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Portare online i concetti del marketing tribale

Creare un legame con le persone in Rete

5.1 Portare online i concetti del marketing tribale

Appare evidente dalle analisi fatte finora il desiderio dei consumatori di unirsi in gruppi, in comunità, attorno a passioni e interessi comuni tra cui anche la condivisione di un’esperienza di marca.

È in quest’ultimo caso che si parla di comunità brandizzate, o brand community, riferendosi a quei gruppi di persone accomunate da un forte legame con la marca, quindi con i suoi valori e stile di vita.

Creare una community di “fedeli”, per un brand, significa poter applicare su di essa quelle che Bernard Cova, suo maggiore esponente insieme a Michel Maffesoli, definisce tecniche di marketing tribale.

Il marketing tribale facendo leva sul consumo comunitario crea, comunica ed eroga valore soprattutto in termini di legami. In questo caso, le aziende concentrano i propri sforzi soprattutto nell’offerta di legami e relazioni piuttosto che concentrare la maggior parte delle risorse a disposizione sul prodotto o servizio che erogano. Nel marketing tribale invece di stabilire una relazione con il singolo consumatore, come accade nel marketing relazionale, si sposta l’enfasi sul rafforzamento del legame che viene a crearsi fra gli stessi consumatori intorno a un prodotto all’interno di una comunità aiutandoli a condividere la loro passione; si passa così dal concetto di relazione al concetto di condivisione.

Dal punto di vista dei consumatori è la visione del consumo in generale che cambia. Attraverso il consumo, essi non ricercano più soltanto la soddisfazione di determinati bisogni in maniera funzionale, ma cercano di dare un senso alla propria vita, di trovare appagamento nell’utilizzo del bene ed il consumo diventa lo strumento per generare o rafforzare i legami con altri individui. Di conseguenza non sono rari i casi in cui il valore realmente

percepito dai consumatori non dipende più solo dalla configurazione o dalla qualità del prodotto (che restano comunque importanti) ma dal volume e dall’intensità dei legami che grazie a quest’ultimo possono sviluppare.

Si parla quindi di “valore di legame” quando ci si riferisce a quel valore relativo ad uno specifico prodotto/servizio nella costruzione e nel potenziamento di legami tra individui. In quest’ottica si potrebbe arrivare a dire che i legami e le relazioni sociali acquisiscono maggiore importanza dei prodotti scambiati, “il legame conta più del bene” (Cova, 2003).

In tale approccio di marketing diventa fondamentale il ruolo dell’azienda come soggetto di supporto alla tribù. È compito di quest’ultima infatti, considerare ogni offerta destinata ai membri della tribù nella prospettiva del valore di legame, offrendo ai membri:

• occasioni di socialità (raduni ed incontri);

• accessori al bene/servizio (gadget, abbigliamento, tutto ciò che possa servire ai membri della tribù per identificarsi in essa diversificandosi da chi non ne fa parte);

• luoghi d’incontro on line e off line;

• la diffusione della cultura di marca (con tutti i mezzi che ha a disposizione);

• la gestione dei luoghi d’incontro virtuali (web).

Cova in particolare ritiene indispensabile in quest’ottica prestare attenzione ai rituali della tribù in quanto sono essi che rinnovano e vivificano la fede nei valori comuni e agiscono sull’integrazione dei membri nel gruppo.

I cinque supporti di un rituale sono (Cova, 2003):

• le cose (oggetti di culto);

• gli abiti (costumi rituali);

• gli spazi (i luoghi di culto e/o luoghi della memoria);

• le parole (formule magiche);

• le immagini (idoli e icone).

