• Non ci sono risultati.

B) La funzione soggettiva della colpa L’agente concreto.

Nel documento La colpa nei reati omissivi impropi (pagine 118-129)

A D IMPOSSIBILIA NEMO TENETUR: LA “DOMINABILITÀ” NELL’OMISSIONE E LA “DOMINABILITÀ” NELLA COLPA

7. La “doppia funzione” della colpa.

7.2. B) La funzione soggettiva della colpa L’agente concreto.

Si è già anticipato che la teorica della “doppia misura” della colpa può assumere piena autonomia dogmatica solo differenziando il parametro di accertamento della misura oggettiva rispetto a quello della misura soggettiva. E si è anche visto come, coerentemente a questa premessa, chi ritiene che la misura soggettiva si fondi sul parametro dell’agente-modello, conduce l’individuazione della regola cautelare sulla base di un parametro non solo oggettivo ma anche assoluto, quale quello offerto dalla miglior scienza ed esperienza del momento storico. Si è cercato di chiarire le ragioni per cui sembra preferibile che l’individuazione della regola di condotta sia affidata ad un parametro pur sempre oggettivo ma di tipo relativo, costituito in particolare dall’homo eiusdem professionis et condicionis, inteso come riferimento alla situazione-tipo entro cui l’agente si trova ad operare.

Si pone dunque l’esigenza di individuare un secondo parametro, diverso dall’agente-modello, in grado di riempire di contenuto la misura soggettiva della colpa. A nostro avviso il ruolo in questione sembra poter essere efficacemente svolto dall’agente concreto174.

Nella rassegna dei possibili parametri alla stregua dei quali “misurare” la prevedibilità e l’evitabilità nel reato colposo si esclude tradizionalmente la possibilità di far riferimento all’agente concreto, riproponendo pressoché tralaticiamente la seguente argomentazione: dovendosi tener conto di tutte le circostanze soggettive (fisiche e psichiche) che hanno accompagnato la realizzazione della condotta, il solo fatto che l’agente concreto, in quella specifica situazione, non ha previsto l’evento condurrebbe inevitabilmente a concludere che l’evento stesso non era da lui prevedibile ed evitabile e, quindi, che non era in concreto “esigibile” una condotta

      

173 D. PULITANÒ, Diritto penale, cit., p. 358 individua nel “rischio consentito” un concetto

puramente formale, sprovvisto di autonomia concettuale rispetto alla determinazione delle regole di diligenza dalla cui osservanza dipende il riconoscimento del rischio come consentito.

174 Sulla ricostruzione della doppia misura della colpa come congiunta operatività dei parametri

dell’agente modello (misura oggettiva) e dell’agente concreto (misura soggettiva) nella nostra dottrina M.ROMANO, Art. 43, Commentario sistematico, pp. 458 e467-468.

conforme rispetto al modello descritto dall’ordinamento175. Da qui l’esigenza di

individuare un parametro che si ponga quale medio virtuoso tra due esigenze contrapposte: da un lato si tratta di assicurare un certo grado di generalizzazione nell’individuazione della regola cautelare tale da garantirne la previa riconoscibilità e, al contempo, in grado di non paralizzare l’accertamento della colpa attraverso la sua estrema soggettivizzazione; dall’altro però resta la necessità di preservare quel minimo di aderenza alla situazione concreta che consenta di continuare a qualificare la colpa come criterio di imputazione soggettiva176. Un parametro eccessivamente

generalizzante, del resto, non sarebbe riuscito a rendere conto delle innumerevoli articolazioni della vita sociale e delle conseguenti differenziazioni tra “tipi sociali” sempre più numerose: il parametro dell’homo eiusdem professionis et condicionis, da questo punto di vista, ha rappresentato lo strumento attraverso cui «ridurre il livello di generalizzazione dal punto di vista oggettivo, per adeguarlo alle molteplici articolazioni della vita collettiva allargando il numero delle circostanze concrete di cui occorre tener conto nell’operare del giudizio di colpa»177.

