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Creare un legame con le persone in Rete

5.2 Le brand community online

Una brand community è un’aggregazione sociale di consumatori che instaurano una pluralità di relazioni tra loro, con il prodotto e il brand e che considerano come aspetto centrale la marca. Wipperfurth (2005) le definisce così: “una brand community è un gruppo di persone che condividono il proprio interesse per uno specifico brand e che creano un universo sociale parallelo, con propri valori, rituali, vocabolario e gerarchia”.

Dal punto di vista del marketing manager la brand community riflette le caratteristiche intrinseche di una marca nel modo di vivere dei consumatori, permettendo di connettere ciascuno di essi alla marca e ad altri membri del gruppo. Dal punto di vista dei clienti invece una brand community è una fabbrica di relazioni tra più soggetti interagenti: il consumatore, il brand, l’azienda, il prodotto e altri individui.

Muniz e O’Guinn(2001) hanno analizzato la dimensione sociale di questo fenomeno e, attraverso una ricerca etnografica su tre brand community (Ford Bronco, Macintosh e Saab), hanno attribuito a queste organizzazioni tre caratteristiche principali: la coscienza di genere, la presenza di riti e tradizioni condivisi e un senso di responsabilità morale.

L’elemento più importante è la coscienza di genere, detta anche cousciouness of kind (Boaretto, Noci, Pini, 2007), ovvero i membri condividono una forte consapevolezza di se stessi che si traduce in:

• una forte affinità con il brand e una forte relazione con tutti gli altri membri del gruppo;

• una linea di demarcazione tra i membri del gruppo che si sentono dei consumatori “autentici” e gli altri consumatori del prodotto che non

hanno la stessa competenza e che per questo vengono considerati dei consumatori impropri;

• l’opposizione alle altre marche che competono nello stesso mercato.

Attraverso infatti la competizione tra i brand i membri della community percepiscono i vantaggi derivanti dall’esperienza da loro vissuta all’interno della comunità. Per molti membri della Macintosh brand community ad esempio l’opposizione ai PC, agli utilizzatori di PC e a Microsoft costituisce una fonte importante di esperienze e di unità.

I rituali e le tradizioni servono a rappresentare e mantenere la cultura della comunità, i processi sociali vitali attraverso cui il significato della comunità si riproduce e si trasmette entro e oltre la comunità stessa. Sono incentrati di solito su esperienze condivise di uso/consumo della marca. A prima vista possono apparire insignificanti, ma riescono a perpetuare la consapevolezza.

In genere, si tratta di celebrare la storia, gli aspetti distintivi e duraturi della marca, raccontarsi aneddoti ed esperienze d’uso su di essa, condividere eventi significativi, che rinforzano la consapevolezza di far parte di una storia e di una comunità più ampia, oltre a confermare un diffuso senso di coesione.

Per quanto riguarda invece la responsabilità morale, essa si manifesta nel senso del dovere e di obbligo che ogni singolo individuo deve mostrare di avere nei confronti della comunità di appartenenza e degli altri membri, che si traduce nell’aiuto e nel sostegno che i diversi membri all’interno della comunità offrono nel risolvere determinati problemi e nel condividere le proprie conoscenze.

Un ulteriore approfondimento di questa visione è stata proposta da McAlexander, Schouten e Koenig (2002), i quali ritengono non sufficientemente adeguata una concezione di tali gruppi come triadi

“consumatore-consumatore-brand”, in quanto non vengono considerate altre relazioni in grado di conferire ai membri della community quello speciale

senso condiviso di capitale culturale. Gli autori perciò ritengono necessario prendere in considerazione una rete di relazioni più ampia, proponendo una prospettiva secondo cui la brand community ha come punto focale il consumatore attorno al quale ci sono altri consumatori, il brand, il prodotto oggetto di consumo e l’azienda.

Di fatto il punto focale che caratterizza queste brand community è un interesse marcato da parte degli individui per i legami e le identità sociali generati dai prodotti di consumo, piuttosto che per i prodotti stessi, come accade nelle neotribù di Cova.

A differenza delle neotribù però le brand community presentano delle differenze sostanziali. Una neotribù, nella definizione proposta da Bernard Cova, è “un insieme di individui non necessariamente omogeneo (in termini di caratteristiche sociali obiettive), ma interrelato da un’unica soggettività, una pulsione affettiva o un ethos in comune” (Cova, 2003). Il comune denominatore delle neotribù è la condivisione di pratiche o passioni, quindi una tribù può formarsi, sì attorno a un prodotto o una marca, ma anche attorno a un’attività, una pratica, una passione. Da qui sorge la prima differenza con le brand community che diversamente dalle neotribù sono specializzate perché sono incentrate sulla marca. “La passione e il coinvolgimento non sono solo legati a un prodotto merceologico o a un’attività bensì a un brand o a un prodotto che funge da catalizzatore sociale nel quale gli individui vedono caratteristiche salienti per il sé”

(Morandin, 2006).

Le neotribù inoltre a differenza delle community sono instabili, agiscono su piccola scala, sono prive di confini fissi e ben definiti, non sono fissate da parametri stabiliti da parte della società, ma possono essere tenute insieme attraverso la condivisione di emozioni, stili di vita, opinioni, pratiche di consumo.

