumatori.
• La possibilità di controllo territoriale dei media stessi: si riferisce alle modalità di gestione del flusso della comunicazione veicolato sui media.
Questo può essere controllato direttamente dall’azienda con iniziative proprie, oppure può essere controllato e ri-prodotto da soggetti esterni.
In quest’ultimo caso l’impresa non ha il controllo dei contenuti pubblicati, ma può replicare ad essi con la pubblicazione di nuovi.
Dall’osservazione del prisma Prunesti fa alcune riflessioni utili a pianificare in maniera corretta la strategia di comunicazione28:
1. Non è possibile separare in maniera netta i vecchi strumenti di comunicazione dai nuovi. Essi, anzi, possono e devono fornire supporto ai messaggi veicolati sui social media;
2. Anche nell’ambito degli strumenti online occorre identificare con precisione quelli che hanno caratteristiche innovative e partecipative (appartenenti al Web 2.0) dagli strumenti online tradizionali (Web 1.0);
3. I contenuti verticali rimangono comunque importanti. Il sito web ufficiale dell’impresa resta sempre e comunque la proprietà online fondamentale perché rappresenta la voce ufficiale dell’organizzazione. E’ altresì vero che la sua rilevanza può crescere notevolmente con la circolazione delle voci sul Web allargato, che può stimolare le persone a verificare sul sito aziendale le informazioni delle quali sentoni parlare;
4. Occorre separare i contenuti generati dagli utenti da quelli generati dall’azienda. L’azienda può mettere su YouTube i video prodotti da lei, così
28 Ibidem
come altri potranno fare con i video che hanno ad oggetto il marchio o il prodotto di un’azienda. I primi possono favorire l’immagine dell’impresa, i secondi potrebbero invece provocare danni laceranti, ciò dipende tutto dal contenuto che viene condiviso con gli altri;
5. Fare sempre attenzione al tipo di blog utilizzato. I blog possono trovarsi in qualsiasi dei tre quadranti del prisma, dipende dalle caratteristiche che vogliono essere attribuite loro.
Il tipo di blog meno rischioso, ma anche meno partecipativo, è quello che si trova nella parte inferiore del prisma. Esso non prevede l’inserimento dei commenti degli altri utenti e dunque non ha come obiettivo l’instaurazione di un dialogo; funziona invece come una versione più informale del sito ufficiale, che può essere usato dall’azienda per comunicare cose che magari non direbbe in un contesto più formale.
I blog che si trovano nel quadrante di sinistra sono quelli aziendali più comuni e che lasciano spazio ai commenti. Vengono pubblicati nella speranza di avviare una conversazione. La discussione può iniziare se l’impresa ha il giusto mix di buoni argomenti e di buoni blogger. Le aziende ICT e soprattutto i siti giornalistici e di informazione hanno maggiore dimestichezza con la gestione dei blog organizzati in questo modo.
I blog che si trovano nel quadrante in alto sono quelli che consentono alle persone di scrivere ciò che vogliono. Si tratta dei blog più rischiosi ma se l’impresa utilizza gli argomenti giusti questi sono quelli che possono avere i maggiori effetti positivi, perché consentono di diffondere velocemente i messaggi grazie al contributo degli altri (Prunesti, 2009).
Il Web 2.0 dispone di una grande varietà di strumenti di comunicazione che possono essere utilizzati dall’impresa per attuare la strategia di marketing, è comunque fondamentale che essi vengano integrati con gli strumenti di comunicazione classica.
Attraverso la comunicazione offline (above e below the line) è possibile infatti veicolare una comunicazione pubblicitaria in grado di innescare il processo delle 4 i e delle 4 c di Giampaolo Fabris che determinano l’interesse del target nei confronti del messaggio e stimolano la sua propensione all’acquisto. Le attività di comunicazione attraverso i social media come i blog, i social network, le community, consentono invece all’impresa di sviluppare un rapporto basato sulla conversazione, dove i contenuti della comunicazione vengono arricchiti con il contributo reciproco di tutti gli utenti del network.
Questo può generare un legame di fiducia tra i membri del gruppo (dei quali diviene a far parte a pieno titolo anche l’azienda) e in questo modo la proposta commerciale ha la possibilità di trasformarsi in un oggetto di conversazione e discussione capace di arricchire il valore del marchio o del prodotto, rendendo più stimolante il processo di acquisto.
La comunicazione pubblicitaria tradizionale in questo caso diviene un elemento strategico per mantenere l’awareness del marchio o del prodotto anche quando le persone lasciano il Web per uscire e fare shopping. Una volta che l’acquisto si sarà realizzato i consumatori continueranno a bloggare o a postare nei social network discutendo dell’acquisto, lasciando così informazioni utili per tutti coloro che sono ancora alla ricerca di informazioni utili e autentiche sul prodotto che desiderano acquistare o sull’evento al quale vogliono partecipare (Prunesti, 2009).
Per intraprendere un’iniziativa nei social media si può adottare l’approccio suggerito da Li e Bernoff (2008), i quali hanno elaborato un modello semplicissimo per spiegare l’assoluta importanza che la parte strategica e di ideazione assume in un progetto di social media marketing: il metodo POST dove:
• P sono le persone: non si può avviare una strategia sui social media senza aver compreso le reali capacità, conoscenza ed utilizzo delle
tecnologie da parte della proprio target; è necessario capire quali piattaforme utilizzano le persone alle quali ci si vuole rivolgere e che cosa fanno solitamente (leggono, commentano, votano, partecipano, creano loro stessi dei contenuti), in sostanza è utile capire a quale profilo Social Technographics appartengono. Se sono studenti ad esempio, probabilmente Myspace e, sempre più, Facebook sono le piattaforme ideali, mentre se sono manager probabilmente hanno un profilo su LinkedIn e quindi potrebbe essere ideale creare un gruppo su questo social network;
• O sta per Obiettivi: ci si deve chiedere quali obiettivi si vorrebbe raggiungere con il proprio target di riferimento. Gli obiettivi possono essere diversi: ascoltare i propri clienti (customer insight), far partecipare attivamente i consumatori allo sviluppo di un nuovo prodotto o una nuova campagna pubblicitaria, instaurare un dialogo con loro, supportarli, stimolare il passaparola, …;
• S è la strategia: bisogna capire come raggiungere i propri obiettivi, immaginando anche come cambierà irrimediabilmente la relazione con gli stakeholder;
• T sta per tecnologia: una community, una wiki, un blog, una pagina su un social network, un video virale su Youtube? Una volta messi a fuoco i primi 3 step si può scegliere la piattaforma tecnologica con un maggiore consapevolezza e serenità.
Questo approccio limita il peso della tecnologia a vantaggio della progettazione che rappresenta il reale costo da sostenere da parte di un’azienda che vuole aprirsi ai social media.
Di seguito verranno analizzati i singoli strumenti del Web 2.0, dando alcune indicazioni sul loro utilizzo e presentando alcuni esempi concreti.