La consueta argomentazione in base alla quale si è esclusa la possibilità di utilizzare l’agente concreto quale misura della responsabilità per colpa appare per certi versi assai simile a quella attravesro cui si esclude che l’accertamento del requisito dell’idoneità degli atti nel tentativo vada effettuato ex post: il fatto che non si è realizzato il delitto voluto, si osserva, starebbe a significare che non ne esistevano tutte le condizioni e, dunque, gli atti posti in essere risulterebbero sempre inidonei a commettere il delitto. Inconveniente che sarebbe evitato ricorrendo al criterio della c.d. prognosi postuma, ovvero ad un giudizio ipotetico effettuato ex ante, al momento in cui viene posta in essere la condotta tipica178. È stato tuttavia

      

175 M.GALLO, voce Colpa penale (dir. vig), p. 639 ravvisa un vero e proprio «vizio logico» «nel

parlare di possibilità di un avvenimento di non si è verificato, quando non si astragga da almeno una delle circostanze del caso concreto». F.MANTOVANI, Diritto penale, cit., p. 336; G.MARINUCCI, La

colpa per inosservanza, cit., pp. 181-184; G. DE FRANCESCO, Diritto penale, cit., p. 428. V. DE

FRANCESCO, Sulla misura soggettiva della colpa, cit., p. 294, pur concordando sulla necessità logica che

il criterio soggettivo possa operare solo facendo astrazione da alcune circostanze dell’azione in esame, ritiene che il rilievo in questione non ne dimostra ancora l’impraticabilità concreta: «non è affatto arbitrario stabilire un quadro delle caratteristiche personali dell’agente facendo astrazione dal comportamento oggetto di giudizio. E se proprio di arbitrarietà si vuole parlare (peraltro a torto), il criterio oggettivo […] non si rivela certamente, sotto tale profilo, più affidabile di quello soggettivo».

176 M.GALLO, voce Colpa penale (dir. vig), p. 639. G.MARINUCCI, La colpa per inosservanza, cit.,

p. 185 osserva al riguardo che il riferimento alla persona dell’agente potrebbe assumere rilievo decisivo, in quanto proprio una sua particolare capacità o conoscenza, o una sua accentuata incapacità o ignoranza possono fondare o escludere l’addebito per colpa: si pensi all’esempio tipico del ricercatore che maneggia sostanze le cui proprietà pericolose sono note soltanto a lui. Del resto, precisa il medesimo Autore, lo stesso contenuto dell’obbligo di diligenza può dipendere in maniera significativa dalle capacità personali dell’agente: un uomo molto anziano non potrà gettarsi nelle acque gelide per salvare il nipotino che rischia di annegare, ma potrà e dovrà invocar l’aiuto di altre persone.

177 V.DE FRANCESCO, Sulla misura soggettiva della colpa, cit., p. 300. 178 Per tutti F.MANTOVANI, Diritto penale, cit., p. 431.

efficacemente dimostrato come un simile modo di ragionare non tenga in considerazione che la condotta umana è solo una delle condizioni che costituiscono la causa di un certo risultato: con la conseguenza che se il risultato in questione non si realizza ciò non va necessariamente attribuito ad una inidoneità della condotta stessa, ben potendo dipendere dall’incidenza di fattori diversi, rilevanti allo stesso modo sotto il profilo causale179.

L’osservazione per cui “se le cose sono andate in un certo modo significa che non sarebbero potute andare diversamente” appare criticabile anche in riferimento al ruolo svolto dall’agente concreto nel giudizio di responsabilità per colpa, sebbene per ragioni differenti da quelle addotte in tema di idoneità degli atti nel tentativo. Anzitutto, come si è precisato più di una volta, proprio lo studio del reato colposo e di quello omissivo ha favorito il passaggio, nella sistematica del reato, dal rilievo attribuito a “ciò che è stato” sul piano naturalistico alla valorizzazione di “ciò che poteva-doveva essere” sul piano normativo. In un’ottica di questo tipo l’accertamento di quanto avvenuto dal punto di vista materiale rappresenta pur sempre il necessario punto di partenza, in quanto consente di verificare che il modello di comportamento individuato in via astratta da parte del legislatore è stato disatteso; ma il giudizio di responsabilità penale può essere completato solo mediante il ricorso a valutazioni di tipo ipotetico-normativo, mediante le quali verificare la dominabilità oggettiva e soggettiva in riferimento al fatto posto in essere180.

Alle considerazioni in questione sembra possa farsi utile riferimento anche per sostenere la piena utilizzabilità della misura dell’agente concreto. La circostanza che l’agente non abbia preveduto (in concreto) il verificarsi di un certo risultato significa solo che non si è adeguato al modello di agire diligente cui l’ordinamento attribuisce rilevanza, ma non significa anche che, in quelle stesse condizioni, il soggetto non avrebbe potuto prevedere che dalla propria condotta derivassero conseguenze pregiudizievoli per uno o più interessi. Sarebbe come dire, mutatis mutandis, che se il

      

179 M. GALLO, Appunti di diritto penale, Vol. III, Le forme di manifestazione del reato,

Giappichelli, 2003, pp. 76-78.