Un ulteriore aspetto che differenzia le brand community dalle neotribù è la modalità in cui il consumo è condiviso: le neotribù nella maggior parte dei

casi sono caratterizzate da un’attività di consumo condivisa, ciascuna utilizza il prodotto assieme agli altri membri del gruppo, al contrario la brand community non è caratterizzata da una modalità di consumo condiviso. Nella comunità, fermo restando la devozione dei membri nei confronti della marca, il consumo non avviene attraverso una modalità di rito collettivo, il consumo è individuale mentre la rappresentazione, ovvero il racconto dell’esperienza, viene condivisa.

Ultima differenza riguarda l’uso della Rete: le neotribù fanno dell’attività di consumo il centro dell’esperienza della comunità mentre l’utilizzo di Internet per mettere in comune le conoscenze è secondario; le brand community invece basano le interazioni principalmente attraverso i canali online.

Il Web rappresenta il terreno più fertile per la nascita delle community, ve ne sono di natura tematiche diverse, tutto ciò che è passione può scatenare la nascita di una community e se a scatenare passione è un brand allora è facile che ne nasca una brand community online.

Nel suo libro “I nuovi territori della marca” Patrizia Musso individua due macro-tipologie di brand community on line(Musso, 2005):

a) brand community created for consumer: ovvero costruite e messe a disposizione da un determinato brand per i propri utenti/consumatori. È possibile distinguere all’interno di queste community due sottocategorie:

una prima, più ancorata ad una logica tradizionale, in cui il prodotto di marca è protagonista e oggetto pressoché centrale del flusso comunicativo;

siamo di fronte a spazi dialogici dove la componente commerciale è predominante e la dimensione relazionale ne diviene un efficace strumento di diffusione; una seconda più innovativa che vede il prodotto come mero accompagnatore, quasi accessorio, di scambi comunicativi in cui l’oggetto di discussione è determinato in piena libertà dagli utenti/consumatori;

b) brand community created by consumer: ovvero spazi dialogici che, sempre più frequentemente, sorgono dalla libera iniziativa di “cultori” di un

determinato brand (ma anche dei suoi “rejector” nati nell’era “no-logo”).

Ne sono un emblematico esempio i siti degli Absolut collectors, ma anche dei fanatici della Fiat 500 o dei cultori della Apple, o ancora i siti di boicottaggio contro alcune imprese multinazionali; in entrambi i casi, si tratta di community sorte intorno a marche che già offline godono di una lunga e consolidata notorietà (positiva o negativa). La precisa volontà di scambiare pareri, esperienze, idee fra coloro che condividono una passione (o un’avversione) per il mondo di una certa marca, è elemento propulsore di queste community. Nasce così un’intrinseca connessione fra i membri della community e, soprattutto, un effetto collettivo di distinzione da tutti coloro che non condividono questo “comune sentire” verso uno specifico brand.

Per quanto riguarda le brand community created for consumer Patrizia Musso ritiene che sono due i fattori propulsori di questi luoghi virtuali di dialogo: fattori simbolici, che riguardano la capitalizzazione del sistema valoriale del brand, e fattori sociali, ovvero legati al nuovo ruolo che il brand può ricoprire all’interno del tessuto sociale.

Una brand community può essere utile per la condivisione del patrimonio valoriale del brand al fine di rafforzare il senso di appartenenza e fedeltà dei consumatori, può rappresentare uno strumento utile per far vivere una brand experience virtuale e per attivare un dialogo con i propri consumatori. Essa rappresenta inoltre un’occasione di incontro, scambio di esperienze e creazione di legami tra i consumatori della marca che a volte possono avere anche delle ricadute sociali che si traducono in una serie di eventi e incontri offline.

Tra i casi più significativi e interessanti di brand community italiane è da citare Nutellaville48, la community di Nutella nata nel 2006 e che oggi vanta più di 23000 iscritti. Al suo interno i membri possono condividere

48 www.nutellaville.it.

emozioni, passioni, esperienze vissute in relazione o meno all’offerta dell’azienda, possono gestire una propria pagina personale dove possono scrivere i propri pensieri, pubblicare foto e video e dialogare con gli altri membri della community, creare ricette a base di Nutella, scaricare simpatici gadgets.

Per quanto riguarda invece le brand community che nascono spontaneamente dai “fan” del brand, due sembrano i fattori propulsivi che portano alla loro nascita: fattori di tipo emotivo, che riguardano la possibilità di condividere all’interno di una comunità la propria passione per la marca, e fattori socio-culturali, legati alla nuova fisionomia del consumatore contemporaneo, sempre più attivo, il quale non si limita a ricevere passivamente il messaggio ma lo interpreta e lo adatta alle proprie esigenze, trasformandolo in discorsi propri.

Spesso all’interno di queste brand community si crea un sapere indipendente da quello delle fonti ufficiali, a volte anche più articolato rispetto a quello proposto del brand. I dialoghi che nascono contribuiscono a creare il valore della marca.