Prendendo in considerazione ad esempio la tribù dei ducatisti, l’azienda Ducati ha saputo nel corso degli anni rafforzare il legame e la passione dei membri di questa tribù partecipando attivamente attraverso l’offerta di tutto ciò che è presente in una tribù e che serve a distinguerla. La Ducati offre oggetti di culto (la moto e gli accessori), luoghi di culto (la fabbrica di Bologna, in cui è presente anche un museo della storia dell’azienda, e i Ducati Store), abiti che permettono ai Ducatisti di distinguersi dagli altri e riconoscersi tra loro (ad esempio la linea Ducati Corsa), parole magiche come “Desmo!”, idoli come il pilota Capirossi. Ma non basta, l’azienda promuove eventi (WDW, World Ducati Week), organizza corsi di guida, partecipa a eventi di competizione (Racing), stimola i ducatisti a fornire idee e suggerimenti alla casa madre allo scopo di migliorare il proprio prodotto e produrre nuovi accessori e infine dialoga con loro attraverso Desmoblog, il blog che racconta cosa succede in Ducati e in generale nel mondo dei Ducatisti, le decisioni che riguardano i nuovi prodotti, gli eventi, le strategie aziendali e molto altro ancora.

In tutto questo però l’azienda deve sempre evitare di interpretare un ruolo troppo ingombrante, che non lasci alla tribù spazio di evolversi autonomamente, in quanto il processo di creazione del valore si sviluppa da entrambe le parti.

Puntare sul tribale implica anche accettare una perdita di controllo sul brand. Si può anche addirittura giungere a casi di “dirottamento di marca”

che consistono in azioni da parte della tribù volte ad intervenire sull’evoluzione della marca.

Se le azioni di marketing si attuano su tribù già esistenti si parla di marketing tribale intensivo, nel caso in cui invece si voglia ampliare la tribù e diffonderla all’interno del corpo sociale al fine di trarre beneficio dal passaparola si parla di marketing tribale estensivo.

In questo caso l’azienda oltre a fornire i mezzi affinché i clienti possano esprimersi attivando il passaparola come forum e social network deve mettere a frutto le loro competenze. Queste tribù infatti, grazie alla frequenza degli scambi e alla carica emozionale, maturano al proprio interno una notevole competenza che l’impresa deve riconoscere e mettere a frutto in quanto esse rappresentano comunità di esperti pronte a inserirsi nelle attività del loro marchio preferito e offrono all’impresa una visione complessa, da esperti, da persone coinvolte, da leader (Cova, 2003).

Attraverso l’approccio del marketing tribale, il brand ottiene una fidelizzazione affettiva da parte del consumatore, molto più forte rispetto alla fidelizzazione che si ottiene con la personalizzazione che porta invece ad un tipo di fedeltà di natura cognitiva.

Kevin Roberts, CEO worlwide di Saatchi & Saatchi, per riferirsi a quei brand che riescono a stabilire una vera e propria relazione affettiva con il proprio pubblico ha inventato il termine Lovemark.

I Lovemarks sono quei brand per i quali i consumatori sentono una profonda fedeltà, una fedeltà che va oltre la ragione. “Se un brand qualsiasi improvvisamente scomparisse i consumatori lo rimpiazzerebbero, mentre se lo stesso avvenisse ad un lovemarks la gente protesterebbe. I lovemarks sono relazione e non semplice transizione”(Roberts, 2007).

È improbabile che le tribù si costituiscono intorno a prodotti o marche banali e indifferenti, più probabilmente nascono intorno a prodotti di nicchia, di culto: quelli che diventano oggetto di venerazione, di cui esistono appunto i fedeli, i luoghi dedicati, i riti, pensiamo ad esempio a brand come Apple, Ducati, Starbucks.

La marca in questi casi funge da piattaforma relazionale, da agorà virtuale:

diviene cioè un luogo dove si incontrano individui che non solo condividono scelte di consumo ma anche, e soprattutto, un’analoga visione del mondo. La marca cioè diviene tramite per consentire lo scambio e l’interazione tra persone che hanno qualcosa in comune e possono così

avere occasioni di dialogo, mettere in comune esperienze, creare legami, condividere opportunità (Fabris, 2008).