180 Cfr. F.GIUNTA, Illiceità e colpevolezza, cit., pp. 157-158, il quale rileva come la considerazione

secondo la quale l’azione di una misura esattamente corrispondente alle capacità dell’agente hic et

nunc non sarebbe logicamente ipotizzabile, equivale solo ad ammettere che nel giudizio di

responsabilità per colpa l’interprete non può limitarsi ad esaminare il comportamento effettivamente tenuto dall’agente, ma deve anche considerare il comportamento che questi avrebbe potuto tenere. Niente impedirebbe dunque di assumere quale parametro le capacità dell’agente reale, con il solo accorgimento di considerarle non per come sono state impiegate nella situazione reale, ma per come avrebbero potuto esplicate. Anche T. PADOVANI, Il grado della colpa, cit., p. 845 avverte che

l’affermazione per cui “il non aver previsto è la prova dell’impossibilità di prevedere” significherebbe ammettere che tutto ciò che nella realtà non si realizza è per ciò solo impossibile a realizzarsi: ma questo, conducendo in definitiva ad un rimprovero per il carattere (si punisce il soggetto per il semplice fatto di non aver prestato la diligenza richiesta a ciascun consociato), snaturerebbe lo stesso concetto di colpevolezza in senso normativo e finirebbe per condurre ad estromettere dal giudizio di responsabilità per colpa ogni considerazione relativa alle possibilità di «controllo e di dominio» del singolo.

campione olimpionico realizza una prestazione deludente, per ciò solo deve concludersi che in quella manifestazione sportiva non poteva davvero fare di meglio. Se, insomma, il passaggio dall’“attuale” al “potenziale” è una delle caratteristiche più evidenti che connotano l’accertamento della colpa, non si vede la ragione per cui la presente operazione non debba essere perseguita fino in fondo anche in riferimento alla questione de qua.

Più precisamente, sembrerebbe che quel criterio della prognosi postuma, al quale, si è visto, non è necessario ricorrere in riferimento alla tematica, per certi versi simile, dell’accertamento dell’idoneità degli atti nel delitto tentato, possa invece offrire un valido riferimento per ciò che attiene alla misura soggettiva della colpa. Se, infatti, l’accertamento di “ciò che è stato” viene necessariamente condotto muovendo da un’ottica ex post, l’accertamento di “ciò che poteva-doveva essere” richiede di porsi mentalmente nel momento in cui viene posta in essere la condotta che vìola il modello di comportamento diligente o, in ogni caso, in un momento antecedente al verificarsi del risultato vietato dall’ordinamento; e ciò non tanto per astrarre da una o più circostanze che caratterizzano il caso concreto, quanto piuttosto, si ripete, per verificare se le capacità e le conoscenze dell’agente concreto gli consentivano di formulare un giudizio di prevedibilità in relazione all’evento che poi effettivamente si è verificato181.

A ciò si aggiunga che il parametro dell’agente concreto è l’unico in grado di assicurare quella necessaria personalizzazione del giudizio di colpa imposta non da un pretesa essenza ontologica e di marca eticizzante attribuibile al criterio di imputazione in questione, ma da una completa valorizzazione del principio di colpevolezza182 o, il che è lo stesso, da una convinta affermazione della colpa come

criterio di imputazione soggettiva. A questa esigenza di “personalizzazione”, del resto, sembra facciano costante riferimento anche le ricostruzioni che, contestando l’ammissibilità del parametro offerto dall’agente concreto si affidano integralmente alla misura dell’homo eiusdem professionis et condicionis. Due sono in proposito le

      

181 Cfr. M.ROMANO, Art. 43, Commentario sistematico, cit., p. 468: «Con riguardo quindi ai limiti

fisico-intellettuali (non invece emotivo-caratteriali), il giudizio di formula chiedendosi se un altro soggetto dotato delle conoscenze, energie, esperienza dell’agente al momento del fatto (ovvero l’agente stesso “pensato” senza la condotta in questione) sarebbe secondo la comune esperienza stato in grado di osservare la regola di diligenza violata». Contra, M.GALLO, voce Colpa penale (dir. vig), cit., p. 639,

in quanto il criterio della prognosi postuma condurrebbe a negare la sussistenza della colpa in cosa di una condotta tenuta in circostanze tali da escludere la rappresentabilità, da parte dell’agente, di un risultato vietato dal diritto, già prima che la condotta stessa venisse intrapresa; ciò anche quando la violazione della regola cautelare consisterebbe proprio nell’intraprendere un certo comportamento in quelle condizioni. Sulla necessità di un accertamento ex ante del requisito della prevedibilità in tema di elemento soggettivo, contrapposto all’accertamento ex post della stessa prevedibilità in sede di ricostruzione del rapporto di causalità materiale Cass. pen., Sez. IV, 17 maggio 2006, Bartalini, cit., c. 566.

argomentazioni dalle quali si ricava una più o meno marcata “individualizzazione” dell’agente-modello:

a) Il parametro dell’homo eiusdem professionis et condicionis viene usualmente “corretto” tenendo conto delle maggiori conoscenze eventualmente possedute dall’agente concreto, che nel caso in cui fosse depositario di una scienza e un’esperienza superiori al gruppo di riferimento o addirittura, per ipotesi, coincidenti con il massimo livello ipotizzabile nel momento storico di riferimento, si troverebbe a beneficiare di un ingiustificato trattamento di favore183; sebbene non si

sia mancato di osservare che in caso di innalzamento della misura di diligenza dovuta rispetto allo standard del gruppo di riferimento, solo “apparentemente” l’obbligo di diligenza è fondato su una scala del tutto individuale184.

b) Si osserva correttamente, a conferma che ad assumere rilevanza non è tanto il modello di agente quanto piuttosto il modello di attività svolta, che non solo il medesimo soggetto può essere ricondotto a più agenti-modello specifici, in relazione al tipo di attività che viene in considerazione (automobilista-modello, cacciatore-modello, etc.), ma che anche nell’ambito della stessa attività può essere individuata una pluralità di agenti-modello. L’esempio comunemente riportato è quello dell’attività medico-chirurgica, all’interno della quale sarà necessario distinguere, quanto meno, tra il medico generico e il medico specialista; quest’ultimo, a sua volta, apparterrà a gruppi diversi a seconda della specializzazione esercitata185.

La premessa viene portata alle sue estreme conseguenze da chi ritiene che la prevedibilità e l’evitabilità vanno misurate sì secondo l’agente-modello specifico, ma in concreto, tenendo conto di tutte le circostanze in cui il soggetto si è trovato ad operare; ciò consente di attribuire rilevanza anche a quelle conoscenze causali di particolari situazioni di pericolo da parte dell’agente, come nel caso dell’automobilista che, abitando in un certo quartiere, conosce perfettamente la pericolosità di un incrocio o sa dell’uscita degli scolari in certi orari186. Ciò da un lato

rimanda alle precedenti considerazioni circa il necessario innalzamento dello standard di diligenza in presenza di particolari conoscenze dell’agente concreto che lo “distinguano” dal gruppo di appartenenza; dall’altro dimostra come il deciso rifiuto per forme di accertamento di stampo individualizzante sia più apparente che reale e risulti dettato dalla preoccupazione, a nostro avviso non fondata, di restare imbrigliati in un vizio logico che, muovendo dalla premessa per cui nel caso concreto il soggetto non ha previsto ed evitato il risultato vietato, impedisca di ritenere che

      

183 G.MARINUCCI, La colpa per inosservanza, cit., p. 195; M.GALLO, voce Colpa penale (dir. vig),

cit., p. 640; M.GALLO, Appunti di diritto penale, Vol. II, Parte II, cit., p. 157; F.MANTOVANI, Diritto

penale, cit., 339, nota n. 48.

184 G.MARINUCCI, La colpa per inosservanza, cit., p. 196.

185 Per tutti ancora G.MARINUCCI, La colpa per inosservanza, cit., p. 196-197. 186 F.MANTOVANI, Diritto penale, cit., p. 338.

quello stesso soggetto in quella medesima situazione avrebbe potuto prevederlo ed evitarlo.

Del resto, come replicato dai “soggettivisti”, visto che sulla base di ogni caratteristica comune a più persone è possibile costruire una classe, non si vede perché accanto alla classe dei medici e degli operai non possa individuarsi anche quella dei miopi o delle persone a cui manca la mano destra: sarebbe del tutto arbitrario attribuire rilevanza solo a determinati raggruppamenti, ma se si valorizzassero tutte le caratteristiche comuni a più soggetti si arriverebbe necessariamente a tener conto di tutte le caratteristiche dell’agente concreto, confermando in definitiva la validità della concezione soggettivistica187.

L’arricchimento del parametro dell’agente-modello con le maggiori

conoscenze eventualmente possedute dall’agente concreto, cui si è fatto cenno,

necessita tuttavia di alcune precisazioni. Si è infatti osservato come il correttivo in questione non rappresenterebbe una concessione ad una pretesa misura soggettiva della colpa, in quanto sarebbe pur sempre necessario mantenere ben ferma la distinzione tra:

l’insieme di percezioni e conoscenze necessarie per formulare un giudizio prognostico in merito alla possibile verificazione del fatto;

le capacità necessarie per conseguire ed utilizzare tali percezioni e conoscenze e per comportarsi conformemente ad esse188.

In particolare, sarebbero solo le migliori cognizioni causali del soggetto agente a poter rilevare ai fini del giudizio di colpa, non anche le sue capacità ulteriori rispetto al modello di riferimento189. È dunque la sola situazione intellettiva del

soggetto a venire in considerazione: egli ha il dovere di riconoscere la possibile verificazione del fatto quando sia dotato non tanto di conoscenze superiori rispetto alla media, quanto piuttosto di conoscenze peculiari in riferimento alla situazione concreta: si pensi, per intendersi, all’esempio precedente dell’automobilista che, abitando in loco, conosca la particolare insidiosità di un certo incrocio190. Ben diverso

sarebbe il caso in cui, mediante la valorizzazione delle conoscenze superiori, si intendesse attribuire rilevanza anche alle particolari abilità dell’agente, derivanti non dalla situazione concreta, ma da sue personali attitudini del tutto avulse dal contesto di riferimento. Il caso spesso proposto è quello del pilota di Formula Uno al quale, si dice, non può richiedersi di impiegare tutta la perizia di cui pure sarebbe capace anche fuori gara, in quanto il diritto penale non può esigere, sempre e

      

187 LEONHARD, Fahrlässigkeit und Unfähigkeit, in Festgaben der Marburger Juristischen Fakultät für L. Ennecerus, 1913, pp. 9 e 13 come citato da V.DE FRANCESCO, Sulla misura soggettiva della

colpa, cit., pp. 302-303.

188 G.FORTI, Colpa ed evento, cit., p. 271.

189 G.FORTI, Colpa ed evento, cit., p. 272-274 e G.FORTI, voce Colpa (dir. pen.), cit., p. 951; M.

ROMANO, Commentario sistematico, cit., p. 459.

190 L’esempio in questione viene contrapposto a quello del corridore professionista da M.

comunque, che il soggetto impieghi tutte le sue capacità eccezionali, finendo, in definitiva, per sottoporlo ad una trattamento di sfavore rispetto agli altri consociati che intraprendono quella stessa attività: nel caso in questione, dunque, qualora si verificasse un incidente stradale il corridore professionista dovrebbe essere valutato secondo il parametro dell’automobilista non corridore191.

La distinzione tra “conoscenze” e “capacità”, tra “scienza” ed “esperienza” non si rivela a ben vedere del tutto convincente. Anzitutto non si comprende appieno la ragione di un simile distinguo. Si è tentato di differenziare il rilievo delle particolari capacità del singolo in base alla circostanza per cui lo stesso agisca o meno in un contesto di tipo “professionale”192: così, se il pilota professionista che circola in

autostrada deve comportarsi come un comune automobilista, non altrettanto può dirsi per il medico che, casualmente presente sul luogo di un incidente stradale, intervenga in soccorso di uno dei feriti adagiandolo in posizione sbagliata. Seguendo questa logica, dunque, nessun rimprovero potrebbe essere mosso al padre centometrista che, vedendo il figlio in pericolo al centro della carreggiata, corra verso di lui ad una velocità ben al di sotto delle sue reali capacità, eppure corrispondente alla media di un non atleta, non riuscendo ad impedire l’investimento del bambino.

Più coerente, e in linea al rilievo che si è ritenuto di attribuire alla c.d. misura soggettiva della colpa, sembrerebbe l’opinione di chi ritiene che, anche in presenza di attività standardizzate, nessuna preventiva regolamentazione potrebbe esonerare dall’impiegare ogni capacità di cui il soggetto disponga per evitare il prodursi di un fatto di reato: «nel caso di chi agisca negligentemente, per indifferenza verso i beni giuridici altrui, sarebbe intollerabile considerare come limite massimo le capacità che gli altri, ma non lui, normalmente possiedono»193.

In caso contrario, del resto, si incorrerebbe nel paradosso di richiedere che chiunque si metta alla guida si comporti come un esperto ed accorto automobilista, anche per non vanificare l’affidamento che gli altri consociati ripongono nel corretto

Nel documento La colpa nei reati omissivi impropi (pagine 118-129)

Outline

Documenti correlati